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“Name & Shame”

Creato il 23 ottobre 2012 da Fugadeitalenti

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E’ davvero una bella provocazione, quella che ci invia per e-mail il nostro lettore Francesco: cominciare a fare del sano “name and shame”, in salsa anglosassone, anche qui in Italia. Francesco titola la sua e-mail come “Domanda di un Pierino“. Ma il problema che pone è più che mai reale: occorre fare in modo che le denunce -in questo Paese- acquistino sempre più sostanza e concretezza.

Ciò richiede coraggio, non solo da parte di chi scrive, ma anche da parte di chi si espone, in un Paese dove qualche querela è sempre pronta a partire e dietro l’angolo. Ma sono assolutamente d’accordo con Francesco che questa sia la prossima sfida, soprattutto culturale, che attende l’Italia: l’innesto di una sana cultura del “name and shame”.

Chi sbaglia deve pagare: in un Paese dove si perdona sempre chiunque (soprattutto se potente), assolvendolo da ogni peccato, questa cultura così tipicamente anglosassone è la medicina da cui ripartire.

Sicuramente, questa è la direzione verso cui puntare. Vi lascio alla lettura della lettera:

“Egregio Dott. Nava, mi chiamo Francesco, ho 45 anni  e, pur avendo (se Dio vuole) un lavoro che consente a me e alla mia famiglia un’esistenza libera e dignitosa, sono particolarmente interessato alle tematiche del suo blog, istruzione, lavoro e spreco  di talenti, sia come cittadino sia come babbo di due gemellini di sei anni e mezzo, che già stiamo preparando, se occorrerà, ad andare in giro per il mondo. Perchè le scrivo? Il suo blog mi sembra almeno in parte immune dal difetto proprio di molti altri siti sul medesimo argomento, che mancano di una parte costruttiva e si riducono ad una “agony column”, o nel senso di un bozzettismo da sitcom (vedi “Generazione 1000 euro”) o nel senso di un populismo a buon mercato (anche, ma non solo, Beppe Grillo). Il suo sito invece, come nel sondaggio da ultimo proposto, prova anche a individuare soluzioni, e mi pare ne abbia fatto emergere una: promuovere la creazione di un gruppo di aziende che -molto banalmente- paghino il talento così come si fa all’estero. Mi sembra però che tale sua proposta avrebbe molta più forza se appaiata ad una pratica che nei Paesi anglosassoni funziona, e si chiama “name and shame“. Le faccio un esempio: pensi alla forza che avrebbe acquistato il suo post sul giovane immigrato a Zurigo se accanto ai nomi di “buoni” fosse apparso il nome del “cattivo”, ovvero del revisore italiano che gli ha offerto condizioni di lavoro inaccettabili. Certo, si sarebbe dovuto modificare qualcosa, ad esempio non dire “spremuto come un limone”, che può legittimare querele, ma “assoggettato ad un orario di -mettiamo- 48 ore la settimana per 1000 euro al mese”, e fare come i giornalisti inglesi, che previamente contattano l’interessato e gli chiedono se vuol replicare. Ma pensi al risultato: la Ditta XY avrebbe dovuto affrontare la cattiva pubblicità di essersi lasciata scappare un grosso talento, e magari il responsabile locale ne avrebbe dovuto dar conto ai superiori… Chiaro che per far ciò c’è un prerequisito: chi si rivolge al giornalista deve firmarsi, come lei fa ed io faccio, con nome e cognome, come si deve fare in democrazia. Le sembrerà strano, ma questa mia idea, suggerita a persone che come lei si occupano di queste tematiche, è sempre stata respinta: o è caduta nel vuoto, come nel caso di un mio intervento, sempre con nome e cognome, sul sito della campagna “Giovani non più disposti a tutto”, o ha suscitato repliche del tipo “ma se io mi espongo, nessuno mi fa più lavorare”. E lei, che ne pensa? Augurandole buon lavoro, attendo una sua risposta e le porgo i migliori saluti“. FRANCESCO

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