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Martina Campi - Cotone

Da Ellisse

Martina Campi - Cotone - Buonesiepi Libri 2014, con illustrazioni di Francesco BalsMartina Campi - Cotone - Buonesiepi Libri 2014amo

Ancora una poeta, ma non è una questione di genere (o non dovrebbe esserlo), è proprio una coincidenza. Anche Martina Campi è passata velocemente in questo blog (v. QUI), qualche tempo fa. Se Estensioni del tempo era per me un canzoniere del tempo rallentato, del "momento", sostanzialmente astorico, in cui le cose "avvengono" tout court (e in questo era perfettamente attuale, in sintonia con tantissima  della poesia italiana di questi anni), in questo ultimo libro mi pare che la scrittura, almeno per la maggior parte dei testi, si sia ulteriormente rarefatta, raggiungendo spesso una filigrana da cui traspaiono, più che dei meri accadimenti, delle percezioni, degli umori, delle epidermiche variazioni di temperatura. Non si tratta però di superficialita, né di poetica del frammento (o del brandello) di vita, ma - semmai - della necessità di avvicinarsi (nella "descrizione" comunque intesa)  a quel limite presso cui si può ancora significare con la parola (o suggerire)  senza cadere nel baratro dell'insignificanza o del rapporto autotelico (ma con la fascinazione ultima, per dirla con parole di Martina, di un "silenzio necessario"). C'è in sostanza in questa rarefazione una sperimentazione in atto, un lavoro sulla parola che il lettore ben percepisce, accettando di attraversare le radure, gli spazi, gli interstizi che in questa scrittura si aprono.

Il punto di vista, io credo, è ancora quello intimamente soggettivo, soggettivo fino alla scelta di elementi deittici ("Su scalini scolpiti nel bianco / si accalcano ginocchia. // Bisogna uscire di qui! E restare vivi."; "Saremo sempre , dove siamo / stati", corsivi evidenziati miei) che fanno diretto riferimento ad una realtà (un dove?, un quando?) inconoscibile o vaga o conosciuta solo da chi scrive. Una realtà conclusa che però persiste nel presente con allungamenti come pennellate liquide su una tela, che sfumano in una poesia dell'indeterminato, di un pensiero inquieto come una conversazione faticosa o imbarazzata o  un monologo a cui il lettore è invitato ad assistere, a percepirne le eteree note di fondo

L'obbiettivo è quello, a mio avviso, della rappresentazione di una instabile relatività emozionale o affettiva, di una volatilità delle cose e delle relazioni che ciascuno di noi prima o poi è chiamato a sperimentare, di una impermanenza eraclitea però tutta contemporanea, cioè irrimediabilmente compromessa da una sostanziale assenza di futuro, come un fiume che porti sempre la stessa acqua. E' un segno dei tempi, o almeno uno dei diversi modi possibili di vedere questi tempi che corrono, uno dei diversi approcci, anche psicologici, di affrontarli come individuo solitario. Una volatilità per la quale spesso lo stesso ricordo, inteso nella sua completezza "narrativa", è inadeguato - come forse lo sarebbe, se qui aleggiasse, il suo gemello, il sogno, pur con tutta la sua forza perturbante, o una immaginazione "desiderante" - e si esplica in frammenti, echi, ripetizioni che pure hanno un preciso obbiettivo impressionistico. Lo scenario è quello di un quotidiano senza particolari connotazioni, "delocalizzato" direi, nel quale non avviene realmente nessun "fatto" circoscrivibile, una situazione limbica di oggetti sfumati in cui resta protagonista un tempo dilazionato, una specie di attesa degli avvenimenti. In qualche misura poesia dell'irrelato, sospesa tra causa ed effetto (ma questa sospensione è un dato esistenziale diffuso), di un simbolismo dal "respiro trattenuto", prendendo in prestito parole della nota di Giampaolo De Pietro.

Ma detto tutto ciò, alla chiusura del libro resta e permane una certa fascinazione, specie in alcuni testi ben scritti (v. ad es. Dimmi che cosa vedi III) e specie ad una lettura  meditata, come dovrebbe essere sempre, di questo tipo di scrittura in cui i salti, gli spazi, i vuoti hanno un preciso valore fonico e musicale, che l'autore chiede al lettore di rispettare. Certo, in ultima analisi e al di là di nodi che per me andrebbero sciolti, ha ragione De Pietro quando parla di "scrittura chiara e dura a rompersi" e che tuttavia "si raggiunge, allo spezzarsi della fibra del cotone, il soffice, l'equilibrio sul filo a tutto corpo". E' in questo equilibrio, forse precario forse no ma sempre speranzosamente sostenuto dal filo tenace della scrittura, che si trova molta della poesia italiana attuale. (g.c.)


*

S'è detto di
un'anestesia alle corde vocali ma
non durerà, per il resto della vita.


Così,
uccellino esotico:
spiumo colori raminghi


e le voci nella sala non s'incontrano,
scheletri di parole perdute, tra polveri e metalli
alla spina, spirali di lingue e ipotesi azzardate:


girano intorno. Presentano domande,
tendono consigli
-opportunità di buoni consigli-


: la definizione di un obiettivo;
: una piccola kunzite a portata di mano;
: l'aprirsi all'amore innato degli altri; -che:


dietro il dolore si accampano bruttezze
senza voce non si sarà colorati
senza anestesie tutto brucia.


