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Mario Balsamo: ironia e creatività nel documentario in Italia

Creato il 26 agosto 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Mario Balsamo: ironia e creatività nel documentario in Italia

Umberto Balsamo e Giovanni Berardi

“Perché ci siamo ammalati? Te la sei fatta mai questa domanda?”  dice in una inquadratura del suo docufilm  Mario Balsamo al suo amico di sempre  Guido Gabrielli. E Guido a rispondergli: “Si, certo, tante volte. Ma forse è più giusto domandarsi perché siamo guariti”. Non sappiamo perché, non sentiamo nemmeno l’esigenza di capirlo  tutto sommato,  ma questo dialogo estratto dal loro film  Noi non siamo come James Bond   pensiamo sia un passaggio deciso, memorabile, essenziale, poetico, necessario. È quasi, o anche, un’evidente emozione, uno schiaffo, sferrato alla platea, inesorabilmente ed in pieno viso, dal bel film diretto da Mario Balsamo ed ideato insieme al suo amico di vita, Guido Gabrielli.  Incontrare il regista Mario Balsamo ha significato incontrare un uomo dalla delicatezza sollecita, affabile. Restare poi a cena con lui, in un ambito che sarà solidale, diventerà infine magistrale, come esperienza e non solo, per le nostre competenze specifiche.  Già al telefono comunque, quando gli abbiamo chiesto l’intervista, il cronista ha avuto netta questa sensazione di conforto, di piacere. Si avvertiva già precisa, consolidata, la sensazione proprio di un idillio.

Dice Mario Balsamo: “Alla base del film  Noi non siamo come James Bond  c’era sicuramente, e finalmente, la necessità di coronare una grande amicizia. Una amicizia che corre, resiste e si fortifica da tantissimi anni con Guido”. Un’amicizia che ad un certo punto è stata accomunata anche da una gravissima malattia, il tumore, che ha colpito entrambi. Dice Mario Balsamo: “L’esperienza della malattia. Una esperienza fondamentale. Dopo, quando tutto era finito, con la malattia sconfitta, la necessità di raccontarla è diventata come necessaria”. Noi non siamo come James Bond,  vincitore a Torino del premio della critica alla 30a edizione del TorinoFilmFestival  (una giuria presieduta dal regista  Paolo Sorrentino, in quella che è stata l’ultima con la direzione artistica di Gianni Amelio),  è un opera meritatamente acclamata e compresa. Decisamente resta l’occasione per dimostrare, se ce ne fosse ancora il bisogno, quanto il genere del documentario incontri proprio oggi in Italia i tempi di una modernità davvero assoluta, di una realtà e di un progetto anche necessari all’industria del cinema. Il genere del documentario resta sempre e comunque un esercizio di stile che incarna meglio di altri la complessità e la difficoltà di chi racconta, attraverso il cinema, proprio la realtà più viva, immediata. Perché nel contesto e nella grammatica di un documentario dopo non è detto che siano interdetti assolutamente il divertimento e la creatività artistica, l’ironia ed il sarcasmo.  Insomma non è detto che con il documentario sia privato o negato lo spettacolo.  Già Cesare Zavattini, grande mentore del cinema migliore di Vittorio De Sica, quello del neorealismo più puro e spontaneo, diceva: “Ci vuole più fantasia e più poesia a raccontare un fatto vero piuttosto che ad inventarlo” . Un concetto, in definitiva, che sembra uscire netto e sobrio anche dalla ultima opera di Mario Balsamo.

