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Mentana, il primo bilancio a 10 giorni dal suo ritorno in tv. «Ho evitato vittimismi e tentazioni elettorali»

Creato il 14 luglio 2010 da Iltelevisionario

Mentana, il primo bilancio a 10 giorni dal suo ritorno in tv. «Ho evitato vittimismi e tentazioni elettorali»

Sono passati dieci giorni dall’arrivo di Enrico Mentana alla direzione del tg de La7. E subito si conta il primo record: la scorsa settimana l’edizione delle 20 ha registrato i dati medi migliori della sua storia, con uno share del 4,2% e un ascolto medio di 651 mila spettatori (lunedì il 4,3% con 689 mila spettatori). Direttore, si può già festeggiare? «No, no. Questi risultati erano nel conto perché si è parlato tanto del mio ritorno, c’era attenzione ed è stata anche una settimana densa di notizie».

Ha detto che niente le piace più che lavorare sulle notizie ogni giorno. Che emozione ha provato nel tornare a farlo?
«Sono zen: non mi emoziono troppo e non ho grandi ansie. È stato come rincontrare un vecchio amico con cui ritrovi subito la consuetudine di prima».

Che obiettivi si è posto questa volta come direttore?
«Rafforzare il tg: fino ad ora, a La7 c’era più attenzione per le rubriche». Ha dichiarato che il tg de La7 potrebbe diventare «scomodo»… «Come una piccola nave veloce che va a incunearsi tra due transatlantici».

Uno dei due l’ha «varato» lei: nel 1992 ha fondato l’ammiraglia dell’informazione Mediaset, il Tg5…
«L’ho fatto nascere. Quando parti vuoi spaccare il mondo. Poi succede che ti consolidi e diventi istituzione».

La forza del suo nuovo tg è avere ancora l’entusiasmo?
«Esatto. Entusiasmo che non deriva dall’essere giovani, perché non lo sono, né dall’essere alle prime armi: la redazione era già strutturata».

E allora perché il suo arrivo ha portato nuova linfa?
«Per l’obiettivo, chiaro dall’inizio: crescere in immagine, considerazione e quindi in ascolti. Una scelta di completezza e libertà per sfidare i grandi. Siamo come una squadra di calcio: con un bel gioco e vincendo possiamo crescere».

Questo è il lieto fine dopo la pausa dal suo addio a «Matrix»?
«Sicuramente. Ma dopo 12 anni al Tg5 e 4 a “Matrix” non posso fare la vittima. In genere capita ai giornalisti che hanno fortuna di diventare scomodi».

Ma si aspettava un’assenza così lunga dal video?
«Pensavo e speravo di rientrare prima. Ma nessuno è indispensabile. Non sono diventato popolare solo per le mie qualità: mi era stata data l’occasione unica di creare un tg a 36 anni. Se dunque guardiamo la bilancia, i due piatti sono ancora molto disuguali».

Eppure i suoi addii, al Tg5 e a «Matrix », sono stati piuttosto bruschi…
«La prima volta che ho sbattuto, con il Tg5, il contraccolpo l’ho avuto. Ma ho idiosincrasia per il martirio. Non ho voluto stracciarmi le vesti, fare l’epurato o presentarmi alle elezioni…»

Allude a Michele Santoro?
«Non solo: tanti colleghi hanno scelto la strada dell’impegno politico, magari poi tornando indietro. Anche Lilli Gruber, Del Noce. Non è un giudizio di merito: hanno ritenuto più opportuno esercitare così una testimonianza».

L’approdo a La7 arriva dopo che se ne è parlato per anni…
«Sono nato al Tg1, poi il Tg5, Matrix… L’unica esperienza possibile ora era rifare un tg con modalità diverse dettate dall’epoca eppure con molti rimandi al ’92: oggi come allora siamo in una fase cruciale, in cui è più difficile ma più esaltante fare informazione».

Cosa pensa della legge sulle intercettazioni?
«Così è sbagliata ma i giornalisti devono tornare a lavorare con le notizie vere. E se lo sono, io, direttore, le pubblico. Non possiamo pensare di essere scomodi con il bene placito del potere. Non possiamo fare le mammole e i giacobini allo stesso tempo».

I tg in Italia sono liberi di dare tutte le notizie «vere»?
«Sui tg c’è una percezione diffusa di maggior cautela. Cercheremo di sfruttare questo vantaggio».

Come vede l’addio di Maria Luisa Busi al Tg1?
«Su di lei non saprei. Ma sull’avvicendamento dei conduttori dei tg sono laico. Sono problemi di facciata: conta ciò che si dice. Poi, è vero, ci sono colleghi che ucciderebbero l’intero albero genealogico per condurre…»

Pensa a nuovi volti per La7?
«Sì, ma solo persone della redazione. Sulle colleghe donne sarebbe bene cominciare a pensare che non devono essere per forza bellezze da copertina».

Anche lei tornerà a condurre?
«Sì, è funzionale alla crescita del tg».

Come si è lasciato con il direttore uscente, Antonello Piroso?
«Lo stimo e mi è spiaciuto che il mio ritorno sia coinciso con il cambio di destinazione del suo lavoro. Non è la fase del “pappa e ciccia”, ovvio, ma con me è stato davvero un signore e un gran professionista: mi ha lasciato un gioiellino che ora spetta a me lustrare».

Oltre al tg, pensa anche a nuovi approfondimenti su La7?
«Si ma prima bisogna rendere il notiziario l’appuntamento forte della rete».

Se dovesse puntare su qualche giovane collega?
«Luca Telese, Roberto Poletti, Gianluigi Paragone e Ilaria D’Amico. L’ultimo che ha potuto affermarsi è stato Floris. Si dice che la nuova generazione è meno brillante ma se gli “anziani” liberassero spazi forse lo sarebbe».

Cosa pensa di Bruno Vespa regista della politica?
«A lui piace fare parte di quell’establishment. Questo lo pone inevitabilmente in una dimensione diversa ma ognuno fa le sue scelte».

A La7 ritrova anche un suo caro amico, Gad Lerner…
«Sarebbe bello cercare dei circuiti comuni: magari, come due musicisti, fare una jam-session».

Ha detto che sarebbe arrivato prima a La7 se «qualcuno» non si fosse messo di traverso. Può svelare oggi il nome?
«Il nome no, ma di certo in Italia fa comodo il duopolio. Vorrei contribuire a creare davvero quell’idea di terzo polo che può essere La7».

di Chiara Maffioletti – Corriere della Sera



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