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Matteo Renzi e l’ostinazione del Tarallo

Creato il 01 settembre 2015 da Postik @postikitalia

Matteo Renzi e l’ostinazione del Tarallo

E’ bene premettere a mo d’esergo che tarallo è una cosa seria. Perché il tarallo – quello vero – è figlio della fame pura.

Il succitato alimento ha origini tutt’altro che nobili ed è per questo motivo che esse si sono un po’ perse nel coacervo dei vicoli minuti della storia; persino l’etimologia della parola, sfacciatamente tonda, è incerta.

Per apprezzarne la rigida e asciutta presenza sarebbe auspicabile perdersi per Napoli con la puntuale mappa della Serao e cercare di immaginare come nel 700 i fornai riutilizzavano lo “sfriddo”. Spiacente per coloro che ignorano il significato del termine, perché non mi sogno neanche lontanamente di spiegarlo; non è cattiveria, lo faccio solo per offrire un esempio  pratico del significato di un altro straordinario termine partenopeo “a cazzimma”! E il tarallo signori miei … di cazzimma ne ha tanta.

Ma veniamo ai giorni nostri. Inutile rimarcare che il tarallo è sopravvissuto ai secoli: ha attraversato guerre, carestie, epidemie rimanendo intatto, totale. Un fossile di carboidrati dalla forma che scimmiotta e distorce allegramente la sequenza di Fibonacci. E non poteva essere altrimenti!

La sua superficiale compattezza gli ha garantito resistenza, e la sua forma – quasi  giocosa – lo ha reso agli occhi dei più inoffensivo. E così, quasi impercettibilmente, il tarallo ci è rimasto accanto in assoluto e solido silenzio . Una serpeggiante e fissa presenza che ci illumina ogniqualvolta la dispensa rimane vuota.

Quando non abbiamo più una mazza da rosicchiare è matematico … ci appare lui, il tarallo: duro come un diamante o friabile, piccolo o grande, al peperoncino, all’olio di oliva, dolce o salato. Ammettiamolo, il tarallo in tutte le salse (perché anche lui si è evoluto nel frattempo) lo andiamo a ripescare solo quando il nostro languore non sa più dove andare a parare.

Ecco … qua il nesso, il trait d’union con la nostra storia politica, con il nostro triste e interminabile presente. Anche noi abbiamo trovato la dispensa vuota, anzi, è un deserto triste e arido da tempo immemore; ma guardando in fondo… lì.. lì, proprio in fondo, tra le briciole qualcosina impera nell’ombra. Una cosa che avremmo puntualmente abbandonato a se stessa se avessimo avuto valide alternative.

E così, quasi ipnotizzati dalla mediocre e frugale necessità, tiriamo fuori da quella penombra intristita, da quell’angolo buio della credenza delle mediocrità, una busta ancora ben conservata a marca Democrazia Cristiana con dentro un bel tarallo sopravvissuto. A prima vista l’alimento sembra ancora integro, anzi … addirittura fresco, ma è sempre l’impoverita  languidezza a ragionare per noi, in fondo è cosa arcinota, la fame fa uscire il lupo dal bosco.

Qui il grande errore, l’appetito ci fa cedere alla compulsività e senza neanche accorgergene ci apprestiamo ad intingere il tarallo solitario.

No! Lo abbiamo fatto! Ebbene sì, ora si realizzerà sotto i nostri occhi la famelica e asciutta “Legge del Tarallo”.

Che sia friabile o duro non cambia, il tarallo intinto farà inesorabile il suo lavoro. L’unica variabile è il tempo! Eh sì, il tempo; perché se il tarallo intinto è duro come un sercio prima che prosciughi tutto quello che trova nella tazza ci vorrà una mezz’oretta buona, mentre se è friabile, tempo due, tre minuti il gioco è fatto.

Il tarallo assorbe tutto: latte, vino, acido muriatico, idraulico liquido, mister muscolo, tutto quello che gli sta a contatto! Pure la patina della porcellana. Al tarallo non gli fa schifo niente; e man mano che assorbe si gonfia, anzi … come si direbbe a Napoli: si abboffa!   E mentre si “abboffa” noi stiamo lì a guardare. Lo spettacolo è ancor più triste della fame. Sì, la fame ci inizia inevitabilmente a passare davanti a questa osmotica avidità, ma, come se tutto questo non bastasse, arriva il colpo di grazia. Dopo l’abboffamento segue il decadimento strutturale! Il tarallo si riduce a una poltiglia inguardabile, quasi cementizia.

Sì, lasciamo perdere tutto! Casomai domani co sta roba ci stucchiamo il muro del bagno.

fonte foto: Vauro


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