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Minoranze al tempo dello «scontro di civiltà». La conferenza alla Camera dei Deputati

Creato il 18 giugno 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Minoranze al tempo dello «scontro di civiltà». La conferenza alla Camera dei Deputati

Il 4 giugno, la sala delle Colonne di Palazzo Marini (Camera dei Deputati) ha ospitato, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’incontro Minoranze al tempo dello “scontro di civiltà”. Modelli di multiculturalismo e dialogo, organizzato dall’IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie), in cui esponenti del mondo accademico, politico e della ricerca hanno discusso sul tema delle migrazioni, intensi flussi di persone, da sempre genitrici di incontri tra popoli e, di conseguenza, di possibili fusioni o scontri. Un incontro questo che ha analizzato l’argomento in questione a 360 gradi, scomponendolo nelle sue tante sfaccettature e dimensioni: da un’analisi sulle origini del fenomeno alle implicazioni politiche e umane proprie della presenza di minoranze etniche, linguistiche e religiose che i flussi migratori vanno naturalmente a formare all’interno di un coeso sistema statale.

Il saluto iniziale è stato dato dal dott. Daniele Scalea, Direttore Generale dell’IsAG, il quale ha sottolineato come le migrazioni siano un fenomeno sempre presente nella storia, ma che oggi ha un’importanza speciale per via dell’accelerazioni dei tempi indotta dalla modernità. Un’altra peculiarità odierna individuata è quella dell’indipendenza di tali movimenti dalla volontà degli Stati.

In assenza dell’On. Daniel Alfreider, Capogruppo per le minoranze linguistiche della Camera dei Deputati, a cui cause di forza maggiore hanno impedito di prendere parte all’evento, è intervenuto il suo collaboratore dott. Lukas Komploi. Egli ha aperto il suo discorso pronunciando un saluto in ladino, ponendo in risalto, in tal modo, la sua fierezza nel far parte, egli stesso, di una minoranza linguistica all’interno del territorio italiano. I gruppi linguistici minoritari vengono riconosciuti e trovano tutela nella legge 482/99: ”Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”, che applica il principio sancito dalla Costituzione, all’articolo 6, che ha come scopo, appunto, quello di permettere la conservazione degli idiomi parlati da una buona percentuale degli italiani, ossia circa 2,5 milioni di cittadini. Il dott. Komploi ha sottolineato l’importanza di tale legge che permette non solo che nelle scuole pubbliche sia reso obbligatorio l’insegnamento della lingua minoritaria, ma anche il diritto alla versione in tale lingua degli atti giuridici, dei toponimi, dei nomi e cognomi degli abitanti, delle trasmissioni radiotelevisive e dell’editoria. Il conflitto tra interessi delle minoranze e quello dello Stato è endemico ma esso può essere affievolito dal pieno riconoscimento delle prime e dalla possibilità di prendere parte ai processi decisionali grazie alla propria rappresentanza all’interno delle istituzioni in tutti i livelli dello Stato.

Una dimensione globale dell’argomento è stata presentata dal dott. Alessandro Politi, rappresentante del CeMiSS, il Centro Militare di Studi Strategici, che ha invitato ad analizzare il fenomeno secondo i paradigmi della geosociopolitica più che della geopolitica, al fine di abbracciare, così, una visione ancora più ampia del fenomeno. Egli ha evidenziato il difficile rapporto tra minoranze e globalizzazione: la seconda, infatti, rende difficoltosa la loro sopravvivenza in quanto tende inevitabilmente ad assorbirle. Il focus del suo discorso si è incentrato sulle minoranze indigene presenti in America Latina i cui diritti, purtroppo, in alcuni Stati, anche in quelli dove esse rappresentano un’ampia percentuale di popolazione, soprattutto al sud, non vengono pienamente garantiti. Il terreno di scontro su cui si fronteggiano gli interessi delle minoranze e quelli statali è il problema di dover trovare il modo di correlare sviluppo e tutela dell’ambiente: la necessità dello Stato di incrementare il proprio sviluppo industriale e infrastrutturale deve realizzarsi riducendo al minimo l’impatto ecologico, senza, quindi, intaccare gli interessi delle comunità locali. Il dott. Politi si è poi soffermato sull’analisi del geonetwork pacifico, uno dei tanti temi trattati da Prospettive 2014, il volume edito dal CeMiSS che si occupa di analisi geostraegica: le manovre finanziarie degli USA con i nuovi mega accordi regionali come il progetto della Trans-Pacific Partnership a danno di Cina e Mercosur stringono gli spazi di agilità economica dell’America Latina che rischia di essere tagliata fuori dai flussi commerciali regionali: il disagio economico e sociale si ripercuote sulle già difficili condizioni di vita della popolazione incrementando la spinta alla migrazione disorganizzata a vantaggio, purtroppo, delle mafie locali che lucrano su questo fenomeno.

