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Maschi mancati o pornofantasie: sessualità lesbo, stereotipi e repressione.

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

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Satana era una lesbica.

Di rappresentazioni femminili si parla  spesso, sviscerandone la strumentalizzazione pubblicitaria, la mercificazione sotto un  unico canone estetico, l’imposizione di stigma sociali.
Queste rappresentazioni sono pensate e realizzate per lo più per uno sguardo attivo maschile, dunque in una prospettiva di attrazione eterosessuale, dominante nella propaganda sociale, ancor di più in quella mediatica.

Le donne rappresentate, 99 volte su 100 sono donne eterosessuali, o comunque percepite tali solo per il fatto di porle e spogliarle in funzione del piacere e del godimento di uno sguardo maschio.

Una donna lesbica subisce dunque un’ ulteriore marginalizzazione dalle rappresentazioni mediatiche e un’ennesima discriminazione nelle forme di espressione in cui viene ritratta.

Partiamo infatti dal presupposto che per lo più le lesbiche “non esistono” ( e sì, questo è anche il titolo di un riuscito documentario ), cioè sono per lo più invisibili o con una visibilità mediatica minima, sempre superate in ambito omosessuale dall’apparente dominanza dell’uomo gay così come medium comanda.

Quando poi una donna lesbica si vede rappresentata, si ritrova cuciti addosso stereotipi che riguardano a tratti la sua identità femminile, a volte quella dell’orientamento omosessuale.
Se si uniscono danno vita normalmente al giudizio supremo: la troia anormale.
Quella che osa avere una sessualità fuori dalla “natura” del sesso fatto con la scusa della riproduzione e che in ogni modo sfugge al controllo patriarcale.

Ma partiamo dalle prime banalità.

Ancora oggi, la maggior parte delle persone crede che le lesbiche siano tutte maschiacce, abbiano i capelli corti, modi di fare considerabili “da uomo”, siano grezze, sfacciate, pelose. Tra i modi di fare “maschili” è incluso il bere alcolici, saper guidare, fare carriera.
E che siano tutte acide, sagaci, incutendo un po’ di timore ai maschietti, proprio per una sorta di “invasione di campo”.

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Tranne quelle dei film porno. Quelle no, non hanno un pelo neanche a cercarlo col microscopio, sono tutte molto femminili, fanno sesso sempre in pose a favore dello sguardo – maschile, certo, anche quello – di chi guarda, perchè in fondo non bastano neanche a se stesse. L’omosessualità femminile non estingue la considerazione delle donne quali oggetti sessuali, ma semplicemente le porta su un campo di fantasie maschili differenti, ma che comunque hanno gli uomini come protagonisti attivi.

Le pornolesbiche esistono per eccitare le fantasie altrui. Maschili eterosessuali, ovviamente.

Noi non siamo la tua fantasia. Noi siamo la nostra realtà.

Perchè non anche quelle di altre donne lesbiche?

Chi fa questa domanda di solito non ha mai visto un film porno “lesbo”, altrimenti la risposta se la darebbe da sè. Come mostra anche un documentario di Davey Wavey, Real Lesbians React to Lesbian Porn”( Vere Lesbiche Reagiscono al Porno Lesbo ), dove il tentativo è l’esplorazione della sessualità lesbo, messa di fronte a quella spacciata per tale dal porno mainstream e dall’immaginario maschile.

Le reazioni – oltre che molto divertenti – confermano quanto già detto: il porno lesbo rappresenta donne lesbiche per uno sguardo maschile, tanto quanto il porno etero mainstrem rappresenta desideri e corpi femminili in funzione di un uomo che guarda.

Qualche dettaglio rivelatore? Dal documentario ecco i commenti più rilevanti:

- Nessuna lesbica ripete così spesso “sono lesbica, mi piacciono le donne”, quanto in un film porno: normalmente lo si dà per scontato nell’atto.

- Le attrici hanno unghie lunghe, troppo lunghe! Artigli più seducenti per agguantare membri maschili che non per squarciare povere fanciulle.

- Le decoltè a tacco 15 non sono di uso così comune… soprattutto per un uso che non sia metterle ai piedi.

Conoscete altre assurdità sulle presunte pornolesbiche?
Noi rimandiamo alla visione del mini documentario per ulteriore approfondimento!

 

Sì, siamo lesbiche. No, non puoi guardare.

Una donna lesbica  subisce quindi tutte le discriminazoni e le ghettizzazioni del suo sesso biologico, ma a queste si uniscono, oltre i drammi esistenziali imposti da una società che finge di non vedere le differenze di genere, gli stereotipi e le banalizzazioni legate all’omosessualità femminile.

Una donna lesbica è spaccata a metà tra chi la immagina come un ometta pelosa e dal rutto libero e chi la sogna a realizzare le fantasie sull’amore saffico per maschietti.

Una donna lesbica deve lottare prima di tutto per esistere, poi per essere accettata, solo infine per capire i propri desideri, i propri sogni al di là di quello che le strumentalizzazioni le cercano di imporre. Fin qui sembra lo stesso percorso di una qualsiasi donna etero.

Solo che una donna lesbica per molti sarà sempre prima lesbica che donna.
E le sembrerà di doversi definire per sempre prima lesbica che donna, per rivendicare se stessa.
La categorizzazione sessuale pesa ancora di più su chi viola “la norma”, che su chi la rispetta  e magari si concede qualche trasgressione nel limite dell’emancipazione consentita.

Chiuse in scatole sempre più piccole, con etichette sempre più nette, come se non fosse possibile amare, fare sesso, inseguire i propri desideri fuori da un orientamento fisso e inequivocabile. Perchè ogni infrazione alla “norma” deve essere catalogata e fissata perchè non sia nociva dell’ordine costituito, perchè sia controllabile e reprimibile.

Qualche settimana fa, a Roma, sulle mura del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli sono comparse scritte contro Rossana Praitano, candidata nelle liste del PD alle Comunali.
Lesbofobia, paura delle lesbiche. Misoginia, odio nei confronti delle donne.  Questi due atteggiamenti culturali si uniscono nell’avversione contro le scelte libere delle donne che non venerano il fallo. E, come per le codificazioni svilenti o violente contro le donne eterosessuali, è dannoso non rilevare il nesso tra questi messaggi, questa sub cultura purtroppo diffusissima e la crescente violenza contro le lesbiche.

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Lesbiche al rogo. Praitano lesbica da curare. Donne a casa a fare figli.

Dagli stupri correttivi ( di cui tempo fa si parlava solo riferendosi al Sud Africa, ma che accadono anche in Europa, anche in Italia ) nel tentativo di “curare” la devianza sessuale del lesbismo, alle scritte, alle minacce e alle discriminazioni quotidiane, ognuna di queste violenze è supportata dalla diffusione di stereotipi sulle donne lesbiche ( malate, infoiate, “maschi mancati”, ad uso e consumo dell’uomo ) esattamente con quelle che si sviluppano verso le donne eterosessuali. Se non di più.

In Italia non solo mancano leggi su matrimonio e adozione gay, ma soprattutto è costantemente in atto il tentativo di reprimere l’esistenza delle persone omosessuali ancora proponendole come malate/deviate o come fenomeni da schernire, ma non è raro che lo stesso uomo che si batte contro i diritti delle lesbiche si trastulli poi con qualche video porno sul tema o che la donna che le considera “fuori natura”, non faccia lo stesso col patriarcato che sfrutta la prostituzione o l’immagine femminile.

Diritti no, porno sì. Desideri no, strumentalizzazione molta. Tutto ad uso e consumo della repressione.


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