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Mondazzoli… e allora?

Creato il 12 marzo 2015 da Beltane64 @IrmaPanovaMaino

La fusione fra Mondadori e Rizzoli cambia davvero qualcosa?

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È in arrivo il nuovo polo culturale-editoriale, grazie all’acquisizione del Gruppo RCS da parte di Mondadori, ma cambierà davvero qualcosa per i piccoli editori, per i selfpublisher e per i lettori?

In questi giorni sono diverse le notizie poco rassicuranti che sono state diffuse in merito alla fusione Mondadori-Rizzoli, già battezzata Mondazzoli. Le voci allarmate vertono sul fatto che un possibile monopolio editoriale e culturale creerebbe una sorta di predominio sul mercato dei libri, mettendo a rischio la piccola e media editoria, con il conseguente impoverimento del bacino disponibile di lettori utili. È indubbio il fatto che se una tale fusione si farà (ringraziando l’Antitrust), salteranno innumerevoli posti di lavoro, andando ulteriormente ad alimentare il già vasto stagno di disoccupati e precari, ma questo accadrebbe a prescindere dalla tipologia delle aziende protagoniste e a prescindere dal ramo nel quale si muovono i loro interessi. Un’eventuale Mondazzoli più che condizionare il fattore culturale, inteso come bene intellettuale, potrebbe creare stati d’ansia in altri gruppi editoriali, come Gems, Feltrinelli e Giunti, ai quali, un colosso del genere, potrebbe creare qualche serio problema. Tuttavia, per quanto tutto questo possa influenzare la nostra vita quotidiana, in realtà ha la stessa valenza che potrebbe avere la saga famigliare di un qualsiasi Dallas o Dinasty. Siamo realmente certi che per i piccoli e medi editori cambierà qualcosa? E siamo altrettanto certi che la questione si ripercuoterà sui lettori?

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Il consolidamento del piccolo editore avviene in “rete”, non certo attraverso i canali canonici, come ad esempio la distribuzione fisica del libro. Quindi, a meno che la Mondazzoli non riesca ad acquisire anche Amazon, almeno da questo punto di vista un piccolo editore, soprattutto digitale, può ritenersi al sicuro. Ciò che invece incide non è tanto il possibile monopolio del mercato, da parte di una grossa realtà data da una fusione, quanto la diminuzione dei lettori. Fattore del tutto indipendente (a mio parere) da quelle che possono essere eventuali strategie editoriali. Recenti dati ISTAT hanno stabilito un notevole calo dei lettori deboli e medi (la somma delle percentuali è superiore rispetto a quella data dai lettori forti), in quanto quelli forti continuano a comprare e leggere, fregandosene altamente del marchio riportato sulla copertina di un libro e delle strategie imprenditoriali dei colossi del settore. L’incidenza, quindi, si verifica sui lettori deboli in quanto si “perdono per strada” a causa di motivazioni molto più quotidiane e più materiali, non certo per quelle dettate dalla qualità di un libro o dal monopolio dato da una realtà editoriale. L’aumento della disoccupazione, delle preoccupazioni legate alla precarietà e delle destabilizzazioni sociali non invogliano di certo alla lettura. Quando non si riescono a pagare le bollette o non si sa con cosa riempire il piatto a fine mese, difficilmente si trova lo spirito giusto per dedicarsi a delle letture amene. La crisi economica, in cui versa una gran parte della popolazione, colpisce su più fronti, sia da un punto di vista di potere di acquisto che da quello intellettuale.
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Già adesso Mondadori è un leader di mercato, in grado di fare il bello e cattivo tempo su tutta l’editoria italiana. Eppure, l’unica novità che è stato in grado di concepire, con la quale avrebbe dovuto conquistare i “lettori” e sbaragliare i concorrenti, è stata la discutibile invenzione del flipback, ovvero soldi investiti in un progetto decisamente fallimentare (a distanza di un anno dalla presentazione, che fine hanno fatto quei ridicoli libercoli?). E in tutto questo non si menziona l’onda sempre crescente di autori self che, con le loro auto produzioni, scavalcano qualsiasi altra considerazione. Nel mondo esiste un numero sempre maggiore di autori che, per non cadere nelle maglie di qualche presunto editore poco serio, preferiscono auto pubblicarsi, usufruendo degli innumerevoli mezzi che il web mette a disposizione. Amazon pullula di libri auto prodotti e la qualità di tale produzione sta aumentando nel tempo, offrendo una vasta scelta ai lettori i quali, a loro volta, stanno iniziando a imparare come districarsi fra titoli “farlocchi” e quelli più curati e con contenuti più accattivanti. Non dimentichiamoci che Amazon permette la restituzione di un libro nel caso non sia corrispondente al gusto di l’ha acquistato. Non solo, ma è ormai risaputo che il costo di un prodotto digitale è decisamente più concorrenziale di un prodotto classico, al punto che, con un abbonamento mensile, la libreria messa a disposizione diventa infinita (Kindle Unlimited). E secondo voi, questo non fa la differenza?

