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Montenegro, nuovo capitolo della sfida NATO-Russia

Creato il 23 dicembre 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Fabio Rondini

L’invito formulato il 2 dicembre scorso dai Ministri degli Affari Esteri dell’Alleanza Atlantica alla Repubblica del Montenegro di intraprendere i negoziati per una futura adesione al Trattato Nord Atlantico rappresenta l’ennesima occasione per riflettere sul vero ruolo della NATO nei Balcani, sui rapporti tra essa e la Russia, e sui vantaggi (o svantaggi) derivanti dalla potenziale partecipazione di questo Paese all’Alleanza.

Il teatro balcanico ha rappresentato uno dei banchi di prova più importanti per la NATO, sia per la sua capacità di sapersi riadattare ai mutamenti dello scenario scaturito dalla fine della Guerra Fredda, sia per la possibilità di proporsi come in grado di provvedere a un processo di pacificazione in quest’area. Gli interventi militari compiuti nel corso degli anni Novanta e il successo delle operazioni militari dell’Alleanza non hanno, tuttavia, comportato l’esaurimento delle tensioni, soprattutto etniche, che li avevano causati [1], ma hanno reso possibile sia un confronto civile ispirato a soluzioni conformi a principi di pluralismo e tolleranza tipici delle democrazie occidentali, sia il progressivo inserimento dell’Alleanza nel teatro balcanico, aprendo le sue porte alla progressiva partecipazione di un numero crescente di Paesi di recente costituzione.

Sin dall’ottenimento della sua indipendenza, avvenuta nel 2006, il Montenegro ha intrapreso un processo di riavvicinamento all’Alleanza, facilitato da alcuni importanti passi diplomatici quali: l’adesione, avvenuta nello stesso anno, al programma della Partnership for Peace (PFP), “partenariato” creato nel 1994 per assistere Paesi esterni all’area euro-atlantica, in particolare quegli Stati precedentemente scaturiti dalla dissoluzione del blocco comunista, nell’adozione di istituzioni democratiche; l’invito, formulato nel dicembre 2009, a prendere parte al Membership Action Plan, ovvero un programma per facilitare il processo di adesione di Paesi esterni alla NATO; e la collaborazione nel settore strettamente militare attraverso l’appoggio fornito dal Montenegro tra il 2010 e il 2014, insieme ad un altro Stato balcanico, la Croazia, alla missione International Security Assistance Force (ISAF) e alla sua prosecuzione Resolute Support in Afghanistan.

Il Primo Ministro montenegrino Milo Đukanović ha definito questa svolta come un giorno storico nella vita del suo Paese. Indubbiamente l’invito della NATO costituisce un’importante vittoria politica del suo leader che, negli ultimi anni ha puntato molto su un riavvicinamento del proprio Paese verso Bruxelles e Washington, anche attraverso la scelta di un programma di riforme per avvicinare il proprio Paese verso un processo di democratizzazione.

L’apertura dell’Alleanza Atlantica verso l’adesione del Montenegro sembra configurarsi come l’ultima espressione della politica della “porta aperta” inaugurata dalla NATO in occasione del vertice di Bucarest (2008) nella regione dei Balcani e, ancor più, una prova per verificare il vero stato dei rapporti con la Russia, l’oppositore principale a qualsiasi allargamento della zona atlantica verso Est.

