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METTI LO DIAVOLO TUO NE LO MIO INFERNO (1972) di Bitto Albertini

Creato il 11 novembre 2008 da Close2me
METTI LO DIAVOLO TUO NE LO MIO INFERNO (1972) di Bitto AlbertiniLe vignette ad opera del disegnatore Mordillo, accompagnate dagli stornelli del bravo Gianni Musy (Però che la donna sia bassa, magra oppur grassa questo ci sta. Si sa, tra bionda è castana qualcuna è puttana ma questo che fa!), ci introducono di prepotenza ad uno dei più riusciti, allegri e miscredenti decamerotici degli anni ’70.
"Maestro Ricciardo, un giovine pittore cui il podestà di Montelupone ha commissionato il ritratto della propria moglie, divide il suo tempo tra il sedurre le donne del paese e l’escogitare idee per favorire l’economia del medesimo. Indetto da Bonifacio VIII, l’Anno Santo poiché Montelupone rischia di perdere – a vantaggio del vicino paese di Buoncostume – il denaro dei pellegrini in viaggio verso Roma, Ricciardo fa in modo, distruggendo un ponte, che costoro siano costretti a evitare la cittadina rivale e a passare per Montelupone. Gli affari dei suoi abitanti cominciano a prosperare e Ricciardo; considerato un benefattore, può dedicarsi alla sua attività preferita di cacciatore di donne. " (Yahoo Movies)
In assoluto il maggiore incasso del tempo nell’intero genere – prepotentemente libero da qualsivoglia limite espressivo – dove i migliori bersagli di un’ispirata satira a base di doppi sensi è soprattutto la Chiesa cattolica con i suoi tanti rappresentati: frati dediti all’onanismo, vescovi dalla carne troppo debole, suore (queste dichiaratamente finte) pronte ad accorrere in aiuto ai più bisognosi delle loro attenzioni…
Una sequela scatenata di situazioni paradossali, che trovano nel bravo Antonio Cantafora un protagonista eccellente, verace Casanova dedito all’imbroglio ed all’inganno più sottile (per lo più ai danni dei mostruosi mariti di Montelupone), perennemente circondato da presenze femminili tutte degne di fervida attenzione: Melinda Pillon, Margaret Rose Keil, Piera Viotti, Renate Schmidt, solo per citare una piccola parte delle bellezze che costellano il film.
La confezione è magari impropria e raffazzonata, ma lo stile del compianto Albertini ha in fondo sempre guardato alla "sostanza" della messa in scena, preoccupandosi (giustamente) più dei tempi comici che della qualità tecnica delle scenografie o dei costumi.
L’opera conoscerà, considerato il notevole successo di pubblico, un sequel molto meno fortunato l’anno seguente (intitolato E continuavano a mettere lo diavolo ne lo inferno, sempre diretto dal Bitto Albertini), tuttavia la visibilità stessa dell’opera fu danneggiata dall’incredibile boom produttivo del filone boccaccesco che, nel giro di pochi anni, avrebbe portato al collasso creativo dell’intero genere, decretandone irrimediabilmente la lente scomparsa.

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