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Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore (di Wes Anderson, 2012)
Creato il 18 novembre 2013 da Frank_romantico @Combinazione_CTorna Silly e questa volta ci parla del film dell'anno scorso del grande Wes Anderson, una commedia come non ve l'aspettereste. L'Angolo di Silly è sempre l'occasione per guardare il cinema da un'angolazione differente rispetto la mia, quindi leggetela, apprezzatela, odiatela se la pensate diversamente.
MOONRISE KINGDOM - UNA FUGA D’AMORE
"Vorrei essere un'orfana anche io. Secondo me gli orfani hanno vite speciali." "Ti amo. Ma non hai idea di quello che stai dicendo"
E’ il 1965, siamo in una specie di isola che non c’è, però nel New England. Due dodicenni, Sam e Susy, si incontrano, si innamorano e decidono di fuggire dalle loro insoddisfacenti vite percorrendo l’antico sentiero di una tribù indiana, i Cich-chaw. Sam vive con una famiglia affidataria a cui non mancherà. Susy si lascia alle spalla una famiglia caotica e indifferente. Entrambi fuggiranno col desiderio di vivere il loro amore in libertà, di vivere loro stessi rischiando senza pensarci più di tanto. I genitori di Susy, il capo dei Khaki scout di Sam con tutte le sue giovani marmotte e il capitano della polizia dell’isola daranno loro la caccia, non priva di ostacoli.
Chi conosce Wes Anderson sa perfettamente qual è il tema a lui più caro. Zoppicanti legami familiari inseriti in una società distante e ottusa, costringono i protagonista ad evadere, ad intraprendere dei viaggi per ritrovarsi. O per ritrovare affetti perduti. Susy porta sempre con sé un binocolo per vedere le cose da vicino anche se sono molto distanti. Come se fosse un potere magico. Sam porta sempre un cappello di pelliccia in testa, da vero Khaki scout, ma l’oggetto più importante è la spilla che indossa, appartenente a quella mamma che non c’è più. “Non dovrebbero portarla i maschi, ma io me ne infischio”, dice a Susy. Parlano di un futuro immaginario, fatto di viaggi avventurosi, entrambi non vogliono stare nello stesso posto. Anche se non si può predire il futuro. Sam confessa che probabilmente farà pipì a letto, di notte. L’avverte perché non si offenda, nel caso succedesse. Tutto questo tra margherite nei i capelli, scarafaggi come orecchini, sguardi adoranti. Sinceramente credo di aver visto pochi momenti così romantici e delicati con protagonisti due dodicenni.
Moonrise Kingdom è una commedia surreale, colorata di vintage, è fatta di frammenti di fotografia, quadri in movimento che raccontano una favola all’apparenza semplice, condita da situazioni buffe e divertenti. Grazie anche a dei personaggi decisamente pittoreschi. Ma non deve ingannare lo stile giulivo di Anderson, lui ci consegna una storia toccante e profonda, un’impresa romantica che ci impone una riflessione sul ruolo degli adulti (non solo dei genitori) nella formazione dei fanciulli. La telefonata tra il poliziotto (un Bruce Willis perfetto) e il padre affidatario di Sam può far sorridere, ma se ci si sofferma un secondo al significato di tale conversazione si rimane esterrefatti. L’amarezza che si percepisce dinnanzi alla sostanziale indifferenza dei grandi non è poca cosa. Ci fanno tristezza questi adulti, la guida scout (Edward Norton che torna, con grande gioia di tutti noi, a fare il suo mestiere), i genitori di Susy (Bill Murrey e Frances McDormand), il capitano scout uscito direttamente da Full metal jacket (si vede poco, ma un sempre strepitoso Harvey Keitel) e la tremenda figura “Servizi Sociali” (Tilda Swinton). Tutte figure deboli a cospetto di questi ragazzini pieni di vita e coraggio. Meravigliosa tutta la parte in cui i soci scout decidono di aiutare i giovani innamorati alla fuga definitiva. Ma c’è uno spiraglio di luce, questo spiraglio lo mostra Bruce Willis, immagino dopo l’illuminante conversazione a tavola con Sam. “Che fretta hai?”, chiede il capitano, “hai tutta la vita davanti”. “Forse sì. Comunque lei è scapolo”.
Un cast straordinario mette in scena un’opera splendida, originale e profonda. Fate attenzione all’introduzione e ai titoli di coda. La Guida all’orchestra per ragazzi di Benjamin Britten, con il tema di Henry Purcell, spiega la funzione di ogni strumento per far sì che un’orchestra abbia ragione di esistere. Così come nel mosaico della vita, ogni tessera deve essere posizionata correttamente, per poter vivere un’esistenza piena. Colorandola di una colonna sonora sublime. Vivete questa avventura firmata Anderson, non ve ne pentirete.
Silly
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