Mosca, che ha sempre interpretato l’espansione della NATO ad Oriente come un “errore e una provocazione” ai suoi interessi diplomatici, ha provveduto immediatamente ad esprimere la propria contrarietà a questa decisione dell’Alleanza attraverso le dichiarazioni rilasciate dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov: «La continua espansione della NATO verso Est, di certo, non può che portare ad azioni di risposta da parte russa» per ovvie ragioni di sicurezza. Osservando una semplice carta geografica e tenendo conto del fatto che nella regione dei Balcani, storica area d’interessi politico-diplomatico-militari della politica estera russa, Grecia (membro storico a partire dal 1952), Romania, Bulgaria e Slovenia (incluse nel 2004) Croazia, Albania (entrate nel 2009) sono Paesi già inseriti nell’Alleanza e che Macedonia e Bosnia hanno più volte espresso il desiderio di prendervi parte, si può affermare che la NATO stia lentamente, ma inesorabilmente erodendo l’influenza russa in questo scenario geopolitico. L’ultimo baluardo dell’influenza moscovita nei Balcani risiede nella Repubblica Serba, ulteriormente indebolita dalla perdita dell’accesso all’Adriatico conseguenza dell’indipendenza ottenuta da Podgorica. Anche il Presidente della Commissione Difesa del Senato russo Vicktor Ozerov non solo ha affermato che «il Montenegro [con questo passo] diventa per la Russia un Paese che è un membro potenziale della minaccia alla sua stessa sicurezza», ma anche che la sua inclusione nel Patto Atlantico «renderebbe impossibili molti programmi precedentemente realizzati con la Russia, anche di cooperazione militare». La percezione dell’ennesimo “scacco” subito da Mosca è alimentata anche da ragioni di tipo economico, visto che il primo investitore estero in Montenegro è proprio la Russia, anche se, d’altra parte, la maggior parte degli scambi commerciali del Paese balcanico avvengono con l’area euro-atlantica.

La mossa atlantica dell’invito a Podgorica conduce ad alcune conseguenze non di poco conto:

  1. decreta la fine dell’ormai morente legame politico tra il Montenegro e la Russia;
  2. nell’ambito interno alla NATO, l’inclusione del 29° membro, anche se di scarso valore, rappresenta comunque un elemento in più di cui tener conto nel processo decisionale, compiuto ancor oggi con la regola dell’unanimità. Naturalmente, le possibilità di trovare un accordo in grado di soddisfare gli interessi di ben 29 Paesi non è facile e il rischio per l’Alleanza è di propendere sempre più verso soluzioni improntate al “minimo comun denominatore” per incontrare l’appoggio dei Paesi membri, ma dotate, nella maggior parte dei casi, di scarsa efficacia;
  3.  da un punto di vista geografico, da un lato conferma e rafforza la tendenza alla trasformazione del Mar Adriatico in una sorta di “lago atlantico”, data la partecipazione all’Alleanza di pressoché tutti i Paesi rivieraschi, dall’altro metto in risalto il ruolo della Serbia come interlocutore privilegiato data la prossimità con  Paesi  partecipanti al Patto Atlantico;
  4. all’esterno dell’Alleanza la conseguenza principale risiede nell’atteggiamento nervoso di una Russia ultimamente in forte contrasto con la NATO sia per la vicenda relativa all’abbattimento del jet russo da parte della Turchia (membro dell’Alleanza dal 1952), sia per la guerra in Ucraina, causata anche dall’opposizione russa al tentativo di inserire Kiev – nella percezione del Cremlino – nel Patto Atlantico.

Pur avendo “alzato la voce” sulla questione del Montenegro, la Russia molto probabilmente non adotterà ritorsioni verso l’Occidente, diversamente dai casi ucraini e georgiani, quando la prospettiva di un inserimento di questi due Paesi nella NATO ha scatenato l’intervento di Mosca. Del resto, l’amministrazione di Vladimir Putin ha sempre considerato l’Alleanza Atlantica come «una debole copertura, un paravento dietro il quale si nascondono gli interessi americani» [2]. Sergio Romano parlava, nel 2013, in occasione dello scoppio della crisi ucraina, addirittura di “sindrome da accerchiamento” della Russia verso l’allargamento dell’Alleanza Atlantica [3].

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Fonte: Washington Post

La piccola Repubblica del Montenegro non costituisce una pedina dal grande valore in termini militari [4], ma l’invito ad essa rivolto assume un significato politico ben più importante, avvalorato anche dal delicato momento in cui è stato compiuto, caratterizzato non solo dalle tensioni legate all’Ucraina, ma anche dalle sanzioni economiche poste verso Mosca, dalla tensione tra Russia e Turchia e dalla delicata cooperazione militare contro la comune minaccia dello Stato Islamico (IS).

