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Milan: un sogno, in tutti i sensi

Creato il 29 marzo 2011 da Gianclint

Milan: un sogno, in tutti i sensiIeri notte ho fatto un sogno. E’ doverosa una premessa, chi non mi conosce non lo sa, i miei sogni sono sempre, ma sempre, oltre i limiti dell’assurdo. Per esempio mi è capitato di sognare di camminare sull’acqua nel centro del Lago di Garda, indossando una maglietta degli Scorpions, un kilt viola, le infradito del Milan, e mentre mi “gustavo” un pollo crudo, venivo inseguito da un alieno che mi voleva baciare il sedere, perché dalle sue parti era usanza. Allora che ho fatto? Sono salito in groppa alla mia ciabatta volante, e sono scappato nello spazio, per conquistare nuovi pianeti e generare una nuova razza superiore, con tre occhi. Siccome però mi nascevano tutti con due, il terzo ce lo incollavo io con la super attack. Comunque a volte, raramente ma mi capita, di sognare anche cose normali…

Ma sto divagando… Quanto scritto era solo per farvi capire che razza di mente malata ho quando si tratta di sognare, e pensare che non mangio neanche pesante e non vado a letto ubriaco da una quindicina d’anni almeno.

Torniamo a quel che ho sognato ieri notte. Ho sognato di essere un calciatore, e già questa cosa potrei definirla assurda, in quanto nella realtà sono scarso come pochi al mondo. Ho la visione della porta di Calloni con un occhio di vetro e l’altro con la cataratta, la classe nelle movenze palla al piede di Maldini, Cesare, di oggi. Ma nulla si può dire sulla mia resistenza fisica.  Eccome  no? Difatti ho la capacità di resistere sul campo a battagliare coi compagni, almeno nel tragitto tra gli spogliatoi e l’ingresso in campo, poi al fischio d’inizio chiedo già la sostituzione per evidente carenza di ossigeno, stramazzando al suolo invocando pietà, ed i barellieri che mi portano via, mi sembrano i Santi Pietro e Paolo che mi conducono verso il riposo eterno. Ma nei sogni tutto è possibile! Ed io ne so qualcosa. Ecco perché ho potuto sognare di essere un calciatore.

In questa mia fantasia notturna, so di essere calcisticamente cresciuto nel Parabiago, la mia amata città, come “centrocampista di randellanza”. Il classico distruttore di gioco che sta in mezzo al campo a darle ma anche a prenderle. Ogni partita per me era una guerra.

Ma il mio sogno inizia con la fine. L’ultima partita della mia carriera. Sto per entrare in campo e gioco con la maglia del Monza. Ormai ho superato di una manciata d’anni i trenta e ne ho viste di tutti i colori durante gli ultimi 8 al Monza. Io e i miei compagni abbiamo portato i biancorossi verso traguardi di tutto rispetto, la promozione in B, partite memorabili, ed ora eravamo pronti a giocarci l’approdo in serie A, mancano ormai 3 partite e siamo terzi a 2 punti dalla seconda. Il Pisa! Sorpassare sti neroazzurri vorrebbe dire Serie A sicura, e si sta per giocare lo scontro diretto.

C’è un problema però. Io vengo da un lungo stop di due mesi e mezzo per la frattura alla caviglia destra, non è il mio piede, ma comunque mi serve direi. Ed in ogni caso in questa stagione (e anche per metà della scorsa) non ho brillato particolarmente come gli anni passati. Sono stato spessissimo sostituito perché non ce la facevo più, ho sbagliato l’impossibile, e per colpa di gravi errori miei abbiamo perso anche due partite che ancora mi stanno sullo stomaco se ci penso. Nonostante tutto, anche oggi che ci stiamo giocando la stagione proprio contro gli odiati pisani, il mister mi schiera, mi da fiducia. Povero lui.

E nel sogno, mentre sono fermo nel tunnel che porta in campo, ricordo quando arrivai al Monza appunto 8 anni prima, essendo famoso per le risse e per essere tifoso del Milan, mi diedero subito il soprannome di “Diavolo biondo” e la mia prima partita in biancorosso non aiutò di certo a cambiare idea su di me. Giocavamo in casa e dopo 20 minuti, mi sono beccato un giallo per un fallo a centrocampo inutile, poi assist  molto casuale per il gol vittoria, e a dieci minuti dalla fine un bella gomitata in area avversaria, rosso diretto e a casa due partite. Si ma quel tale se lo meritava, era tutta la partita che mi insultava perché sono basso e mi schiacciava i piedi sui calci d’angolo. Bisognava che capisse chi comandava.

