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Napoli e le sue canzoni (prima parte)

Creato il 16 novembre 2010 da Cultura Salentina

di Matteo Dell’Olio

Napoli e le sue canzoni (prima parte)

Partenope street

Narrano antiche leggende che l’incantevole Partenope fosse il luogo prediletto dalle sirene e, quindi, per vocazione primitiva votata al canto, uno, tra i  tanti doni avuti in sorte. Tra i mille doni che le sono stati elargiti — il sole, il mare azzurro e calmo, la mitezza del clima, la sua collina ammantata di una lussureggiante vegetazione di oleandri e di gelsomini (così, almeno in quei tempi mitici e primitivi) — non ultimo dono fu quello di averle dato la forza di resistere a tante avversità, o, per dirla nel gergo “malvagità”, opponendo a ogni dolore  e a ogni lutto la purificatrice e consolatoria arte della musica e del canto.

E’ questa Napoli antica, ma anche odierna, attuale — malgrado le apparenze negative e le derisioni — che io tenterò di riportare a voi attraverso la voce delle sue splendide canzoni. Perché, oltre tutto, Napoli è stata terra di delicati poeti e di grandi narratori nati da quello che, spregiativamente il più delle volte, veniva chiamato il popolo, tra i suoi vicoli vocianti e che, da ogni vicolo hanno portato la loro voce in ogni parte del mondo. Né, vi assicuro, è facile poetare in vernacolo. Cosa ben più facile è scrivere versi che non vuol dire affatto essere poeti, ma solo costruire assonanze.

Ve lo dico a ragion veduta per essermi anche io cimentato, senza ambizioni di poeta, in questa difficile forma d’arte. Così come, credo, alcuni di voi, perché, ho constatato, che questa è una malattia di moltiScrivere versi poi, a parte l’ispirazione, con la perfezione sia nel metro che nel ritmo con cui sono costruite mirabilmente la maggior parte delle canzoni di Napoli è cosa davvero rarissima. Sono endecasillabi, ottonari, rime baciate e alternate di una pulizia e di un rigore difficilmente riscontrabili anche nelle poesie in lingua, specie se a esse si aggiunge il sentimento, la passione, la malinconia, la nostalgia, l’amore che sono i temi dominanti delle composizioni poetiche napoletane.

Del resto Di Giacomo, Scarfoglio, Bracco, D’Annunzio, Bovio, Mario, Totò sono alcuni dei poeti ai quali si aggiungono musicisti come Tosti, Denza, De Curtis, Gambardella, Costa, Tagliaferri, tutta una foltissima schiera di autori che  ha reso immortale la canzone napoletana. Basti pensare che, nel 1839 Gaetano Donizetti pare abbia musicato “Io te voglio bene assai”, seguita nel 1842 dalla bellissima “Fenesta ca lucive” e alla penna di Gaetano Donizetti, sia attribuita “Santa Lucia”,  sul mare luccica . Qui si trovano le nobili origini di questo genere che anche Rossini onorò di una sua notissima “Tarantella”.

Non vi è alcun dubbio che, nel periodo successivo, sono però sopratutto due gli autori che hanno dominato, sia internazionalmente nel campo della romanza da camera, sia in quello della canzone in vernacolo: Francesco Paolo Tosti e Luigi Denza dei quali avremo modo di parlare in maniera più ampia nel corso di questa chiacchierata.

Ma, torniamo a Napoli e alla sua storia di grande Capitale del Mezzogiorno. All’indomani del Plebiscito del 21 ottobre 1860 che vede la città entrare a far parte dell’Italia una e indivisibile (allora l’Italia si sognava così!) con Vittorio Emanuele re costituzionale non ha certo inizio, per la città partenopea, quell’era di felicità vagheggiata da Vincenzo Gioberti e dai tanti patrioti. Con l’annessione delle province meridionali al Regno di Sardegna a seguito dell’epopea garibaldina il debito pubblico dell’ex Regno delle due Sicilie viene assorbito dal regno sardo che è due volte più pesante.  Finisce al Nord l’oro del Banco di Napoli che ha un valore di 443 milioni di lire di quel tempo, contro i 148 che costituiscono il contributo del resto d’Italia. Dati ufficiali, forniti nel 1861, all’atto della nascita del Regno, dal ministero del Tesoro, quindi non di propaganda terrona.