Secondo Damond Wilson, ex funzionario presso la NATO e il National Security Council americano, nonché esperto di allargamento dal 1999, le occasioni derivanti da una potenziale adesione del Montenegro alla NATO possono essere sommariamente raggruppate come segue:

    1. il Paese in questione ha adottato un serio programma di riforme a livello interno per approdare alla democrazia e allo stato di diritto;
    2. il Montenegro è l’unico Paese ad avere instaurato buoni rapporti con tutti i Paesi balcanici confinanti;
    3. l’adesione della Repubblica montenegrina potrebbe causare “esternalità positive” verso i vicini, in qualità di occasione e messaggio per tutti i Paesi balcanici che ancora non sono ancora stati inseriti nell’Alleanza Atlantica;
    4. l’allargamento verso Est potrebbe costituire anche una prova di forza dell’Alleanza verso l’atteggiamento di “bullismo” di Mosca in questo settore.

In merito alla reazione della Russia, Wilson afferma che «l’idea secondo cui un Paese che prende decisioni sul proprio futuro possa costituire una provocazione è un esempio di un incredibile costrutto mentale. È un costrutto mentale il fatto che si possa disporre di qualche diritto di veto sulla sovrane decisioni di altri Paesi riguardanti la scelta del loro futuro. (…) Abbiamo visto le mani della Russia che sia finanziavano, sia organizzavano le proteste seguite immediatamente a questa decisione» [5]. Il Segretario di Stato americano John Kerry ha affermato che la NATO è «un’organizzazione difensiva da 70 anni» e che l’allargamento della stessa «non è diretto contro nessuno», ma mira alla «sicurezza di chiunque ne faccia liberamente parte contro tutte le minacce, compreso l’IS». Il problema principale è che a queste affermazioni a Mosca non ci crede più nessuno da dieci anni ormai.

Sebbene l’invito ufficiale sia stato formulato e costituisca un passo decisivo nell’eventuale partecipazione del Montenegro all’Alleanza Atlantica, i negoziati non sono ancora iniziati e la strada per l’adesione definitiva alla NATO passa attraverso una serie di riforme, soprattutto del settore militare cui Podgorica dovrà far fronte. In ogni caso, il processo di stabilizzazione dei Balcani e, più complessivamente dell’Europa, non dipende tanto dall’allargamento dell’Alleanza, quanto da un accordo tra essa e il suo attuale avversario, ovvero la Russia. Se gli attori in gioco non si dimostreranno disponibili a comprendere le ragioni e gli interessi sottostanti a determinate decisioni (che raramente in politica estera sono dettate da preconcetti, ma ispirate molto più spesso a concreti e logici interessi di realpolitik) degli interlocutori, il clima di parziale “neo” Guerra Fredda che si respira ancora in questi giorni durerà, molto probabilmente, ancora a lungo.

* Fabio Rondini è  Dottore in Politiche Europee ed Internazionali (Università Cattolica di Milano) e collaboratore del Club Atlantico Cisalpino

[1] A. G. de’ Robertis, Il ruolo di stabilizzazione della NATO dai Balcani ai confini dell’Europa, in Le nuove sfide per la forza militare e la diplomazia: il ruolo della NATO, M. de Leonardis – G. Pastori (a cura di), Monduzzi editore, Bologna, 2014, pp. 161 – 173.

[2] L. Gudkov e V. Zaslavsky, La Russia da Gorbaciov a Putin, il Mulino, 2010, p. 146.

[3] S. Romano, Sindrome d’accerchiamento anche per l’immensa Russia, Corriere della Sera, 19 dicembre 2013.

[4] Il Montenegro contribuirebbe con sole 2.000 unità aggiuntive alle 3.508.000 a disposizione dell’Alleanza e con circa 5 miliardi di dollari agli 892 miliardi in possesso della NATO. Cfr K. Schake, Take that, Vladimir, in “Foreign Policy, 2 dicembre 2015

[5] Le dichiarazioni sono riportate in un’intervista concessa a A. K. Sen, esperto presso il Consiglio Atlantico, cfr. NATO’s invitation to Montenegro an “important” response to Russia’s bluster, 2 dicembre 2015.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata sul sito del Club Atlantico Cisalpino

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