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MASSIMO PITTAU – I COGNOMI DELLA SARDEGNA (Ipazia Books, 2014)

Creato il 18 gennaio 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

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cognomi della sardegna animazione 3dAI FRATELLI SARDI

DELLA EMIGRAZIONE

Tengo a premettere e precisare che questa III edizione della mia opera è alquanto differente dalle due precedenti soprattutto rispetto al contenuto. Come è ovvio, il materiale di studio è sempre quello, ma questa III edizione differisce dalle precedenti in questi fatti importanti: 1) Contiene anche i cognomi forestieri, cioè quelli di origine catalana, castigliana o spagnola e quelli propriamente italiani, con la conseguenza che adesso risulta più ampia almeno di un terzo (ora i cognomi sono circa 8.000); 2) Contiene anche l’indicazione di molte località (città e paesi; però non tutti), in cui risultano attestati i singoli cognomi, località utili per eventuali ricerche sulle famiglie dei titolari dei cognomi stessi; 3) L’etimologia e cioè l’indicazione del significato e dell’origine di molti cognomi risulta mutata radicalmente e ciò come effetto di due importanti circostanze: da una parte io ho nel frattempo pubblicato due opere dedicate alla toponomastica della Sardegna (l’antroponomastica e la toponomastica si richiamano spesso a vicenda, dato che molti cognomi derivano da nomi di località e viceversa), dall’altra ho pubblicato l’importante opera generale intitolata Dizionario della Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico (2 volumi, Cagliari, 1999, 2002), in virtù della quale numerose etimologie di cognomi sardi prospettate nella mia precedente opera risultano in questa mutate del tutto o almeno trasformate in parte.

Questa edizione dunque si caratterizza come un’opera a sé, abbastanza differente da quella precedente. È del tutto ovvio che la metodologia di studio da me adoperata nella presente opera è e non poteva non essere esattamente uguale a quella da me stesso adoperata nella mia prima opera. E pertanto proprio per la metodologia non mi resta che rimandare a quella da me esposta nella Introduzione dell’opera precedente. Qui però mi pare opportuno fare alcune precisazioni, le quali sono l’ovvio effetto di una mia ulteriore maturazione di studio e di consapevolezza linguistica.

In primo luogo mi sono convinto dell’idea – e qui la espongo per la prima volta – che soprattutto la antroponomastica dimostri che la glottologia o “linguistica storica” è strettamente legata e dipendente dalla storiografia generale. Tutte le argomentazioni che noi linguisti possiamo fare circa l’origine dei nomi personali e dei cognomi, argomentazioni fatte sui loro “significati” e sui loro “significanti”, per complete ed esatte che siano, possono essere contraddette e spazzate via dai documenti e dai risultati ottenuti, sugli stessi nomi personali e cognomi, dalla ricostruzione effettuata e prospettata dagli storici. Mi sono pertanto convinto che soprattutto con l’antroponomastica si deve sempre dare per scontato e per sottinteso il seguente principio metodologico generale: le argomentazioni prospettate da noi linguisti sono da intendersi valide, salve eventuali prove contrarie o differenti prospettate dagli storici.

E proprio su questo punto mi sento di dover insistere su un concetto fondamentale, già espresso in precedenza: ricostruire la storia dei cognomi non si significa affatto ricostruire la storia delle rispettive famiglie titolari. Ed è per l’appunto la storia di una determinata famiglia, ricostruita da uno storico, quella che potrebbe contraddire e distruggere alla base la storia del suo cognome, quale noi linguisti abbiamo ritenuto di prospettare in una nostra ricostruzione precedente. Insomma i facta e le res gestae di una famiglia, recuperati ed esposti da uno storico, potrebbero distruggere alla radice la spiegazione del suo nomen quale un linguista ha pensato di prospettare. Ovviamente intravedo che questa considerazione lascerà delusi molti lettori, soprattutto rispetto alla mancata storia della loro famiglia, ma sta di fatto che noi linguisti non siamo per nulla in grado di cambiare il carattere e le modalità della nostra disciplina.

