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Mr. Gwyn - Alessandro Baricco

Creato il 09 febbraio 2012 da Alboino
Mr. Gwyn - Alessandro Baricco 
E adesso che “Mr. Gwyn” è stato letto e riletto e digerito, cosa penseranno e soprattutto cosa diranno i critici letterari, come la prenderanno i saputelli delle congreghe letterarie, gli scrittori di nicchia (cioè quelli che non se li “caga” nessuno) e i docenti delle scuole letterarie, i poeti a vario titolo e gli estrattori dell’anima? E già, questa volta Alessandro Baricco è andato giù pesante scrivendo un romanzo “diverso” dalla sua solita produzione. Già con il precedente “Emmaus” aveva lasciato intravedere una inversione di rotta rispetto ai suoi classici “Castelli di Rabbia”, “Oceano Mare”, “Seta”; un cambiamento ben definito alla ricerca dell’anima dei personaggi in un percorso interiore tutto “baricchiano” (se mi passate il termine). Questo suo nuovo lavoro è un mistero disegnato in forma simmetrica, con due personaggi principali che giusto a metà della storia si passano il testimone: Mr. Gwyn che mischia le carte del mistero e la sua assistente Rebecca che ha il compito di ricomporne la sequenza per arrivare ad una ardita e luminosa evidenza. Le sopracitate categorie che sino ad oggi hanno definito Baricco come troppo antipatico, troppo egocentrico vedendo nella produzione che va da “City” in poi un declino inevitabile forse dovranno ricredersi dinanzi ad un lavoro che fa emozionare portandoci ad avere gli occhi lucidi e il sorriso ebete e una concreta soddisfazione una volta terminata la lettura.
E’ un romanzo pieno di poesia  e raccoglie una serie di invenzioni narrative che hanno l’indubbio merito di affascinare il lettore come la creazione di personaggi che hanno la magia dell’inesistenza nel mondo reale; per tutti vale l’artigiano che produce lampadine a mano modellandone forme, intensità e durata. E’ un libro di smarrimenti e abbandoni, di rincontri e riconoscimenti. Ancora una volta come spesso accade il nucleo principale della storia di questo “Mr. Gwyn” sono i sogni, i progetti, le passioni care ad ogni animo umano e lo scrittore non fa altro che sforzarsi continuamente per raggiungere gli obiettivi che i suoi protagonisti (ma poi in realtà il lettore stesso) si prefiggono di raggiungere, coronare, difendere. Mr. Gwyn è un artista unico che dal nulla inventa una nuova arte combinando con elegante purezza la tecnica pittorica a quella narrativa.
Jasper Gwyn è uno scrittore londinese di 43 anni che durante una delle sue solite passeggiate in Regent’s Park decide di smettere con l’attività dello scrivere, per cui stila un elenco di 52 cose che da quel giorno non avrebbe più fatto (e guarda caso l’ultima è proprio quella di non pubblicare più libri) e le fa pubblicare sul “Guardian”. Praticamente solo dopo tre romanzi che gli hanno dato fama, notorietà e ricchezza la sua carriera è già al capolinea nonostante i molti tentativi del suo amico-agente Tom Bruce Shepperd (un altro di quei personaggi inverosimili a cui si accennava prima) di farlo desistere dalla sua decisione. Ben presto però Mr. Gwyn si accorge che la sua nuova dimensione di “disoccupato” è una dimensione impossibile per lui, dal momento che nella testa continua a scrivere (anche delle semplici frasi fine a se stesse). Cerca in tutti i modi di tenere fede al suo proponimento arrivando persino a sperimentare la lentezza concentrandosi sui piccoli gesti quotidiani (come allacciarsi le scarpe). Ma tutto ciò non serve a colmare il vuoto prodotto nella sua vita dall’abbandono dello scrivere. L’idea di diventare un copista di persone, ovvero l’arte di mettere per iscritto l’anima della gente, gli balena in mente un giorno che per pura necessità (piove) mette piede in una galleria d’arte e rimane affascinato dai ritratti di un artista e la conferma di un lavoro tutto sommato creativo gli viene da un incontro in un ambulatorio medico con una saggia vecchia signora, lettrice dei suoi romanzi che approva la scelta di Mr. Gwyn (il dialogo fra i due è degno del miglior Baricco: “Finite le idee?”, chiese la donna. – “No, quello no”. – “E allora?” – “Mi piacerebbe fare un altro mestiere”. – “Tipo?”