Chissà se queste cose e queste cifre le conoscono gli eruditi confratelli della Padania che oggi reclamano i “danè” come cosa esclusivamente loro! Napoli era, allora, (secondo il censimento del 1861) la città più popolosa della nuova nazione: 450.000 abitanti circa, contro i poco più di 200.000 di Milano e i 130.000 di Torino per non parlare dei 90.000 della Roma papalina. Era l’unica città che avesse una secolare tradizione come Capitale di un regno, il più vasto della penisola,  che si vide ridurre in pochi decenni al rango di capoluogo di provincia con la perdita della sua rilevanza economica, commerciale, industriale, e delle sue ambasciate e i suoi ministeri.

Fu questo il prezzo che toccò pagare per l’unità italiana in favore delle nuove capitali: prima Firenze e poi Roma, l’attuale “Roma ladrona”. Eppure, forse per quel caratteristico spirito partenopeo di adattamento proprio, evidentemente, delle classi borghesi, assistiamo al fiorire a Napoli di una intensa e vivace vita culturale. In questa città nasce il giornalismo a larga diffusione con molte testate di informazione ma anche di arte.

Qui nascono nel 1860 “L’Indipendente” di Alessandro Dumas, al quale nel 1862 si affiancano “Il Piccolo” e il “Roma”, cui faranno seguito “Il Mattino” e il “Corriere di Napoli” di Eduardo Scarfoglio e di Matilde Serao. In quello stesso periodo e sulle pagine di quei quotidiani Francesco Mastriani pubblica a dispense i famosi romanzi di appendice “La cieca di Sorrento”, il “Conte di Castelmoresco” e il celeberrimo “I misteri di Napoli” tra il 1861 e il 1870. E’ l’inizio anche del nuovo teatro che, via via, si sviluppa con Raffaele Viviani, con Eduardo Scarpetta, con Ernesto Rossi e Salvini fino a sfociare, in tempi successivi, nei due grandi filoni della sceneggiata strappalacrime e del grande teatro di Eduardo De Filippo, dove vive e palpita il cuore popolare e genuino di Napoli.

Questo mondo è ritratto mirabilmente anche dai pennelli di grandi pittori della scuola napoletana: da Giacinto Gigante, ai fratelli Palizzi, a Domenico Morelli a Gioachino Toma a Paolo Michetti, a Vincenzo Gemito.

Napoli e le sue canzoni (prima parte)

Luigia Sanfelice di Gioacchino Toma

Insomma Napoli non è solo quella città da cartolina illustrata, quel pittoresco mondo di mandolinisti, di guappi di perdigiorno e di “pagliette”,  ma, al contrario, si conferma, al di là di ogni stereotipo, quale maggiore centro culturale d’Italia. Una delle poche città che non è mai venuta meno alla sua vocazione di  capitale dell’ingegno, e di officina di nuove esperienze. Dell’ingegno, e qui veniamo al tema di questa chiacchierata, sopratutto, della musica, della bella musica! Non solo del melodramma.

Ma non si può comprendere l’importanza e il primato musicale delle canzoni di Napoli se non ci si rifà alle sue tradizioni e al suo modo di vivere il presente alla continua ricerca di un futuro diverso che in campo sociale e del lavoro le mancherà, ma non le verrà mai meno nel campo dell’arte. Napoli dell’Ottocento, è, al pari di Parigi (alla quale viene spesso paragonata) una roccaforte sia del teatro musicale, del melodramma, che di quel genere così detto leggero, che dilaga da per tutto e che è rappresentato dall’operetta e dalla canzone.

Il Real Teatro San Carlo, il Bellini, il Mercadante e i tanti teatri di prosa — il “Sancarlino”, il Teatro del Corso, il Sannazzaro ai quali si affiancano, via via, una serie di ritrovi dove si faceva musica e ballo — i famosi Salone Margherita, Trianon, Eldorado, Eden, Gambrinus formavano la dote più cospicua gaudente, ma, allo stesso modo, prevalentemente colta e per niente sciatta e volgare come, assai spesso la si è voluta dipingere della  Napoli di fine ottocento e di inizio novecento. Di quella Napoli, a dire il vero, oggi non rimane molto, se non il caos, il disordine, il malaffare e, purtroppo, il cattivo odore, le più negative, tra le doti che un tempo erano invece, il cuore, la mente, la poesia, il sentimento.

Napoli, del resto  come tante altre nostre belle città non solo meridionali, stanno perdendo gran parte delle loro doti migliori per far posto al cattivo gusto, al gossip, alle volgarità di questo nostro esangue tempo mediatico. Alla canzone, o per essere più precisi alla nenia popolare e alle sue feste ballerine si erano avvicinati, come abbiamo accennato, grandi geni della musica da Rossini a Donizetti a Bellini ma in modo saltuario ed elitario.

(continua)

[N.d.r.: nell'ultima puntata sarà disponibile l'ebook da scaricare]


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