Nonostante l’inizio non proprio da pallone d’oro, negli anni a seguire divenni una colonna della squadra, ridimensionando un po’ la mia irruenza, ma solo un po’. Diciamo quando l’arbitro non guardava. L’ultimo anno e mezzo però era tutto uno schifo, come dicevo, ormai ero più di la che di qua, sia con il fisico che con la testa. I tifosi su di me erano divisi, chi giustamente non vedeva l’ora che levassi le tende, e chi invece aveva ancora negli quel tale che li aveva portati fino alla serie B a suon di sgomitate. Gli altri ricordavano a questi, quanto invece il Monza volasse senza di me…

All’ingresso in campo sentivo i mormorii tra le prime file dei miei detrattori. Ad un certo

Milan: un sogno, in tutti i sensi
punto, mentre eravamo schierati in fila al centro del campo, ho mandato a fanculo un  tale che mi faceva i gestacci. Ma che ci stavo a fare in campo? Eppure ero li, “mezz’ala sinistra con licenza di uccidere” mi aveva detto il mister, come sempre. “Se non ti senti ancora sicuro col piede destro, randella col sinistro!” e io invece già pensavo alla fine della partita, la sera al ristorante con gli amici, le donne, la discoteca… Ma il campo, giudice insidacabile, parla chiaro. Dopo i primi minuti mi resi già conto di non poter giocare ai ritmi degli avversari e soprattutto dei compagni di squadra. Dopo vari cristonamenti a destra e a sinistra, mi trovavo sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. In attacco quando si difendeva, in difesa quando si attaccava. Insomma non c’ero mai! E giù porconi dalle gradinate. Uno gridò: “levate quel tappo!” e chiaramente si rivolgeva a me. Poi la beffa tremenda, sbaglio un appoggio ad un compagno, un pisano intercetta, contropiede tre contro due e gol. Porcaccia vacca schifosa! Fischi dagli spalti come se piovesse.

E fu in quel momento che ne ebbi abbastanza. Mentre ancora i Pisani festeggiavano, mi avvicinai alla panchina e dissi al mister: “Capo, io esco. Metti un altro.” nonostante non fosse d’accordo fu costretto a “seguire il mio consiglio”, soprattutto quando mi levai gli scarpini e mi sedetti in panchina da solo. Questo mi costò pure una multa dalla società, ma pensa te… Beh fatto sta che “l’altro” entrò riportando la squadra in parità numerica, visto che con me giocavano in dieci contro dodici. Il Monza pareggiò e la partita si concluse così. Uno a uno. Fu l’ultima della mia carriera, le restanti due me ne rimasi seduto in tribuna per mia scelta, ed a fine anno rescissi il contratto.

Al risveglio ho continuato a sognare ad occhi aperti. Chissà che accadrebbe se dovesse succedere al Milan una cosa simile? In tutti questi anni, abbiamo avuto giocatori attaccati con il bostik al loro posto da titolari. Giocatori che nonostante fosse evidente che non ne avessero più, ma non da un paio di giorni, ma da qualche anno buono buono, continuavano imperterriti a scendere in campo. Allenatori che nonostante avessero in rosa gente degna di sostituire chi era palesemente impresentabile, si ostinavano cocciutamente a schierare sempre le solite statuine del presepe. Ma perché parlo al passato? Infondo ancora oggi tutto questo accade, magari meno frequentemente rispetto a prima, ma accade. Ma ce lo vedete voi, mi viene un nome a caso in mente, Seedorf che chiede ad Allegri di non giocare perché (da almeno 5 anni) non riesce ad essere non dico in forma, ma diciamo almeno presentabile? No, lui si lamenta e chiede spiegazioni in società. Pretende di incontrarsi con tutti, di riunire il CDA, per capire cosa sia mai questa brutta cosa chiamata “panchina”. Lui, come altri prima ed anche ora. Scusate il gioco di parole, ma sarebbe un sogno se accadesse quel che ho sognato! In tutti i sensi…

A me, come ai miei amici qui, viene rinfacciato di non avere rispetto per “chi ha dato tanto al Milan”, di non avere riconoscenza per “chi ci ha portati dove siamo ora”, beh… Ed il rispetto di lor signori per “la maglia che indossano” e “lo stipendio che prendono”, e la riconoscenza nei confronti di “chi da anni paga per andarli a vedere” e perché no? “chi li ha sostenuti a prescindere”? Queste cose non contano? Il rispetto e la riconoscenza deve essere sempre unilaterale?

Milan: un sogno, in tutti i sensi
E mi viene in mente oggi, 29 marzo, dopo questo mio sogno, un certo Manuel Rui Costa. Colui che una volta resosi conto che l’inesorabile “parabola discendente” e quella brutta  cosa che colpisce tutti che si chiama “tempo”, stavano incominciando a farsi sentire, ha ben pensato di farsi a poco a poco da parte e di dare spazio ad altri. Uscendo di scena a testa alta, lasciandoci un bellissimo ricordo di lui, per aver “onorato la maglia” e per “quel che ci ha fatto vincere”, senza dovercelo rinfacciare, senza farcelo pesare, e senza farci venire la nausea. Ne lui ne altri. Colgo dunque l’occasione per fare gli auguri di buon compleanno a Manuel, in ordine di tempo ultimo, vero e grande numero 10  rossonero.

P.S.
Chiedo scusa ai tifosi del Monza per questo mio sogno, non è colpa mia, e il mio cervello malato che di notte va per i cazzi suoi. Ah, un’ultima cosa, nel mio sogno Seedorf non era dirigente del Monza… E voi direte: “ecco perché ci stavamo giocando la serie A!”… Mmmmm… A pensarci bene… In ogni caso, sempre e comunque, forza Bagai!

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