. Jasper Gwyn si fermò. – “Credo che mi piacerebbe fare il copista”. La donna ci pensò un po’. Poi riprese a camminare. – “Sì, posso capire”, disse. – “Davvero?” – “Sì. È un bel mestiere, il copista”. – “È quello che ho pensato”. – “È un mestiere pulito”, lei disse). Così l’ex scrittore comincia a scrivere ritratti per riportare a casa la gente, lavorando in un vecchio looft attrezzato per lo scopo: con la corretta illuminazione (18 lampadine modello Caterina de’ Medici fabbricate manualmente una per una che palpitano vita, destinate a spegnersi inesorabilmente in un tempo prestabilito ma secondo un ordine indicibile a priori, lasciato alla creatività del caso) e un sottofondo musicale creato dal suo amico David Barber (altro personaggio surreale). Davanti al lettore si apre quindi un nuovo modo di vivere le persone: quello che mira alla loro essenza, alla loro interiorità; che non si ferma davanti alle apparenze, ma scava in fondo, riportando a galla le cose essenziali per cui vale la pena vivere. Sarà Rebecca, la stagista del suo agente letterario, la prima a sottoporsi al ritratto di Mr. Gwyn: poserà nuda per quattro ore al giorno tutti i pomeriggi per oltre un mese senza mai intessere un dialogo con l’artista. Rebecca uscirà da questa esperienza straniante completamente cambiata tanto da diventare l’assistente stessa di Mr. Gwyn depositaria del suo stesso mistero. Baricco cosparge il libro di indizi e non svela tutti i misteri lasciando aperti innumerevoli sentieri da esplorare. Ma qual è il vero mistero che Baricco non svela? Semplice: IL TEMPO. Un tempo che in questo romanzo è tempo esatto, il tempo che serve per purificare gli strati che contaminano l’essenza individuale, finché il copista giunge all’atto puro di guardare e i modelli si rivedono simultaneamente in tutti i personaggi che compongono il ritratto narrato. E questi personaggi si ritrovano nudi di fronte al tempo non alla luce delle lampadine ma proprio quando l’ultima di esse muore. Il tempo che intanto è volato via portandosi con sé un sacco di cose (forse le meno essenziali).  
Tutto ciò ci racconta la determinazione con cui vanno fatte le cose senza mai scoraggiarsi di fronte a ciò che di negativo può succederci. Baricco sembra dirci che bisogna sempre ascoltare il cuore e tenere fede alle proprie passioni facendo le cose che più ci piacciono. Noi esseri umani oltre che personaggi siamo storie e la storia individuale di ognuno di noi si compone di pagine di un libro che nessuno ha mai scritto e che cerchiamo invano nella nostra mente. In realtà solo gli altri possono ricordarci, raccontarci e a noi non rimane altro che il percorso vitale, vera essenza che racchiude tutta la bellezza della vita. Mr Gwyn ci insegna ad ascoltare noi stessi: a capire chi veramente siamo, quale storia rappresentiamo, cosa vogliamo fare. Siamo noi che decidiamo cosa farne del nostro futuro, dobbiamo essere noi  a capire che cosa ci fa nascere un leopardiano gorgogliamento dell’animo. Si diceva all’inizio che c’è tanta poesia in questo romanzo, addirittura qualcuno si è preso la briga di definirlo un “poetico thriller” con un ritmo rilassato per circa due terzi del lavoro e una parte finale in cui si corre per vedere cosa succede alla fine. Il ritmo della narrazione è maniacalmente curato (“e scritto con la solita prosa-Baricco - una scrittura che non può mai deluderti, perché non offre alcuna aspettativa: quando apri un romanzo di Baricco sai già che è scritto benissimo, con una struttura perfetta, dialoghi perfetti, una lingua perfetta. Non ti tradisce mai”) con dettagli e sottrazioni e mai una parola di troppo.
Il dibattito a questo punto è aperto: “Mr. Gwyn” rappresenta la conversione ultima e definitiva dello scrittore Alessandro Baricco da narratore fantastico a puro neo-realista (superiore a tanti intellettuali non-fiction-novel come Saviano analizzata da un noto quotidiano nazionale)?  E infatti lo scrittore in crisi diventerà davvero un copista. Nel senso che si mette a fare ritratti alle persone. O meglio si mette a scrivere ritratti. Guarda le persone e le de-scrive. Per riportarle a casa, spiega lo scrittore. Dove “casa” significa l’”essenza”. Cioè la realtà delle cose. E il più grande scrittore fantastico vivente (Jasper Gwyn o Alessandro Baricco?) si converte al realismo estremo. L’affabulatore che abbandona il sogno e si riduce a copiare la verità. Dalla fiction al factual. Dall’utopia al pragmatismo”. Questo romanzo “testimonia la parabola ideologico-letteraria di un narratore che ha iniziato a costruire castelli in aria e alla fine, a 53 anni, ha messo i piedi per terra. Scrivendo un romanzo - come l’ha definito un autorevole critico citato in Mr. Gwyn - che è “un affascinante mosaico di vita reale e perduta.”
Al di là della critica (piuttosto benevola in questo caso), “Mr. Gwyn” è di certo un romanzo sulle forme di linguaggio che legano e fanno incontrare le persone. Che siano a lieto fine o meno, che siano caratterizzate dal silenzio o dagli sguardi più che dalla parola, sono comunque meritevoli di essere vissute.          

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