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Medfilm Festival – La Leggenda di Kaspar Hauser

Creato il 02 luglio 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

kaspar

 

Medfilm Festival – “La Leggenda di Kaspar Hauser” di Davide Manuli, Italia 2012, durata 95’ – prodotto da Blue Film e Shooting Hope Productions – distribuito da Mediaplex in collaborazione con Cineama.

 

Serata dedicata a Davide Manuli e al suo terzo lungometraggio “La Leggenda di Kaspar Hauser” alla XIX edizione del Medfilm Festival, che sta per concludersi in questi giorni: nell’ambito del festival il film si inserisce nella sezione Le Perle, dedicata al cinema italiano bello ma con poca vita distributiva; nell’opera del regista il film continua ad indagare sull’assurdità della vita, seguendo il filo conduttore del precedente “Beket” (2008), già vincitore del premio della critica indipendente al Festival di Locarno.

Il regista, che si è formato grazie all’Actors’ Studio e alle collaborazioni con Al Pacino e Abel Ferrara, è presente in sala alla proiezione e ci racconta che la sceneggiatura del film era nel cassetto da parecchi anni, ispirata alla storia vera del giovane Kaspar Hauser che nel 1828 comparve all’improvviso in una piazza di Norimberga e si scoprì che era cresciuto in totale isolamento in una cella scura; il ragazzo non era capace di fare niente ma possedeva un animo gentile e puro; venne affidato ad un precettore grazie al quale imparò a leggere, scrivere e prendere coscienza di sé e delle proprie capacità. Eppure quella buona borghesia mitteleuropea che lo aveva inizialmente salvato e “recuperato” ne fece l’attrazione d’Europa, accrescendone il mito fino a far diventare il fenomeno più grande di quanto fosse in realtà. E’ proprio a questa quotidiana aggressione in nome della comunicazione da cui Manuli parte per costruire il suo Kaspar Hauser: “ho voluto prendere il nonsenso e fare un film di 95’ di nonsenso”. La comunicazione ingigantisce fatti e persone, creando nonsenso sociale: era vero ieri come oggi.

Il film è ambientato in Sardegna, in provincia di Oristano: Kaspar Hauser (Silvia Calderoni) arriva dal mare e viene accolto dallo Sceriffo (Vincent Gallo), che lo porta a casa sua e lo aiuta a prendere coscienza di sé e a imparare un mestiere; intorno al ragazzo girano gli altri personaggi: quelli buoni che gli vogliono bene, come la Ragazza (Elisa Sednaoui), il Prete Eremita (interpretato da uno straordinario Fabrizio Gifuni, che recita un monologo in dialetto barese) e quelli che vogliono ridurlo a fenomeno da baraccone come il Pusher (che sembra l’alter ego dello Sceriffo, cinico e di poche parole, interpretato dallo stesso Vincent Gallo), la Duchessa (Claudia Gerini), e il Drago (Marco Lampis). In uno scenario atemporale e onirico i sei personaggi agiscono e interagiscono fino a che si porti a compimento la presa di coscienza del giovane Kaspar Hauser, che andrà in Paradiso insieme a chi gli ha voluto realmente bene.

Già protagonista di altri film e pièce teatrali (tra cui L’Enigma di Kaspar Hauser di Werner Herzog del 1974, vincitore del Premio della Giuria a Cannes nel 1975)), il Kaspar Hauser di Manuli è una versione “surreale e archetipa”, aperta a più interpretazioni: Manuli spiega che si tratta di un film “multistrato”, poiché ci sono molti modi per vederlo e leggerlo; presentato ad un centinaio di festival, distribuito attualmente in 5 Paesi, le reazioni al film sono state le più disparate: ci sono quelli a cui piace, senza chiedersi il perché, fanno esperienza della bellezza senza che entri in campo la ragione (e Manuli sostiene che questo è per un autore il miglior pubblico possibile); e ci sono coloro che “disintegrano” il film perché vogliono capire: in realtà la chiave di lettura per una comprensione immediata è l’ironia (alla proiezione alla Casa del Cinema così come in altre, dall’uscita del febbraio del 2012 al Film Festival di Rotterdam, i personaggi hanno suscitato più di qualche risata). Ad un livello più approfondito, Manuli fornisce un’altra lettura: Kaspar Hauser va in paradiso insieme a chi gli ha voluto bene, e soprattutto con un consapevolezza di sé, e con un Arte (quella del DJ), come se un paradiso possibile esiste e consiste nell’ avere coscienza di sé.