D’altra parte c’è anche da precisare che l’etimologia o ricostruzione del significato e dell’origine degli “antroponimi” è, almeno in linea generale, assai più difficile e soprattutto assai più aleatoria ed incerta di quella dei vocaboli comuni od appellativi. Ciò dipende dal fatto che la ricerca etimologica relativa a un determinato appellativo consiste nella ricostruzione all’indietro di due differenti catene linguistiche, la catena temporale dei suoi “fonemi” (o serie diacronica dei suoi “significanti”) e la catena temporale dei suoi “valori semantici” (o serie diacronica dei suoi “significati”) rispetto a quelli corrispettivi del vocabolo-base originario; invece la linguistica storica può tentare di prospettare l’etimologia di un antroponimo avendo spesso a sua disposizione solamente la catena fonetica, quella cioè dei soli suoni fonici che costituiscono il suo «significante». Per molti antroponimi dunque la glottologia incontra gravi difficoltà a ricostruire anche la loro catena semantica, dato che essi col passare del tempo hanno perduto completamente il «significato», cioè sono diventati “opachi” rispetto alla coscienza linguistica dei parlanti. Ricorrendo ad un’immagine si può affermare che, mentre per l’etimologia dei comuni appellativi la glottologia cammina con due gambe, quella fonetica e quella semantica, cioè con due serie di fatti e quindi di prove, per l’etimologia degli antroponimi sovente essa cammina con una sola gamba, quella fonetica soltanto. Ed è appunto questo il motivo essenziale che rende spesso assai difficile e soprattutto molto incerta e aleatoria la ricerca etimologica del linguista intorno agli antroponimi.

Questa considerazione spiega e giustifica il largo uso che io faccio degli avverbi «probabilmente» e «forse» ed inoltre delle locuzioni verbali «può essere…, può significare…» oppure «potrebbe essere…, potrebbe corrispondere…» premesse alle mie spiegazioni etimologiche di non pochi cognomi. Ancora questo spiega il fatto che per molti cognomi io presento non una sola, bensì più spiegazioni etimologiche.

L’ordine di presentazione di queste possibili spiegazioni etimologiche da me prospettate per un certo cognome è decrescente rispetto al loro grado di “probabilità” o di “verosimiglianza”. D’altronde, nel caso di più e differenti spiegazioni etimologiche di uno stesso cognome, io faccio uso anche delle espressioni «in subordine», «ancora in subordine», «sempre in subordine».

Ripeto che di molti cognomi si possono prospettare etimologie differenti ed io nella mia opera precedente avevo prospettato perfino 6 differenti possibili etimologie di qualche cognome. Per effetto dei miei nuovi studi mi sono persuaso che c’è il grave rischio di esagerare in questa direzione. Mi sono persuaso che per i singoli cognomi si debbano lasciare perdere le etimologie “fuori mano”, anche se sono pienamente legittime sul piano strettamente linguistico, e si deve invece optare solamente per quelle più ovvie e soprattutto per quelle “meno costose” in termini di analisi e di critica linguistica.

*   *   *

Si sa per certo che in tutti i domini linguistici numerosi cognomi in origine erano «nomi personali»: ad esempio: Antoni = «Antonio», Marche = «Marco», Marine/i = «Marino», Martine/i = «Martino». Questi originari nomi personali, che con l’uso sono finiti col diventare cognomi, talvolta compaiono nella forma del vezzeggiativo, ad esempio Pittau = «Sebastiano», oppure del peggiorativo, ad esempio Cesaracciu = «Cesaraccio» oppure dell’accrescitivo, ad esempio Chirigoni = «Quirico,-one» o infine del diminutivo Pericu = «Pie(t)rino».

Però risultano nella forma del diminutivo anche altri cognomi che non derivano da originari nomi personali: ad esempio: Corbeddu, diminutivo di Corbu; Ruggittu diminutivo di Ruggiu. In questi casi spesso la forma diminutiva in origine indicava la “filiazione”. Ad esempio Antoni Corbeddu poteva significare anche «Antonio figlio di Serbadore Corbu», Maria Cordedda poteva significare anche «Maria figlia di Antoni(-a) Corda».

La “filiazione” rispetto al padre o anche alla madre, poteva essere indicata in un altro modo, cioè col genitivo patronimico oppure matronimico: ad esempio Zoseppe De Chiccu in origine significava «Giuseppe (figlio) di Chicco» (cioè di Francesco); Bobore De Rosa significava «Salvatorino (figlio) di Rosa».

Col genitivo introdotto dalla preposizione de poteva, però, essere indicata non la paternità né la maternità, bensì la famiglia: ad esempio Jubanne Demela in origine poteva significare «Giovanni de(lla famiglia) Mela».

Un certo numero di cognomi sardi, derivati direttamente da altrettanti gentilizi o cognomina latini, mostrano chiaramente di avere ancora la vocale finale dell’originario vocativo, che era il caso morfologico più frequente coi nomi personali (un individuo viene più spesso “vocato” o “chiamato” che non “nominato” o “citato”): Catte, Cattide, Fenude, Marche, Menne, Merche, Nonne, Secche, Tedde, derivati rispettivamente dai latino Cattus, Cattidius, Venutus, Marc(i)us, Mennius, Mercius, Nonnus, Seccius, Tellus. E poi questi altri: Asproni, Calvisi, Cherchi, Cugusi, Curreli, Mameli, Masili, Masuri, Mauddi, Monni, Mugoni, Muroni, Musuri, Nonni(s), Orani, Salari, Secchi, Tatti, Useli, Verachi, derivati rispettivamente dai latino Aspronius, Calvisius, Cercius, Cocusius, Currelius, Mamelius, Masilius, Masurius, Magullius, Monnius, Mugonius, Muronius, Musurius, Nonnius, Oranius, Salarius, Seccius, Tattius, *Uselius, Veracius.