Così, ci si sveglia su letti barricati
d'occhi, mani, altre porte
curve di sguardo e carezza, verso la casa.

*

E poi domani sarà sera troppo presto.
Troppo giallo nel buio.
Troppo buio nel giallo.


Questa mattina pioveva:
si scivolava sul bagnato come
niente con la bocca aperta,
dalle parole superflue.


E poi domani sarà già sera,
una gola graffiata
dalla pioggia e dall' asfalto.


Cambia il colore della moquette.
Cambia la temperatura sotto i cappotti.
Cambia la ruvidezza delle pareti.
Allora, grazie di tutto.
Grazie, eh, di tutto tutto.
E noi, tra poco, non saremo più qui.


(Mi affido ai cappelli)

*

Il silenzio delle finestre
ha parole d'altri spazi,
interstizi sottili illuminati di bianco,
decori del buio.


Immaginavi di percorrere
le rugosità pallide della parete.


Le tende sono lontane dal divano.
I movimenti leggeri sono lontani dal divano.
Non dirò niente.


Non posso dire che gli spazi.
Piani che volano su altri piani.
I miei piani di non dire niente.


La donna urla da lontano, in un'altra sera
che è calda, grossa, rossa,
sopra la biancheria, sopra la televisione
fatta a pezzi, oltre la finestra, pezzi di vetro dalle finestre


sudore e strappi esplodono, ridono, scalciano
-oltre la piazza, i blocchetti, la meridiana-

piani su piani del silenzio piani, su piani. Lampioni


divani lontani, lenti, sudati, su piani, su piani.
Così, a venire, dragare brezze notturne,
murare sospetti, rossetti scorretti,
vestaglie apparse appassite. Arse.


(Disegnata contro la notte)

*

La forma del corpo si fa conca.
In mezzo al nulla, qui;
oscillando selvaggiamente:


non ci si può sottrarre ma
restare non visti nel soffice soffuso stanco
chiarore rossastro e leggero, nella sera in cui
tutti se ne vanno via e provare
un affetto incontrollabile per le cose


nelle quali tutto è contenuto a bruciare
sopracciglia
e le mattine di fuori, all'attenzione
incorniciata, tutta, che no, non fa dormire.
Senza pensare ha luogo il respiro.


Quarta e ultima fase dell'apprendimento:
non riuscire nella distruzione
della solidità fluente del passato;
favorendo la pietra grezza
di disperata bellezza spacciata
inconsciamente consapevole, risplende.


Poi, durante i giorni a venire e fra suoni intermittenti
rumori di pioggia diffusa, tentativi ornamentali
motivi ricorrenti del volere del sentire, prima, leggerezza
del colpire prendere alla gola sviscerare custodire
anche quello che si fa per stanchezze informi,
durante i prossimi giorni a venire giorno per giorno
senza quiete, la costanza del desiderio che si spegne
la piccola febbre confusa e senza sentimento:
tutto questo consumare in una stanza
sarebbe chiaramente presupposto.


Né una volta, i presunti gesti che comunicano,
i dati negli occhi umani, gli occhi ai confini.
Frasi senza paragoni prendono la disintegrata forma
dell'incompletezza rassegnata, incoerente, distrutta tutta
fino al prossimo (in)atteso incontro
fino al prossimo abbandono.

*

Hai portato il sole e guardo fuori.


Il silenzio è necessario come la luce.
E ora, qui, non ci sono che fogli bianchi, ammucchiati.


Ho atteso tanto.
Tanto tanto ho atteso.


E ora.


Il silenzio è necessario.

*

Le curve del cielo,
le piste col fango,
due parole con te


quando è notte
quando si fa sera
quando non passa il mattino
quando dorme il pomeriggio


Le palpebre scollano spesse le dita
e vorrei riderti e correrti
fuori dall'ombra dei nostri campanili,
invece di lasciarmi addormire qui, così lontano.

*

Nel tuo parlare di me
ritrovo la forma curvata delle nostre mani


e dall'alto ti sento carne,
come sei


i pensieri oggi si fanno dono
i ricordi farfalle.


Sono linguaggi che ci riguardano,
ventilatori che spargono buffonerie in giro,
solo per noi.


Saremo sempre lì, dove siamo
stati


[non si è ancora sciolta tutta,
   la neve che ho in tasca]


Chi sono se tu ti ricordi di me.


(Ci s'incontra nei panorami)

*

Dimmi che cosa vedi

III


Così com'è, proprio così com'è
contiamo tutte le prime volte
e confrontiamo


Le luci i colori le voci cocci
e così, sospese e le interruzioni
impreviste


Con le improvvise scariche
di pianto su rapporti e vizi,
e virtù e una mandria
di terra e fango e lacrime e vestiti
che non si cambiano più.
E tutto l'accumulare tutto l'accumulare
l'abbiamo lasciato agli altri,
più precisi e sempre là
sempre là che c'era da fare
e poi si tornava soli
perché tutto era già finito, tutto
e non c'era più nessuno
e quelle cose portate fin qui
e lasciate sole
abbandonate sotto il buio.

che magari piove
non occuparsene
(so solo che non so)
quando questo tempo provoca
gli smottamenti,
che tutto si sposta,
tutto si muove
e non c'è più nessuno


ci vuole qui qualcuno per amore
e non c'è tempo,
non ci sono coltelli la notte
e magari ci sono le sviste.


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