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Moderni come la Leopolda

Creato il 30 ottobre 2011 da Albertocapece

Moderni come la LeopoldaDue opinioni sulla kermesse della Leopolda, di Anna Lombroso e miss Apple, due angolazioni diverse, due modi di giudicare e forse di sentire, ma assolutamente convergenti.

La dissacrazione della Politica

di Anna Lombroso

Scopro di essere talmente immersa nella politica del rancore, così vittima delle smarrite e sotterrate ideologie, da provare autentica ripugnanza per quel pragmatico scambio politico, preferendogli qualche sfida mortale soprattutto se a morire sono gli altri. Sono una irriducibile e non mi arrendo a questa pragmatica secolarizzazione, a questa realistica “dissacrazione” della politica che ha fatto dei concetti di destra e sinistra entità labili e fragili. Insomma quei “residui” dei quali parla Pareto, destituiti di ogni contenuto identitario, dotate solo di un significato descrittivo utile per compiere pallidi e nebbiosi riti di riconoscimento tra affini sempre più delusi dal presente, o rifiuto da parte di fan bipartisan della modernità, quella capace di unificare ambizioni e arrivismi all’insegna dell’iniquità globale.
E che dimostra di essere efficacissima in questa opera di omologazione: i ragazzi della Leopolda o l’inamovibile ceto dirigente – del quale, si arrendano all’idea, fanno parte a pieno titolo anche i sedicenti giovanotti: sindaci, amministratori, pensatori, informatori, professionisti della critica inabilitati alla proposta – parlano ormai la stessa lingua. E mi ricordano quelle risse della commedia dell’arte e dei vicoli di Trastevere nelle quali i contendenti spacconi e codardi si insultano, mostrano i pugni ma invocano gli amici di trattenerli per “nun fa’ un macello”.

Hanno vinto le “svolte” : Fiuggi o l’abiura del Pci, l’apostasia simmetrica ha salutato con sollievo la dimensione “conciliante e pacifica della politica”, grazie al superamento della concezione assiale di destra e sinistra, a una normalizzazione assorbente delle diversità, nella quale poter negoziare o peggio dissolvere le antiche identità.
C’è da dar ragione a chi vede nel festoso superamento del pensiero antinomico , dell’archetipo amico-nemico, una patologia sociale, la soggezione rischiosa al fascino delle simmetrie artificiali, quando prevalgono i preconcetti, l’insufficienza di una informazione trasparente e il primato della visibilità e dell’immagine sulla reputazione e sulle idee.

Che, come dice il Simplicissimus, latitano alla Leopolda e fuori: in un congresso di fondazione dove i fondanti invitano gli esterni alla fornitura di 100 idee, dove un dirigente indicato da alcuni come un papa indigeno si accontenta di averne 10 e dove il leader scavalca il problema con l’apodittica dichiarazione di “scesa in campo”. E dove, dall’altra parte, ammesso che ci sia una parte altra, le idee sono osteggiate come fastidiosi avanzi dello scorso secolo, come ostacoli alla modernità e come pericolosi embrioni di disubbidienza.

Si, ripeto sempre che Berlusconi non è la malattia, ma il sintomo, il fenomeno antropologico, la rappresentazione emblematica e tipica dell’italiano medio. Ma quello che esprime e testimonia ha intriso tutto in tessuto sociale come un contagio. L’Italia è berlusconizzata nei suoi comportamenti, nei sentimenti, nelle emozioni e nelle immagini del mondo e nell’immagine di sé e dei propri desideri che gli italiani si portano dentro. Cittadini degradati a consumatori, elettori retrocessi a teleutenti, che spendono il loro voto come si spendono i propri soldi al mercato, disinteressati alla dimensione pubblica e al bene comune, merci tra le merci, non riconoscono altro che la loro solitaria identità, votata a soddisfazioni individuali, personali e immediate, senza passato o futuro.

A questa logica si uniformano anche buona parte degli “imprenditori politici” che con Berlusconi hanno stabilito un rapporto di concorrenza, talvolta addirittura “complice”, comunque ben poco conflittuale. Sono loro soprattutto che in questo contesto antropologico hanno circoscritto lo spazio per quelli che nel secolo breve chiamavamo movimenti. Sono anche loro che rendono improponibile che nell’epoca della “rappresentazione” mediatica si rigenerino i meccanismi virtuosi della democrazia rappresentativa. Per questo non servono i Renzi, che pur lavorando in laboratori esemplari scelgono la rappresentazione piuttosto che l’amministrazione, che preferiscono il volontariato alla volontà, la gratuità alla coesione sociale, uno Stato dimissionario perché consenta ogni licenza anche iniqua in nome della “modernità”, di uno sviluppo senza diritti e senza limiti. Occorrono rappresentanti degni, abitati dal senso della responsabilità e del dovere come espressione del legame sociale. E occorrono soggetti consapevoli e “collettivi” da rappresentare.

Non è facile vederli nell’Italia della rottura della solidarietà, dello scioglimento dei patti e dei vincoli sociali, della dissoluzione dei linguaggi condivisi, né gli uni né gli altri. Ma la soluzione non sta certo nella rottamazione, bensì nella costruzione di pensiero, di visioni, di idee. Si ha ragione Tolstoj la giovinezza anagrafica se non è sorretta dall’utopia, è conservatrice. E vuole mantenere i suoi privilegi ereditati. Non ci resta che la speranza degli esclusi di tutte le età, di quelli che non hanno nulla da perdere, perché solo la libertà dei saggi non si compra.

I vecchi dentro

di miss Apple

Il cambiamento lo fa chi conosce l’arte della politica, chi ha la passione e il senso della democrazia, che pare facile, ma facile non è perchè è normale.
Quello a cui sto assistendo in questi giorni è una battaglia indecente: Matteo Renzi incarna ciò di quanto più antico e brutto sta nella politica: l’arrivismo.
Non è un asino, dice. Posso anche credergli, non scalcia, lui proprio spinge, cerca un burrone dove buttare giù la roba vecchia che non gli piace, di cui non ha bisogno, ‘che tanto vecchio lo è già lui. E’ vecchio dentro.
Non c’è bisogno di gioventù, nella nostra politica, c’è bisogno di normalità. di tornare a parlare normale, di stare tra la gente.

Mi riallaccio a ciò che scrivevo su Landini, giorni fa. E’ uno come lui che voglio, non m’importa se ha 20, 30, 40, 70 anni.
Landini è normale, è normale come noi, noi gente comune: la gente che va al lavoro al mattino, che produce, che svolge attività commerciali, sociali, manuali.
Renzi rappresenta il vecchio, puzza di muffa, puzza di berlusconismo, e nemmeno lo sa. Lui neanche immagina di essere un prodotto mediaset, è nato nel 1975, è nato mentre Berlusconi iniziava la sua avventura televisiva. Scommettiamo che a dieci anni vedeva bim bum bam? colpito!
No,uno così non ce lo voglio nel Pd, no. Voglio una persona normale, che non sia stata affondato dalla corazzata Mediaset, anche se qualche sbirciatina ai nuovi canali televisivi sicuramente è scappata..
Insomma, io voglio Landini, o tu che leggi e hai voglia di cambiare questa Italia anestetizzata, c’è bisogno di aria nuova, non di gioventù irritante.


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