D’altra parte noi insistiamo a pensare che gli anni della storia italiana e del boom economico,  restano raccontati a sufficienza, e magnificamente bene, soprattutto da film di finzione, voluti da una industria cinematografica italiana all’epoca ancora decisamente fiorente: Tutti a casa, 1960, Luigi Comencini, La grande guerra, 1960, Mario Monicelli, Il sorpasso, 1962, Dino Risi, Una vita difficile, 1962, Dino RisiLe mani sulla città, 1963, Francesco Rosi, I compagni, 1962, Mario Monicelli, ma anche Sedotta e abbandonata, 1964, Pietro Germi, Io la conoscevo bene, 1965, Antonio Pietrangeli, C’eravamo tanto amati, 1974, Ettore Scola, La terrazza, 1979, Ettore Scola, questo tanto per fermarci solo ad alcuni titoli, ma quanti altri se ne potrebbero aggiungere. Invece per dare proprio conto davvero dell’Italia di oggi, considerata la produzione corrente dei film di finzione nazionali, che non vanno o non sanno andare oltre la camera e la cucina del loro appartamento, non si può fare a meno della produzione documentaria, anche se questa rimane ancora una produzione offerta e vissuta piuttosto in clandestinità, sempre e comunque, dalla logica malata del mercato.  Dice Mario Balsamo: Certamente continuiamo ad avere vita molto difficile nelle sale. Nonostante il numero delle produzioni di film di tipo documentaristico sia notevolmente in aumento, restano sempre pochi i circuiti disposti ad ospitare il genere, la volta che ci si riesce poi non c’è mai la garanzia del tempo e della fiducia, che sono veicoli necessari per ogni prodotto culturale, affinché possa davvero affermarsi, incidere”.

Noi non siamo come James Bond  è un film che si fa vedere assolutamente con piacere, noi lo diciamo francamente, è un film che fa sentire la platea davvero partecipe, esattamente sembra collocarla proprio al di là del telo bianco.  Ed è un film che ci contempla, nel frattempo, e ci plasma, persino, in un terrore terreno.  Anzi ci offre quasi una sorta di esorcizzazione nei confronti del male assoluto, quella che può essere il disagio, l’ansia, la traversia ed il processo che si apre, purtroppo, contro una malattia importante.  Grazie davvero, di cuore,  a Mario Balsamo e a Guido Gabrielli  per questa forza speciale che sono riusciti a costruire con la positività della loro volontà e con l’ironia ed il dinamismo del loro film. Una malattia, il tumore al ginocchio, che il regista Mario Balsamo ha vissuto praticamente  (come il suo amico Guido Gabrielli, colpito da una leucemia)  e condotta proprio in silenzio ed in solitudine, non coinvolgendo assolutamente nella circostanza la sua famiglia, confidando anzi proprio nell’opera filmica in previsione, quale veicolo di comunicazione generale del suo dramma, dell’evento decisamente sconvolgente, al mondo intero. Un merito assoluto anche questa scelta, da ascrivere a Mario Balsamo, ed alla sua passione per la concreta e decisa testimonianza, finanche poetica, attraverso il mezzo cinematografico. Mario Balsamo appartiene, in definitiva, a quella schiera di documentaristi che intendono dare al loro lavoro, alla loro comunicazione,  un valore assolutamente ironico e creativo. Dice Mario Balsamo: “Certamente si, ed in questo senso ed in questo film l’ironia è già tutta contenuta nel titolo, Noi non siamo come James Bond. È un titolo che testimonia e sottolinea fortemente soprattutto la nostra mortalità, le due bruttissime malattie che hanno colpito me e Guido, in questo senso, se prevalevano, potevano parlare chiaro, poi il processo filmico, in definitiva, ci pone dopo in netta relazione con chi pensiamo sia, in realtà,  l’immortale per eccellenza, l’invincibile, ovvero James Bond,  fino a scoprire che, invece…”.

