Magazine Diario personale

Natale. Accendiamo un faro?

Da Il Gazzettino Del Bel Mondo

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La scrittrice Marina Salucci non vuole affatto rovinare la festa a nessuno, solo porre un paio di domande che, sì, potranno metterci un po’ di difficoltà. E meno male. Siamo già in troppi ad ostentare sicurezza. 

Ora, non è che io voglia rompervi il panettone nel paniere, e statene certi, neppure sgasarvi tutte quelle bollicine, no, io ci vorrei soltanto accendere un faro sopra. Buttare nel piatto giusto due domande, qualche appunto, due quisquiglie, se le giudicherete tali.

D’accordo?

Partiamo.

Vorrei chiedervi, nell’imminenza del Santo Natale, se vi considerate cattolici o quantomeno cristiani. Avete detto di sì? Allora vi va di fare qualche passo con la mia penna, di riflettere insieme?

Avete detto di no? Ecco, a voi invece, chiederei perché lo festeggiate.

So che è vostra facoltà rispondere che di affar vostro si tratta, ma sapete, gli scrittori gli affari loro se li fanno malvolentieri e spesso hanno la presunzione di richiamare alla coerenza. Quella degli altri, beninteso.

So che a questo punto il pubblico dei lettori già s’è sfoltito e sono rimasti i più audaci, dunque affondo.

Credo sappiate che il Natale è stato sovrapposto ad antiche feste pagane, tutte legate al solstizio invernale, quando l’avanzare del buio si ferma e la luce inaugura un nuovo ciclo. Giorni magici di morte e rinascita.

Tanto radicato era il culto antico che i prelati della cristianità a cancellarlo non ci provarono neppure, ma ci piazzarono sopra la nascita di Cristo. Si sa, il popolo ha la testa dura.

Dunque, a questo punto le probabilità che Yoshua ben Joseph sia nato il 25 dicembre si assottigliano terribilmente, perché non sapendo quando l’evento sia stato tutti i giorni sono buoni.

E che ci importa, sento dire, lo sappiamo, ma oramai è diventato qualcos’altro, tradizione, condivisione, amore per il prossimo, dono, pace. Si diventa migliori.

Migliori dite?

Perché cantate “Tu scendi dalle stelle”?

Scusate, ma non credo che basti.

Quali azioni filantropiche, dall’umanità d’ampio respiro, avete intrapreso stimolati dalla Natività?

Ah, ho capito.

Vediamo allora d’aggiustare il tiro.

A quali persone a voi vicine, facciamo nel raggio di pochi chilometri, avete pensato di donare qualcosa, (altolà, non parlo dei regali canonici) un po’ di voi stessi, del vostro tempo, magari per parlare davvero, come da tanto tempo non fate?

A quanti Bambini Gesù vi siete rivolti, dopo aver accertato il loro bisogno?

D’accordo, mi state dicendo che comunque lo potreste fare, perché sentite dentro di voi un’ovatta simile a neve, un’effusione soffice, e che da questo stato d’animo qualcosa di buono scaturirà, in fondo essere freddi e disfattisti come me a che cosa serve? Natale e pace sono una cosa sola.

Dite?

E allora perché in questi giorni ve n’andate in giro nervosi come una centralina elettrica, così bendisposti verso il vostro prossimo da aggredirlo col clacson o con improperi vari, se non si muove al semaforo più veloce della luce?

E nelle code furiose che provocate uscendo tutti in auto, perché litigate col coniuge o con chi ne fa le veci?

E poi, nella ressa del supermercato, con la faccia stravolta, come mai vi lamentate l’uno con l’altro e vi confidate che non vedete l’ora che arrivino i Magi?

Ma allora, stiamo timbrando un cartellino?

Come dite, la festa della famiglia?

Uhm, e se vi dicessi: povera quelle famiglia che ha bisogno del Natale per ritrovarsi…

Lo so che cominciate a pensare, con tutta codesta bontà, di inveirmi contro. Ma vedete, io ve l’ho detto, volevo soltanto accendere un faro. Quello della consapevolezza. Poi, liberi tutti.

Anche di farsi a pezzi l’apparato digerente, perché non sia mai che il Natale non si santifichi con dieci fini portate, e mi raccomando, insegniamo ai bambini a mangiare tutto, che con la fame che c’è nel mondo, mica si può permettere loro di lasciare sul tavolo quel candito libanese glassato…

E ora s’è fatto tardi, chiudiamo il faro?

Non prima di confessarvi, carissimi, che stavo parlando anche a me stessa.

(Marina Salucci)



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