In seguito, il dott. Giacomo Guarini, direttore del programma “Dialogo di Civiltà” dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) e moderatore dell’incontro, ha dato la parola al dott. Corrado Bonifazi, rappresentante del CNR, Centro Nazionale delle Ricerche, il quale ha trattato il tema delle minoranze e dei sistemi di cittadinanza dell’Italia delle migrazioni. Le minoranze, spiega il dott. Bonifazi, sono frutto di migrazioni, o della stessa minoranza o di popoli più numerosi che hanno fatto in modo che la popolazione autoctona diventasse minoritaria, come è avvenuto con le popolazioni indigene dell’America Latina. Il nostro paese è stato all’origine di importanti flussi migratori tanto che per molto tempo è stato considerato il paese d’emigrazione per eccellenza, vista la notevole portata del fenomeno. Oggi, quest’ultimo si è fortemente ridimensionato, tanto da poter affermare che l’Italia sia uno dei paesi che ha completato il processo di transizione migratoria e si è trasformato, nell’ultimo ventennio, in una delle principali mete d’emigrazione. Proprio per questo essa sperimenta modelli di cittadinanza e relativi problemi tipici sia di un paese d’immigrazione che di emigrazione con l’accrescere della presenza di numerosi stranieri, non cittadini, al suo interno, ai quali deve essere garantita l’acquisizione della cittadinanza e, quindi, la parità di diritti. Storicamente la concezione della cittadinanza, come riportato nel codice civile del 1865 e confermato dalle leggi del 1912 e del 1992, è di tipo etnico, legata, cioè, allo ius sanguinis: ciò permetteva di mantenere un forte legame con i connazionali trasferiti all’estero ma, allo stesso tempo, ha prodotto dei conflitti d’interesse con i paesi d’immigrazione, soprattutto nel continente americano, che concedevano, invece, molto rapidamente la cittadinanza. Attualmente, il decreto del fare è intervenuto sulla concessione della cittadinanza italiana, subordinata alla residenza ininterrotta per i primi 18 anni di vita in base alla legge del 1992, fornendo un più ampio margine di prova della stessa: un grande passo in avanti nel percorso di integrazione.

Successivamente, la parola è passata al dott. Matteo Marconi, direttore del programma di ricerca “Teoria geopolitica” dell’IsAG, che ha offerto una riflessione geopolitica sulle minoranze etniche ed etnie minoritarie. Facendo espressamente riferimento al titolo della conferenza, il suo discorso si è incentrato sullo scontro di civiltà, espressione ripresa dalla teoria di Samuel Huntington, il quale, fornendo secondo molti studiosi un’analisi fin troppo moderata, afferma che siano le civiltà a confliggere, non gli Stati, valutando con eccessiva moderazione il rapporto tra cultura e politica. Secondo Huntington la dimensione culturale e quella politica sono in continuo scambio e generano le civiltà: il suo studio, però, si sviluppa in maniera astratta, scollegata dalla vita e dalle peculiarità dei diversi popoli che una stessa civiltà raggruppa. All’evidenza dello storico, è chiaro, invece, che sia impossibile raggruppare nella stessa civiltà più Stati con caratteristiche, a volte, del tutto diverse: a conferma di ciò, si può notare come gli scontri, in realtà, avvengono non tra civiltà bensì all’interno delle stesse. Il conflitto stesso non è immutabile ma ha preso forme diverse nel corso della storia. Quelli del ‘900 si dimostrano ancora più cruenti di quelli ottocenteschi a causa del trionfo dello Stato moderno che si poneva come obbiettivo quello di territorializzare la propria presenza sovrana standardizzando il territorio: l’individuazione di un nemico comune, assoluto, rappresentava, fino alla Seconda Guerra Mondiale, il mezzo adatto per il raggiungimento di tale obbiettivo con la conseguenza che si è diffuso un atteggiamento di esclusione del diverso, a discapito, quindi, degli stessi cittadini facenti parte di un gruppo minoritario all’interno del territorio statale. Lo Stato postmoderno, invece, allenta le sue spinte nazionalistiche, la sua presenza sovrana, mantenendo comunque l’intento di omologazione al suo interno ma facendo riferimento al soggetto e ai diritti personali che gli si rivolgono: non pretende, infatti, di creare continuità e omogeneità culturale ma si concentra sull’uguaglianza sostanziale dei suoi cittadini.