Il film di Balsamo trasferisce la malattia sullo schermo, indirizzandola in un percorso privo, tutto sommato, di vittimismo,  anzi, forse, scherzandoci proprio sopra. Un occhio, nello stile narrativo, come ci ha detto Balsamo, è posato anche verso il grande cinema “on the road”, alla  Easy Rider, 1969, di  Dennis Hopper, o Electra Glide, 1973, di James William Guercio. Ed il dato autobiografico, comunque spesso presente nella filmografia di Balsamo, non è più proprio quello della meglio gioventù, quando cioè Mario Balsamo e Guido Gabrielli si sentivano certamente sani, forti ed invincibili, proprio come il James Bond citato nel titolo, ed i luoghi non sono più quelli lontani come un tempo, ma più semplicemente questo film è il viaggio nei luoghi della effettiva esistenza, Sabaudia, Latina, Perugia. Dice Mario Balsamo: “Allora, in quei primi film ed in quei primi viaggi, era l’universo dei vent’anni, la nostra vita avventurosa era consumata davvero dentro jeans sdruciti e magliette zozze. Quando siamo partiti con le riprese de Noi non siamo come James Bond  naturalmente questa immagine era ormai vieta, forse anche superficiale. Rimaneva, di quei periodi, impresso nella mente solo il mito eterno, adolescenziale, di James Bond, un eroe comunque immortale ai nostri occhi. Noi invece venivamo da un lungo braccio di forza contro la morte”.  

D’altra parte Mario Balsamo proviene da documentari di viaggi davvero memorabili, da incontri con culture affascinanti e straordinarie per i loro costumi e per i loro misteri, in questo senso almeno quattro titoli restano da antologia  e consigliabili, se possibile, ad una religiosa visione: Un altro mondo è possibile, 2001,  Sotto il cielo di Baghdad, 2002, Il villaggio dei disobbedienti, 2002,  Mae Baratinha, una storia di Candomblé, 2006. Carlo Verdone, ad esempio  (ma anche Paolo Sorrentino), è sempre stato un fan ammirato dalla filmografia di Mario Balsamo, ma per Noi non siamo come James Bond l’ammirazione ha toccato decisamente l’innamoramento. Già a Torino, durante le giornate del festival, Verdone ha sostenuto ed incitato il film, scegliendo poi di scendere in campo anche praticamente, accompagnando la pellicola di Balsamo nelle varie presentazioni in giro per le sale italiane. Noi non siamo come James Bond ha poi risposto immediatamente anche ad una domanda umanitaria, sostenuta anche questa con forza da Carlo Verdone: quella di sostenere l’importante impegno della Lega Italiana Lotta contro i tumori. E resta un altro pregio assoluto, questo, da ascrivere decisamente alla pellicola di Mario Balsamo. E, perdonate l’inciso, ma non bisogna mai smettere di comunicarlo, i casi privati di Balsamo e di Gabrielli ne sono una testimonianza diretta ed una conferma che il film comprende e decisamente rilancia; nel nostro paese i dati più recenti documentano proprio che i malati di tumore oggi vivono più a lungo ed in condizioni sempre più dignitose rispetto alla media di altri paesi in Europa. Inoltre, a cinque anni dalla diagnosi e dalle cure, quasi la metà dei pazienti oncologici può rivelare di avercela fatta. E dal film di Balsamo si fa chiaro e netto anche un messaggio importante: il nefasto concetto di male incurabile verso il tumore oggi può quasi appartenere decisamente al passato. Per questo l’incoraggiamento, l’appoggio ed il sostegno ad associazioni che si impegnano affinché gli studi contro il male del secolo riescano a crescere sempre di più e la malattia abbia un percorso sempre meno invasivo e prepotente, non deve venire mai assolutamente meno. Poi, se altre strutture della società di questo percorso sembrano farne un po’ a meno, resti il cinema, come in questo caso con la decisione di Balsamo e della produzione del suo film, promotore di un progetto di così vasta portata umanitaria e di carattere così universale. Basterebbe semplicemente pochissimo, una percentuale pur minima dagli incassi, e poi dagli utili, per dare vita ad un progetto cosi essenzialmente necessario. Noi non siamo come James Bond di Mario Balsamo il progetto lo ha attuato e lo sta portando magnificamente in fondo, a termine.

Ultima splendida chicca: Noi non siamo come James Bond, ed è un piacere riammirarla nel ruolo di se stessa Daniela Bianchi, che fu una icona nel mitico cinema di genere degli anni sessanta e che proprio con James Bond, l’attore  Sean Connery, interpretò nel 1963 un mitico 007 diretto dal regista Terence Young,  decisivo anche per la sua carriera di attrice: Agente 007: Dalla Russia con amore:

Giovanni Berardi 


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