*   *   *

Rispetto all’etimologia dei cognomi propriamente italiani, in primo luogo faccio osservare che per un certo numero di essi sono io il primo a tentarne, nella presente opera, un approccio linguistico, per il significato e per l’origine. In secondo luogo ritengo di avere appurato che nella antroponimia italiana gioca un ruolo enorme il vezzeggiativo dei nomi personali, i quali sono finiti per diventare appunto altrettanti cognomi.

Inoltre ritengo di aver accertato che quasi tutti i cognomi propriamente italiani che finiscono con la vocale -i (ad esempio Filippini, Giovagnoli, Lombardi, ecc.) non sono altro che altrettanti “plurali di famiglia” (esattamente, del resto, come avviene nei numerosi cognomi sardi che finiscono con la desinenza plurale -s); e con ciò ritengo di dover respingere la tesi prospettata a suo tempo da Gerhard Rohlfs, secondo cui la -i finale di molti cognomi italiani sarebbe quella di un originario genitivo latino. D’altronde sull’argomento si deve considerare che appartiene tuttora al corrente ed esatto uso della lingua italiana la dizione «i Bianchi, i Rossi, i Grimaldi, i Visentini, ecc.», evidentemente al plurale.

Mi sono inoltre convinto che sono numerosi i cognomi italiani che sono derivati dal nome delle località di nascita o di origine dei rispettivi titolari: Cremona o Cremonesi, Milani o Milanesi, Romagna o Romagnino, Verona o Veronesi, ecc.

È infine opportuno precisare che oramai in Sardegna i cognomi propriamente italiani sono molto numerosi ed inoltre essi compaiono o scompaiono di anno in anno per effetto di trasferimenti, anche brevi, di cittadini peninsulari nell’Isola. Ed allora, per non presentare un’opera fortemente sbilanciata a favore dei cognomi propriamente italiani, ho preso queste due decisioni: I) di non prendere in esame quei numerosi cognomi italiani che sono del tutto “trasparenti”, ossia che sono di facile ed ovvia comprensione non soltanto per i linguisti, ma anche per i comuni parlanti di lingua italiana, come potrebbero essere i cognomi Bianchi, Rossi, Grassi, Lombardi, Romagna, Veronesi, Innocenti, ecc. ecc.; II) di tralasciare quei cognomi italiani per i quali non sono riuscito a trovare una proposta etimologica almeno probabile (e in effetti questo stesso accorgimento è stato adottato anche da Emidio De Felice nel suo Dizionario dei Cognomi Italiani, Milano 1978).

*   *   *

La mia precedente opera “I Cognomi della Sardegna” aveva avuto un buon successo editoriale, come dimostra il fatto che l’edizione era stata esaurita in breve tempo e subito dopo ne erano state fatte due ristampe. Siccome la presente opera risulta grandemente migliorata rispetto a quella prima e inoltre notevolmente arricchita, in quanto contiene anche i cognomi “forestieri”, nutro fiducia sulla buona accoglienza anche di questa mia nuova opera da parte dei Sardi e pure degli amici della Sardegna.

E a proposito della nostra terra, tengo a segnalare e a sottolineare con un certo orgoglio che essa è una delle pochissime regioni italiane che hanno ormai a loro disposizione un importante strumento, come il presente, di identità personale, di cultura umanistica e di ricerca linguistica e storica sulla quasi totalità dei suoi abitanti.

Prima di chiudere sento il dovere e il piacere di ringraziare pubblicamente la cara amica ed egregia editrice Rina Brundu, la quale ha accettato subito la mia proposta di pubblicare la presente opera in edizione digitale.

Massimo Pittau

Sassari, gennaio 2014

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Massimo Pittau (Nuoro, 6 febbraio 1921) è un linguista e glottologo italiano, studioso della lingua etrusca, della lingua sarda e protosarda. Ha pubblicato numerosi studi sulla civiltà nuragica e sulla Sardegna storica. Le sue posizioni riguardo al dialetto nuorese (massima conservatività nell’ambito romanzo) sono vicine a quelle del linguista Max Leopold Wagner con cui è stato in rapporto epistolare. Nel 1971 è entrato a far parte della Società Italiana di Glottologia e circa 10 anni dopo del Sodalizio Glottologico Milanese. Per le sue opere ha ottenuto numerosi premi.

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