Il dott. Guarini, quindi, ha presentato il dott. Dario Citati, direttore del programma “Eurasia” dell’IsAG, il cui discorso si è incentrato sul tema delle minoranze russe nel Baltico, nello specifico Lettonia ed Estonia, i cui membri sono i cosiddetti “non cittadini”. Essi, di etnia e, alcuni, anche di lingua russa, vivono in una situazione che costituisce un unicum nel panorama internazionale. Nel 1991, infatti, tutti i cittadini di lingua russa dell’ex Unione Sovietica divennero automaticamente cittadini dei nuovi Stati appena formati: ciò non accadde per i russi che abitavano le Repubbliche Baltiche, che si trovarono ad essere, appunto, dei “non cittadini” a causa della loro mancata conoscenza delle lingue, lettone ed estone, divenuti i nuovi idiomi nazionali. In realtà, la loro considerazione come cittadini di serie B è motivata, più che altro, dallo storico risentimento anti russo e dalla diffidenza nei confronti di una comunità che potrebbe rappresentare un possibile strumento di ingerenza russa nella regione. La legislazione lettone distingue gli apolidi dai non cittadini, considerati come residenti permanenti privi di molti diritti politici e civili, come l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni politiche, mentre in Estonia viene conservato quello passivo nelle amministrative. L’ottenimento della naturalizzazione e della cittadinanza è vincolato a un difficile esame in lingua lettone o estone e ad una dichiarazione di fedeltà alla Repubblica di cui si vuole divenire cittadini. Il loro numero sta progressivamente diminuendo sia a causa del loro ritorno in Russia sia grazie all’ottenimento della cittadinanza. Sia organismi dell’Unione Europea che delle Nazioni Unite si sono espressi contro le rigide modalità previste da entrambi gli Stati per l’acquisizione della cittadinanza. Solo il superamento delle ideologie e dei pregiudizi di origine storica potrà portare ad una un miglioramento delle condizioni di vita della minoranza russa nel Baltico.

L’intervento successivo è stato quello del dott. Alessandro Lundini, ricercatore associato dell’IsAG, che ha presentato una relazione sul dialogo di civiltà in Asia centrale e sulla politica etnico religiosa del Kazakhstan indipendente. Un ulteriore caso che caratterizza lo spazio post sovietico, è quello del Kazakhstan, che rispetto alle altre Repubbliche nate dopo il crollo dell’URSS non ha tentato di escludere le minoranze nel processo di nation building. Nel 1991, esso era considerato come il nascente Stato che avrebbe sofferto più di tutti il rischio di frammentazione poiché considerata svantaggiata dal fatto che quella kazaka rappresentasse un’etnia non maggioritaria, solo il 40% della popolazione, mentre l’ulteriore 60% era formato anche da etnie europee. Nonostante ciò, il Kazakhstan è stato quello che meglio ha reagito ed ha saputo gestire la sua composizione sociale con le varietà etniche e religiose che la caratterizzano, realizzando così la sua definizione di paese eurasiatico, terreno di incontro, fusione, rispetto reciproco e pacifica convivenza tra popoli diversi. Più che di identità kazaka, infatti, si tende a parlare di identità kazakistana che ricomprende non solo la prima ma anche tutte le altre identità nazionali presenti sul territorio. La politica di armonia multietnica ha fallito, invece, nel Kirghizistan, non avendo essa avuto il necessario sostegno da parte delle autorità centrali: a conferma di ciò vi sono i sanguinosi scontri tra minoranze, soprattutto quella uzbeka contro i nazionalisti, del giugno del 2010 che hanno causato centinaia di morti.

