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Monokings

Creato il 20 luglio 2011 da Iyezine @iyezine

A cura di: 

Lubna Barracuda

 

Sono stata troppo tempo lontana, per motivi personali, dalle pagine di IYEzine, ma ritorno entusiasta di presentare un gruppo che esiste da un solo anno ed è già, con musicisti dall’esperienza ventennale che creano un sound accattivante, che sa della polvere che si deposita su certi vecchi grammofoni, denso degli scricchiolii del tempo, ma spontaneo come certi istinti mai sopiti. Ecco una chiacchierata con Andrea e Federico rispettivamente cantante e contrabbassista dei Monokings, dopo la loro validissima esibizione, al “Roma Vintage”:

iye “Rurale” e “Rauco” sono gli aggettivi con cui definite il vostro suono. Che cosa intendete esattamente e in che misura vi ricollegate al Rockabilly delle origini?
Ci rifacciamo ai musicisti del primo periodo del rockabilly…il rockabilly è nato nel ’54, e finito nel’57, sostanzialmente, ed era una musica suonata nella provincia americana, fatta da cafoni americani, che gli altri chiamavano white trash, cioè immondizia bianca, talmente poveri che vivevano assieme ai neri e hanno imparato a suonare il blues, e in un lasso di tempo di pochi anni c’è stato questo boom assolutamente spontaneo, ed è stato il momento più bello, senza alcuna spinta commerciale dietro, solo l’entusiasmo per questo genere nuovo che nasceva dall’incontro tra la musica dei neri, il blues e quella dei bianchi, il country. I primi musicisti non erano professionisti , erano quasi tutti improvvisati, suonavano come capitava, con pochissima tecnica e molto entusiasmo, e l’effetto era abbastanza “sgangherato”. In quel momento ha cominciato a svilupparsi un grande business musicale, che all’inizio era per lo più in mano a etichette locali di posti sperduti nel Tennessee o della Louisiana, con pochi mezzi, registratori arrangiati alla meno peggio, quindi anche i 45 giri che ci sono arrivati da quel periodo sono tutti registrati in modo molto primitivo ed elementare, con fruscii, imperfezioni, ma indubbiamente molto comunicativi. Non c’era una coscienza di ciò che stavano facendo, erano ignari, ma estremamente spontanei, ed era quello il bello, ciò che ci piace. Con il tempo la Sun Records è diventata un po’ il fulcro di questo movimento, ha lanciato Elvis, quindi tutti volevano diventare come Elvis, essere belli, suonare bene, lui è stato un po’ il catalizzatore di energia del periodo ma ne è stato anche la rovina, perché nel ’57 quando ha firmato per l’RCA, ed è entrato in una major, molte cose sono cambiate. Comunque c’era questa spontaneità di fondo che li animava, li spingeva ad esibirsi nei bar, nelle fattorie, nelle feste di paese, e manca totalmente nella musica moderna, dove tutto è deciso in partenza.

Monokings

iyeQuali sono dunque le vostre fonti di ispirazione?
Di quei musicisti così spontanei, alcuni sono diventati anche “famosi”, ma per lo più, si è trattato di gente che dopo aver suonato per due o tre anni, è tornata a fare il benzinaio o il camionista, come nomi posso citarti Charly Feathers, Buddy Holly, che ha cominciato come musicista country e rockabilly, e poi è andato a vivere a N Y, ed è morto giovanissimo, Sonny Burgess, Johnny Horton, Jack Earls…alcuni di loro hanno anche fatto strada, poi negli anni ’80 sono stati riscoperti da alcuni folli inglesi che sono andati a ricercarli in Arkansas o in Louisiana, ed era passato talmente tanto tempo che quasi non sapevano neanche più suonare, e c’è stato un grande revival che li ha fatti ritornare alla ribalta. 
iyeQuanto contano i gusti personali di ogni membro della band nella composizione dei pezzi?
Zero, contano solo i gusti del cantante! A parte scherzi, è ovvio che tutti noi siamo abbastanza dentro al genere, inoltre il rockabilly, oltre a essere un genere di nicchia, ciclicamente risalta fuori, dal primo grande revival degli anni ’70, con gli Stray Cats negli anni ’80, dallo psychobilly, in poi, ricorre sempre, guadagnandosi sempre nuovi fans, e ciò ha permesso di reclutare un contrabbassista molto giovane che è comunque un appassionato del genere.
iyeUsate strumentazione vintage? Pensate che l’utilizzo di un certo tipo di strumenti, a livello scenico, ma anche di resa del suono, sia importante?
E’ importante l’utilizzo di certi strumenti, ma non necessariamente vintage. Il nostro chitarrista usa una 295 della Gibson, quella che usava Scotty Moore, chitarrista di Elvis, che fabbricavano negli anni ’50 e di cui hanno interrotto la produzione per poi riprenderla negli anni ’80 per altri cinque o sei anni, e poi interromperla di nuovo. E’ comunque difficile maneggiare strumentazione vintage, si tratta di pezzi molto delicati, dal vivo hanno il loro effetto, ma sono attrezzature costose, dal grande valore collezionistico, e poi non sempre suonano bene come siamo portati a pensare. Io ( Andrea Fiorelli, cantante e leader del gruppo), sono un cultore dell’analogico, ho due registratori a bobine, dei microfoni degli anni 50, uno del 1938 che ho appena comprato, ovviamente non li porto in giro, ma mi piace usarli, se si registra su nastro, a parte il suono, c’è anche il fatto che sei in qualche modo condizionato dalla durata limitata del nastro, non è come con il computer che permette di correggere e modificare le tracce quante volte vuoi, dunque la registrazione in analogico richiede preparazione e decisione. In un certo senso i limiti stimolano la creatività. Anche Jack White dei White Stripes, ad esempio, registra in analogico, perché c’è un ritorno dell’analogico, anche per la qualità del suono. 
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iyeCosa pensate del revival anni ’50 che già da qualche tempo si è manifestato non solo a livello musicale ma anche nell’abbigliamento, arredamento, tatuaggi, e nell’iconografia in generale?
Speriamo di cavalcarne l’onda, e che i cachet dei nostri concerti crescano vertiginosamente! Senza scherzi, spesso si tratta solo di una moda che si manifesta appunto esteriormente, e non ha niente a che fare con quello che ci interessa, e cioè la musica, che rischia di suonare comunque anacronistica. 
iyeA quando il primo disco?
Come tu sai, suoniamo solo da un anno, ma non abbiamo mai smesso di registrare con le famose bobine di cui sopra. Purtroppo in Italia si fa poco riguardo al rockabilly, a Roma zero, mentre all’estero ci sono molte etichette che trattano questo genere, che producono roba giovane e fresca, a cui ci piacerebbe inviare il nostro disco, il che magari ci permetterebbe di partecipare anche a qualche festival.


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