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MIA MADRE di NANNI MORETTI

Creato il 20 aprile 2015 da Viga
Sai cosa? Un tempo ero più coraggioso. Prendi, ad esempio: la morte. Non la temevo, mi sembrava fosse una cosa giusta e normale, d'altronde cosa era la vita se non una vuota e tragicamente buffa aspettativa verso la chiamata finale? Mi sembrava tutto così ipocrita. L'uomo inventava l'amore, le ambizioni, tutto per non arrivare nudo alla tragica verità: non esiste la vita, ma solo la morte. Tanto naturale e giusta, che non ho mai pianto alle notizie della morte di persone a me particolarmente care. E l'oblio? Perché sono ateo. Si questa cosa che poi scompari nel nulla, spengi la luce e poi : stop. Niente di te rimane. Mi garbava codesta idea, tanto che dovrebbe rimanere di me? Chi se ne frega di me.
Poi (perché tu voglia o no c'è sempre un poi ) cosa è successo? Da quando hai cambiato idea? Da quando mi sono innamorato e sono stato ricambiato. Di un amore forte, profondo, con gli alti e i bassi, ma cristallino e limpido. Da quando ho Achille. Da quando accetto la vita e i suoi cambiamenti naturali.
Ecco da allora, sta cosa della morte come elemento naturale, vero, concreto, si insomma....Non è che mi garbi più di tanto. Perché per quanto imperfette, per quanto piene anche di auto inganni e solenni cazzate, ci sono sempre delle vite. Vissute da persone che hanno amato, sperato, uomini e donne che avrei voluto conoscere meglio. Sopratutto se avessi la macchina del tempo e potrei tornare indietro... Ecco, io le piangerei tutte le lacrime che non versai . Per i miei nonni, e non solo. Perché la morte fa piangere e disperare, ci allontana definitivamente un nostro simile e per sempre. L'oblio, il fatto che spariremo dalla memoria collettiva, perché sostituiti da altre persone, altre generazioni, mi terrorizza. Questo un punto che gli atei dovrebbero sviluppare meglio.Non mi basta: si è vissuto. Io voglio vivere anche da morto, perché avrei ancora un po' d'amore da dare.
E voglio piangere ai funerali! Ah, questa terribile bestemmia! Questa onta per i brianzoli
Ok, ora dovrei fare una recensione dell'ultima opera di Moretti. Dovrei, perché a proposito di morte, anche la critica è morta. Uccisa dal pensiero debole del relativismo, dell'opinionismo, dalla rivalutazione alla cazzo di cane. Sono pensieri e riflessioni. Tutto quello che sinceramente posso darvi
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Un film sul lutto, la perdita di una figura fondamentale come la madre. Questo il tema portante,ma a mio avviso è solo un aspetto di una pellicola ancor più complessa, sfaccettata, ricca di simbolismi concreti e di sfuggente e straniante realtà.
Moretti mette in scena in questo suo dodicesimo film, tanto la morte materna quanto un'amara e tagliente riflessione su sé stesso e il suo cinema. Lascia che sia una straordinaria (come sempre) Margherita Buy a rivestire i panni consueti del "Michele Apicella" di turno, per raccontarsi con pudore e massima sincerità. Cosa che ai più attenti e appassionati sostenitori del regista romano, è sempre parso il cinema morettiano.
Come se di fronte alla morte non ci sentiamo autorizzati a smascherarci,a denunciare la nostra naturale essenza, a cercare un rimedio , qualche cambiamento, per poter dire: sono vivo. E sono vivo proprio perché il mio destino lo posso modellare. Quanto è vero tutto questo?
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Così se da un lato, Margherita, non accetta la inevitabile fine del genitore, dall'altra (attraverso sogni e pensieri) si ritrova a rivedere la sua posizione nei confronti del mondo.
Naturale fine anche del percorso artistico di Moretti: tutti i suoi film hanno questo tema di fondo, lo dico ai suoi detrattori superficiali e presuntuosi: la ricerca di una felicità idealizzata, assoluta. Proprio per questo dolorosissima e proprio per questo non resta che divenire: lupi mannari, assassini, o abbandonare tutti e rifugiarsi in un isolamento forzato. Questo era il nostro Michele Apicella e il nostro Don Giulio. Le due anime del cinema morettiano e del suo autore: amore e odio per l'umanità,ma sopratutto per l'incapacità di amare in modo così potente e incondizionato. Come (quasi) sempre ci ama una madre.
In questa pellicola, infatti, si mette in discussione Michele, e quindi Nanni. Questa sua evoluzione, questo sua riflessione sul suo cinema, è parallela alla scomparsa imminente della madre. Ci vuole suggerire che tutto cambia nella nostra vita. Tutto muore e tutto continua.
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Ci svela come le persone siano le proiezioni della loro leggenda (il grande John Torturro elemento comico e anche dolcemente tragico del film) ci dice che non possiamo pretendere il controllo delle vite e della nostra vita. Ma che forse possiamo amare. E abbandonarci al dolore. La gente ha l'alibi del ricatto morale, del buonismo,di tantissime cazzate,perché egocentricamente vuol stare chiusa nei propri alibi. Teme di aprirsi di "rompere almeno uno degli schemi che hai", tanti vivono così tutta la vita.
Questo film ci dice altro e la bellissima battuta finale è quanto di più umano, pacificato, struggente si sia mai sentito al cinema in questi ultimi anni.
Poi se volete continuare a guardare il dito delle vostre scemenze un tanto al chilo,perché non avete mai compreso il cinema di Moretti,ma cazzo voglio esprimere il mio futile e cretino pensiero, fatelo.Vi siete solo persi un grande esempio etico e morale di cinema e di assoluta sincerità umana. Lo avete perso per dodici volte e chissà,magari...Domani.

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