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Maurizio Mori dimostra che l’obiezione di coscienza è un dovere

Creato il 14 maggio 2014 da Uccronline

Maurizio MoriSe Maurizio Mori, presidente della laica “Consulta di Bioetica”, avesse pubblicamente sostenuto il matrimonio tra uomo e donna sarebbe stato censurato a vita da qualunque organo di informazione. Invece, ha semplicemente incoraggiato, difeso e pubblicamente elogiato due membri del direttivo nazionale della Consulta di Bioetica, Minerva e Giubilini, che nel 2012 sono divenuti internazionalmente noti, in senso negativo, per aver sostenuto l’infanticidio: «uccidere un neonato dovrebbe essere permesso in tutti i casi in cui lo è l’aborto, inclusi quei casi in cui il neonato non è disabile», hanno detto.

Riportando le tesi dei due italiani “The Algemeiner” ha titolato “Il dottor Mengele sarebbe stato orgoglioso”, ma veramente orgoglioso sembra essere stato proprio Maurizio Mori, l’unico che li ha difesi, scrivendo: «non si può dire che la tesi sia di per sé tanto assurda e balzana da essere scartata a priori solo perché scuote sentimenti profondi o tocca corde molto sensibili». In seguito, durante una conferenza pubblica, dopo che Minerva e Giubilini hanno ribadito la loro tesi, spiegando di aver “solamente” ricordato che «non occorra che il neonato sia disabile per poterlo uccidere», Mori ha fatto loro anche i complimenti: «Siete troppo modesti. Non avete aggiunto solo un pezzetto, avete anche inventato un nome: aborto post-nascita».

Il presidente della “Consulta di Bioetica” ha continuato ad essere un opinionista molto richiesto. Recentemente ha cercato di spiegare perché i medici dovrebbero essere costretti, contro la loro volontà, a praticare aborti. Per sostenere tale tesi Mori ha espresso tutta la sua capacità filosofica partendo da un “assunto pro-life” per poi confutarlo. Peccato che tale assunto, ovvero l’equiparazione tra la professione del medico e quella del soldato, non sia sostenuto da nessuno anche perché, come ha fatto giustamente notare Enzo Pennetta, l’analogia è errata dato che «si ferma davanti al fatto che lo scopo per cui si fa il medico è curare i malati, quello per cui di fa il solato è uccidere il nemico. Questo significa che l’atto di uccidere è l’essenza del mestiere delle armi mentre nella professione medica la morte è quello che si deve evitare con il proprio operato». La gravidanza, inoltre, non è una patologia da curare e l’aborto dunque non è una pratica sanitaria (tranne nei rarissimi casi clinici in cui è a rischio la vita della madre, per molti addirittura inesistenti).

Dunque, se un soldato di mestiere non può sottrarsi all’ordine di uccidere un nemico perché ha dato l’assenso a tale eventualità nel momento dell’arruolamento, il medico tale assenso non solo non l’ha mai dato, ma ha invece manifestato l’intenzione esattamente opposta. Ma non è finita qui, Pennetta fa notare anche che secondo i Principi di diritto internazionale riconosciuti dallo Statuto e dalla sentenza del Tribunale di Norimberga, un soldato ha il dovere di sottrarsi dall’eseguire ordini riguardanti atti criminali (come una rappresaglia su civili). Quindi, prendendo sul serio l’analogia proposta da Maurizio Mori, anche un medico ha il dovere di sottrarsi dall’eseguire pratiche criminali. Dato che lo stesso prof. Mori non riesce a dimostrare che l’aborto non è un atto criminale (rifugiandosi nella definizione di “omicidio anticipato”), l’opinione del professionista che non vuole uccidere quel che ritiene essere vita umana va rispettata e il suo è un dovere, non soltanto un diritto, com’è oggi giustamente definito. Un diritto di cui si avvale oltre il 70% dei ginecologi, un motivo ci sarà.

Il prof. Mori torni a difendere i suoi ricercatori che sostengono l’infanticidio, paradossalmente aveva più speranze di convincere qualcuno.

La redazione

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