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Midnight in Paris

Creato il 14 dicembre 2011 da Albertogallo

MIDNIGHT IN PARIS (Usa/Spagna 2011)

locandina midnight in paris

Che l’ipernewyorkese Woody Allen sia da tempo innamorato dell’Europa, e in particolare della Francia e dell’Italia, è cosa nota ormai a tutti; che arrivasse a girare un film interamente a Parigi (città già frequentata, insieme a Venezia, in Tutti dicono I love you) era solo questione di tempo: Midnight in Paris, in questo senso, è anzitutto un atto d’amore, così come fu, anni fa, Manhattan nei confronti di New York e così come sarà, probabilmente, Bop Decameron nei confronti di Roma. Ma c’è un’altra grande passione, nell’universo alleniano. Un vizio, quasi: l’estrema propensione alla malinconia, la tensione verso un passato idealizzato e forse mai esistito. Che si tratti dell’epoca d’oro del cinema hollywoodiano (come in Provaci ancora Sam o La rosa purpurea del Cairo), degli anni gloriosi della radio (Radio days) o dei roaring twenties (Pallottole su Broadway) e thirties (Accordi e disaccordi), il regista ha sempre cercato conforto nei decenni passati, epoche e luoghi anche molto diversi tra loro ma sempre caratterizzati da una purezza di fondo, dall’essere distanti da un presente sempre troppo caotico, smaliziato, eccessivo. In questo altro senso, dunque, Midnight in Paris è anche la summa del pensiero malinconico di Woody, del suo sentimento di estraneità nei confronti di un mondo e di una contemporaneità che in fondo non gli appartengono. Parlo di summa perché stavolta, in modo ancor più radicale rispetto alla Rosa purpurea del Cairo, dove già faceva la sua comparsa l’elemento fantastico, il tuffo nel passato avviene in modo esplicitamente impossibile e inspiegabile: Gil, uno sceneggiatore di Hollywood dei giorni nostri in vacanza nella capitale francese con la futura moglie e i genitori di lei, si trova catapultato ogni notte a mezzanotte nella Parigi degli anni Venti, insieme a Ernest Hemingway, i coniugi Fitzgerald, Gertrude Stein, Pablo Picasso, Salvador Dalì e Luis Buñuel. Non sappiamo come ciò sia possibile e come mai soltanto Gil riesca a compiere questo viaggio nel tempo, ma non importa: tutto è estremamente coerente nell’universo alleniano, un universo dove Europa è sinonimo di passato, dove il sogno (anche d’amore) è più importante della realtà e dove “la vita è sostanzialmente insoddisfacente”, come ammette lo stesso Gil alla fine del film, ma lo è in un modo poetico, intellettual-alto borghese e tutto sommato… soddisfacente.

Ho sentito parlare piuttosto bene, in giro, di questo film. Personalmente non sono così d’accordo: Midnight in Paris è un film grazioso, piacevolmente leggero, pieno di sincera ammirazione per la città di Parigi e per coloro che in passato la popolarono. Eppure credo che sia anche molto facile appassionare e divertire il pubblico con l’apparizione un po’ random di tanti grandi personaggi del passato (trovata che talvolta sfiora l’”effetto Forrest Gump”, come quando Gil suggerisce a Buñuel con una ventina d’anni di anticipo la trama dell’Angelo sterminatore), con una storia d’amore impossibile ma non poi così triste e con le bellezze da cartolina (soprattutto nei titoli di testa) di una città sicuramente affascinante ma che al cinema s’è vista spesso in modo ben più originale e penetrante. Dico questo con tutto l’affetto possibile per un regista che amo e ho amato come nessun altro, per un artista che a quasi ottant’anni riesce ancora a confezionare un film all’anno senza mai aver partorito qualcosa di almeno decente ma spesso sublime. Ma il fatto è che da qualche film a questa parte non mi convince più tanto l’espediente degli attori famosi usati in piccole parti (qui, a parte i protagonisti Owen Wilson e Marion Cotillard, compaiono anche Michael Sheen, Adrien Brody, Kathy Bates e persino Carla Bruni), il parlare alla fine sempre delle stesse cose, la necessità di introdurre personaggi inverosimilmente negativi e monodimensionali (in questo caso la moglie di Gil e il saputello Paul) per metterne positivamente in risalto altri (in questo caso Adriana e lo stesso Gil) e un basso profilo estetico e narrativo portato al limite estremo (non si ride nemmeno più, da un po’ di tempo a questa parte, nei film di Woody. Al limite si sorride un po’, ogni tanto). Certo, Midnight in Paris è anche un film estremamente curato – nella fotografia, nelle scenografie, nei costumi – e non sciatto e nemmeno stupido, ci mancherebbe, ma sono sempre più convinto del fatto che Woody Allen dovrebbe tornare a osare un po’ di più, a puntare più in alto, almeno un’altra volta prima che il corso naturale degli eventi (di Manoel de Oliveira ce n’è uno al mondo) glielo impedisca irreversibilmente. Io ci credo ancora, così come credo ancora fermamente, tanto per fare un nome, a Bob Dylan e ad un suo prossimo capolavoro – magari anche postumo. Con Woody, invece, appuntamento a Roma, tra un annetto circa.

Alberto Gallo

Post scriptum: ho visto Midnight in Paris in lingua originale grazie al solito benemerito cinema Centrale di Torino. Non oso nemmeno pensare agli scempi del doppiaggio di un film che mischia continuamente personaggi francofoni, anglofoni e ispanofoni. A proposito di accento spagnolo: spassoso – e, appunto, assolutamente indoppiabile – il cameo di Brody nei panni di un Dalì particolarmente appassionato di rinoceronti: uno dei pochi momenti davvero divertenti del film.


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