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Muse a Roma: un Concerto Leggendario

Creato il 12 luglio 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Francesca Calì 12 luglio 2013 ascoltare, eventi, musica, primo piano Nessun commento Muse a Roma: un Concerto Leggendario

«Our hopes and expectations / Black holes and revelations». Un giorno: 6 luglio 2013; un luogo: Stadio Olimpico di Roma; un numero: 60.000 spettatori; una band: i MUSE! Qualora ci fosse bisogno di presentazioni, si tratta del gruppo alternative rock britannico composto da Matthew Bellamy (voce/chitarra/piano, quest’uomo sa fare tutto) Dominic Howard (batteria) e Chris Wolstenholme (basso). Che fosse un evento lo si poteva intuire già dal fatto che, nella lontana Catania, alle parole «autista, all’aeroporto!» mi sia sentita rispondere «anche lei al concerto a Roma?». Ma se l’autista non era prova sufficiente, di sicuro lo è stato l’aeroporto Fontanarossa, letteralmente invaso da giovani che, muniti della loro Muse-maglietta, intonavano i brani preferiti impegnati in una sorta di prova generale. In quel clima di fratellanza e ferrea amicizia, che si può riscontrare tra ragazzi (fino ad allora sconosciuti) solo in occasione di concerti e/o esami all’università, sono certa di aver instaurato rapporti duraturi (tizio col cappello non ti dimenticherò mai), e ho potuto riscontrare l’italico entusiasmo per il trio inglese; non ce ne voglia Valerio Scanu in fila anche lui al check-in.

Muse a Roma: un Concerto Leggendario

Il clima tropicale con tanto di monsone non ha scoraggiato i fan accorsi nella città eterna, e lo stadio gremito ha accolto con entusiasmo e svariate ole la voce che annunciava che i Muse avevano scelto la cornice dell’Olimpico come scenografia per la registrazione del DVD del loro tour estivo, che li porterà in giro per il mondo dopo tre tappe italiane (l’ultima appunto a Roma). Cala il sole e calano le luci, «1,2,3,4 fire’s in your eyes» (letteralmente), si comincia. I giochi pirotecnici, le fiammate e il boato degli astanti alle prime note e capisci che ci siamo «You’ve arrived at panic station!». Il concerto si apre con l’inconfondibile riff di Supremacy e non c’è bisogno nemmeno dello stentato «buonasera Roma» di Bellamy perché lo stadio è già esploso in uno scroscio di applausi. Il brano d’apertura è tratto dall’ultimo album, The 2nd Law, che regalerà l’esecuzione di altri pezzi come Follow Me, Animals, Liquid State e Panic Station con tanto di cartone animato di Papa Francesco che si scatena a ritmo di musica su maxischermo.

Muse a Roma: un Concerto Leggendario

E poi, poi è il suo turno: Madness; basta sussurrare il monosillabico tormentone e gli spalti si costellano di mille lucine, un tempo date da accendini oggi dagli schermi dei telefoni, e accompagna come fosse il quarto membro del gruppo l’esecuzione del brano. È questa la magia dei concerti, tu canti ed esce la sua voce, quella di Matthew Bellamy, e quella di uno stadio, 60.000 ugole che si fondono in una. Gli assolo di chitarra e di basso fanno ricordare quali esperti musicisti siano, e Dominic Howard non fatica a sostenere da solo il peso degli sguardi e delle orecchie di un’intera arena durante le, seppur brevi, pause dei compagni.

Muse a Roma: un Concerto Leggendario

Spostandosi con naturalezza in quel labirinto di note che compongono alcuni pezzi entrati ormai nella storia della discografia mondiale, il gruppo trascina gli spettatori in un viaggio nel tempo e nella musica, attraverso undici anni e sette album. Non mancano, infatti, gli intramontabili Supermassive Black Hole o Hysteria, Time Is Running Out e Resistance, passando per Undisclosed Desires e Feeling Good, e dopo un’adrenalinica Uprising si chiude con Starlight. Spettacoli di luci, fuoco e acrobati coccolano l’occhio mettendolo al passo con le orecchie cullate dalle melodie e dall’inarrestabile bravura dei tre artisti, confezionando uno spettacolo all’altezza delle aspettative.

Muse a Roma: un Concerto Leggendario

Aneddoti di viaggio: durante il volo Catania – Roma risuona L’essenziale (Marco Mengoni), dalla fila dietro si sente un «sull’aereo c’è il cantante che canta questa canzone», ma viene indicato Valerio Scanu; durante il tragitto in tram verso lo stadio, stipati come galline in allevamento intensivo, ho “assorbito” a livello osmotico tramite la sudorazione una turista asiatica, conto di rivederla in seguito a mitosi; a qualsiasi invito di Bellamy dal «put your hands up» al «sing with me Roma» la folla rispondeva con un generico urlo tipico di chi non ha capito; secondo il tizio della rosticceria vicino l’Olimpico 500 metri ci separavano da Piazza del Popolo, i 500 metri più lunghi della mia vita, in seguito Google Maps mi ha comunicato che erano 4,6 km; alla fine del concerto lo stadio saluta i Muse col “poroppopopo” (Seven Nation Army dei White Stripes), capisco che siamo in un luogo consacrato al calcio, ma perché???

Muse a Roma: un Concerto Leggendario

Considerazioni finali: io amo i Muse; gli italiani non sanno l’inglese, nemmeno il più elementare, ma – onore al merito – conoscono i testi musicali a memoria; hanno difficoltà a capire quale canzone appartenga a quale gruppo/cantante; i romani hanno problemi nel calcolare le distanze.

Fotografie di Francesca Calì e Massimo Palermo

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