Il film, girato anche con il contributo della Regione Sardegna, rappresenta un esempio di cinema sperimentale italiano e non solo; è la fusione di tante professionalità, che mettono in campo le proprie forze e la propria di voglia di affidarsi completamente al regista per portare a compimento un’opera che, sebbene le iniziali difficoltà tecniche (l’ambientazione iniziale avrebbe dovuto essere all’Asinara), e di cast (a due mesi dalle riprese non c’era ancora l’attore che avrebbe dovuto interpretare Kaspar Hauser), arriva e colpisce il pubblico, nonostante non sia di stampo completamente commerciale.

Le riprese sono durate quattro settimane, nel bel mezzo degli impegni che gli attori avevano con altre produzioni; Vincent Gallo, che Manuli definisce “molto più grande del suo mito” per energia e carisma, come da migliore tradizione di chi si è formato all’Actor’ Studio ha sostenuto il regista con meticolosità e attenzione (Manuli racconta che per ogni scena gli chiedeva se non fosse il caso di girarne un’altra, per sicurezza); Silvia Calderoni, alla quale viene affidato il ruolo del protagonista Kaspar è una scelta dell’ultimo minuto, che si rivela azzeccatissima; inizialmente Manuli avrebbe voluto per questo ruolo un giovane contorsionista del circo russo, che però non era disponibile; Manuli aveva visto il “corpo bianco” di Silvia Calderoni in uno spettacolo del Teatro Valdoca e le affida la parte (e le cuffie per sentire la musica, poiché nel film Kaspar Hauser è completamente immerso nella musica e non si rende conto di quello che succede intorno a lui). Il corpo androgino di Silvia Calderoni ha fatto salire il film ad un livello ancora più alto:se Kaspar Hauser è un santo, questo può ricollegarsi ai santi delle sacre scritture orientali, il cui corpo era l’unione di un corpo di uomo e uno di donna.

Manuli afferma di aver fatto un film “retrò-futurista” (“un passo indietro e due passi in avanti”), ricorrendo alla tradizione passata con il bianco e nero, le ottiche larghe e le poche inquadrature e apportando la modernità attraverso la musica elettronica di Vitalic, francesce, classe 1976: “La Leggenda di Kaspar Hauser” è anche l’unico esempio di film proiettato all’interno di DJSet e Festival di musica elettronica (come il Sonora a Barcellona).

Dopo essere stato distribuito in Russia, Inghilterra, Francia, Germania e Polonia, il film si prepara a sbarcare negli Stati Uniti e in Giappone. A Roma, in questi giorni, si avvia alla quarta settimana di programmazione nei cinema Madison nel quartiere San Paolo e Nuovo Cinema Aquila nel quartiere Pigneto: la vita distributiva di film di questo spessore è sempre piuttosto limitata in patria. E resta un po’ di rammarico, considerando il consenso che il film ha ottenuto all’estero, sia ai festival che nelle sale cinematografiche, e la presenza di pubblico straniero alla proiezione del 29 giugno alla Casa del Cinema, che ha partecipato interessato anche al dibattito con il regista. E’ forse il caso di leggere in Kaspar Hauser anche una metafora del nostro cinema, a cui manca, a volte, la consapevolezza del proprio valore?

Anna Quaranta


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