La dott.ssa Alessandra Caruso, ricercatrice associata dell’IsAG, ha, invece, affrontato il tema dei diritti delle popolazioni indigene nella regione artica che, più di ogni altra, soffrono il problema dei cambiamenti climatici visto che la loro sopravvivenza è strettamente legata alla natura che li circonda: questo è l’elemento che unifica tutti i vari gruppi etnici della regione. Vi sono tre grandi famiglie: gli Evenk in Russia, famosi per il loro senso dell’orientamento (a loro, infatti, si devono le prime carte geografiche della regione) i Sami che vivono in Scandinavia e gli Inuit presenti in Nord America. Questi ultimi, di razza mongolica, per molti secoli hanno vissuto in un isolamento quasi totale fino a quando hanno avuto i primi contatti con la “società civilizzata” con l’arrivo delle baleniere. Rispetto a tutte le altre popolazioni, quella degli inuit, che fino al 1962 non godeva neanche del diritto di voto, gode di molteplici diritti, primo tra tutti quello di avere delle rappresentanze nel Parlamento canadese. Vi sono molti strumenti internazionali a tutela delle minoranze indigene: i patti internazionali del 1966, le risoluzioni dell’Onu del 1960 e 1970, la Convenzione dell’ILO del 1989 e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle popolazioni indigene del 2007, ratificata, però, solo da 22 Stati di cui solo 2 artici.

Un ulteriore interessante argomento è stato trattato dalla prof.ssa Eva Pfoestl, dell’Istituto San Pio V, riguardo la convivenza tra minoranze nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. La tutela delle minoranze è un’estensione dei diritti umani che viene richiesta, naturalmente, anche agli Stati arabi: sia la Dichiarazione dell’ONU sui diritti delle minoranze del 1992 che quella dell’UNESCO sulla diversità culturale del 2001 sono state firmate da tutti gli Stati arabi, anche se la loro messa in pratica è molto lacunosa o quasi inesistente. È presente un dualismo di vedute all’interno del mondo arabo per quanto riguarda la questione delle minoranze, in quanto mentre la popolazione minoritaria ritiene che vi possa essere compatibilità tra globalismo e conservazione delle proprie peculiarità, per i governi dei singoli paesi questa concezione è di matrice occidentale e quindi viene rigettata. A dimostrazione di ciò si può notare come le nuove Costituzioni dei paesi arabi trattino ancora le minoranze con sospetto e diffidenza, non fornendogli la tutela che meritano e di cui hanno bisogno per sopravvivere. La Costituzione del Marocco, al contrario, si distingue in positivo in quanto ha riconosciuto la lingua berbera insieme alle radici e ai dialetti delle varie minoranze tra cui quelle andaluse ed ebraiche.

Il dott. Guarini ha poi introdotto l’intervento del prof. Adriano Cirelli, dell’Università Telematica Uninettuno, che si è occupato di movimenti e conflitti etnoterritoriali in Europa nella quale sono presenti attualmente diverse spinte autonomiste e indipendentiste: da quella scozzese (a settembre, infatti, avrà luogo un referendum che proporrà la separazione dal Regno Unito) a quella catalana e basca (è prevista anche in Spagna a novembre una consultazione che, a differenza di quanto avviene nel Regno Unito, non è stata legittimata dal governo), da quella fiamminga e vallona in Belgio, che presenta unità governative distinte, a quella russa in Ucraina. Anche all’interno della realtà italiana vi sono fenomeni che non hanno la stessa rilevanza di quelli esteri ma che comunque sono pregni di significato come il sardismo politico. Questi movimenti hanno colore politico eterogeneo perché la visione ideologica del fenomeno e le stesse rivendicazioni dipendono dalle condizioni economiche e sociali tipici del territorio in cui agiscono e si sviluppano.

Ha chiuso l’incontro il dott. Guarini tracciando una sintesi degli interventi che si sono susseguiti.


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