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MORTUARY DRAPE – Spiritual Independence (Iron Tyrant)

Creato il 12 febbraio 2015 da Cicciorusso

mortuary_drape_spiritual_independence“È arrivato un disco pieno di teschi e tibie, ma non ti è ancora passata ’sta mania?” Difficile non condividere lo sgomento della mamma che, non avendo più il figlio in casa da una decina d’anni, ha ricevuto la copia di Spiritual Independence fatta spedire a Torino per motivi logistici. Perché le spoglie mortali, lungi dall’essere un cliché, sono l’ultima vera icona capace di inquietare gli animi, a partire dalle mamme per finire con chi ha passato l’adolescenza tra diavoli e caproni, come il sottoscritto.

I Mortuary Drape lo avevano capito molto tempo fa. Non tanto per la copertina, così irriverente e sfacciata, di All the Witches Dance (la cui schiettezza ha fatto dubitare molti – ma non il sottoscritto – della sua veridicità), ma per la complessità di quella di Secret Sudaria. Ancora oggi mi capita di passare minuti a osservarla e a riflettere sulla trasformazione visiva di qualche scantinato del Monferrato bel suol d’amore in una catacomba. “Io fui come sei tu”, leggo sul muro del cimitero di Castagnole ogni volta che ritorno alla terra dei padri; ed è l’ultimo, immutabile concetto che fa ancora tremare i polsi. Non per niente Vitti ‘na crozza (qui interpretata da un noto cantautore caro a molti in redazione) è una delle canzoni più inquietanti che abbia mai ascoltato. La musica delle cocce di morto, diceva con saggezza maleventina la nonna di Charles, e Spiritual Independence, nella sua semplicità visiva, riprende esattamente lo stesso discorso.

Visivamente quindi, ma anche musicalmente parlando, Spiritual Independence è il ritorno più sensato a dieci anni esatti da Buried in Time (in fondo non un brutto disco, ma snaturato da una produzione fuori luogo). Le sgroppate, i giri di basso, gli assoli sono quelli di Into the Drape e All the Witches Dance, ora in un contesto più maturo e ponderato, con un picco qualitativo nel trittico “Once I Read (Marble Tomb)” – “Natural Death (1930-2011)” – “Mortal Remains (Your Bones)” (appunto!). Spiritual Indipendence non sarà forse l’album migliore del gruppo ma resta un buon tributo alla sua storia (ne è testimone il ritorno, più simbolico che sostanziale, di Wildness Perversion alla batteria). In quanto tale, è anche un coraggioso tentativo di dire la propria in un mondo musicale dove i Mortuary Drape erano e restano un unicum. Insomma, l’impressione generale di Spiritual Independence è quella dell’incontro con il vecchio compagno di banco ora affermato professionista. Negli occhi manca la follia adolescenziale, ma l’affetto nei suoi confronti non è cambiato e così la gioia per i suoi successi finalmente arrivati. Soprattutto ora che è invitato a grandi festival internazionali.

Proprio per questo mi rincresce molto sapere che non potrò essere a Oslo quando i Mortuary Drape suoneranno all’Inferno Festival, perché avrei davvero voluto invitarli a cena per fargli capire che la loro musica è la sola capace di far sentire a casa l’expat che è al 50% di Vignale Monferrato. E per fare un po’ di autoanalisi, quest’ultimo punto può anche servire da rivincita verso la spettabile redazione di questa testata, che dall’alto della sua sede in bass’Italia non ha perso occasione di stigmatizzare le mie origini. Perché il cielo del Piemonte sarà anche “una tazza p’o cess”, ma “noi ci abbiamo fatto l’Italia” (del black metal) “sotto questo cesso”, e Spiritual Independence, con i suoi teschi e le sue tibie, è il – tardivo, forse, ma completo – coronamento di questo percorso.



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