Quindi in che modo un grosso polo editoriale potrebbe influenzare un bacino di utenza così vasto?

Si potrebbe obiettare che un unico polo informativo potrebbe avere il monopolio dell’opinione pubblica, creando e censurando le notizie a proprio uso e consumo, lasciando che sia il termometro politico a decidere cosa deve essere reso pubblico e cosa no. Si inneggia alla libertà di stampa e come questa potrebbe essere messa in pericolo da una possibile fusione, come se in Italia la libertà di stampa realmente esistesse. Ma continuiamo a scordarci dell’esistenza del web e della rete. È vero che l’ignoranza regna sovrana nel nostro Paese, ma è anche vero che non sono tutti dei polli e che le persone non vivono perennemente con le fette di mortadella sugli occhi (la circonferenza dei salami è diventata ormai troppo piccola). Inoltre, se vogliamo proprio dirla tutta, le grandi CE, in che modo sono state in grado di rendere innovativo un mercato stagnante e putrescente? Quali cambiamenti hanno apportato nel nostro emisfero culturale? Regalandoci delle “perle” come le amenità propinate da vari nomi altisonanti dello spettacolo e del calcio? È questa la cultura che ci contraddistingue e che dovrebbe far tremare tutto il mercato editoriale? Il punto non è dirottare i lettori verso un prodotto e condizionarne le abitudini, il punto è riuscire ad avere dei lettori. Il punto è concepire dei prodotti editoriali più qualitativi, investire nelle risorse presenti sul territorio, offrire nuovi spunti e sbocchi per le manifestazioni culturali e abbattere tutta l’élite intellettuale e spocchiosa che pensa che la cultura sia riservata a pochi eletti.

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La maggioranza dei libri immessi annualmente sul mercato non arriva dai grandi editori, ma da quella corrente, sempre in movimento e in fermento, costituita dai piccoli editori e dal self publishing e quest’ultimo incrementa notevolmente le percentuali se consideriamo tutti i testi che vengono generati come unico prodotto di un singolo autore.

Certo, esiste ancora una giungla che fagocita di tutto, un marasma che avrebbe bisogno di essere moderato, un sottobosco di personaggi ambigui e truffaldini che andrebbe allontanato, ma questo nuovo movimento culturale è una realtà tangibile che non si può continuare a ignorare. Penso che quello che manca sia la serietà, quel fondamento morale che contraddistingue la fuffa dalla produzione qualitativa. E non parlo solo di libri pubblicati, ma anche di concorsi, di eventi e di iniziative legate all’editoria. Troppi cialtroni in giro, in tutti i campi, a partire da presunti editor che fanno lavori con i piedi per finire a promoter che letteralmente rubano i soldi agli autori senza offrire nulla in cambio. Tutto questo “maneggiare” di sottofondo ha il sapore amaro dell’accattonaggio, dello sciacallaggio e marchia in modo poco dignitoso un campo che dovrebbe rappresentare l’eccellenza da un punto di vista culturale.


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