Magazine Cultura

Nazioni e Nazionalismi. Tre studi storici comparati (E. Gellner, E. J. Hobsbawm e A. D. Smith)

Creato il 10 dicembre 2011 da Tirsenide

Nazioni e Nazionalismi. Tre studi storici comparati (E. Gellner, E. J. Hobsbawm e A. D. Smith)

Parte prima.

“Nazioni e nazionalismo” (1992) di E. Gellner

Per l’autore il nazionalismo << … è una teoria di legittimità politica che esige che i confini etnici non siano violati da quelli politici e, in particolare, che i confini etnici all’interno di un determinato Stato … non separino i detentori del potere dal resto dei cittadini >> (pag. 4).

Il fatto che Gellner inizia dalla legittimazione politica e dalla detenzione del potere è significativo: la contemporanea e reciproca relazione tra l’autoaffermazione e l’autogoverno di un popola è una precondizione voluta da una comunità rispetto alle altre. Se << ci sono stati nazionalismi che sostenevano il seguente principio: ogni nazione ha diritto a una propria dimora politica, ogni nazione deve astenersi dall’includere nel proprio recinto i non-nazionali >> (ibidem). Da questa considerazione fatta da un autore, come vedremo, teorico della modernità del nazionalismo, si sviluppano importanti analisi storico-sociologiche sulla questione nazionale. Con le tesi weberiane sullo Stato (in una data società lo Stato detiene il monopolio della violenza) fatte proprie dall’autore si completa la tesi liberale: << lo Stato esiste laddove enti specializzati nell’imporre l’ordine, quali le forze di polizia e i tribunali sono separati dal resto della vita sociale >> (pag. 6). La tesi dell’A. è una versione chiamata modernismo nel dibattito storiografico: il Nazionalismo e le Nazioni sono prodotti dell’epoca moderna cioè sono nati nell’era industriale. Il nazionalismo appare quando l’esistenza dello stato è largamente data per scontata; lo stato nazionale moderno in Italia, per esempio, è nato nella seconda metà del XIX° secolo, mentre il nazionalismo moderno è presente nel primo decennio del secolo XX°.

Per Gellner << il problema del Nazionalismo non insorge dunque quanto non c’è lo stato >> (pag.

8)
e, ancora non tutti gli stati sono interessati al fenomeno. Per il nazionalista lo stato è la nazione mentre spesso << alcune nazioni sono certamente emerse senza la benedizione dei propri stati >> (pag. 9). Il problema della definizione della nazione presenta notevoli difficoltà, sia per la questione antropologica (la cultura comune) sia per la definizione di volontà di appartenenza ad una nazione.

Analizzando le fasi storiche (cap. 2) che hanno portato alla nascita delle Nazioni e del Nazionalismo come ideologia (o, all’estremo, come weltenschauung delle classi dirigenti) l’aspetto culturale balza subito al primo posto fra gli interessi dell’autore. L’esteriorizzazione delle ineguaglianze fra “dotti” e contadini nelle società agro-letterarie (una delle prime forme storiche di società) è un tipico esempio di scissione che produce differenziazione e disomogeneità: nel nazionalismo è proprio l’omogeneità culturale l’elemento che costituisce l’idea nazionale. << Sotto la minoranza stratificata al vertice c’è un altro mondo, quello delle piccole comunità lateralmente separate, dei membri della società privi di qualsiasi specializzazione … nessuno o almeno quasi nessuno ha interesse a promuovere a questo livello una qualche omogeneità culturale. Lo Stato si preoccupa solo di esigere le tasse, di mantenere la pace, e non molto di più, né alcun interesse a favorire comunicazioni laterali fra le sue comunità >> (pag. 13).

Le società agro letterarie sono esistite sotto forma di tre distinti organizzazioni. La prima, la forma più antica, è quella delle comunità locali che si autogovernano; la seconda è la forma imperiale, un territorio vasto assoggettato a una persona: l’imperatore. L’ultimo tipo è una forma ibrida: << un’autorità dominante centrale coesiste con unità locali semiautonome >> (pag. 17).

Nel terzo capitolo l’autore si sofferma sull’elemento fondamentale delle società industrializzate, che , ancora una volta è un concetto weberiano: la razionalità. Che è il nuovo geist (spirito) dell’organizzazione sociale, distinto in due momenti: <<uno, la coerenza, l’analoga maniera di trattare casi analoghi, la regolarità, quel che potremmo chiamare l’anima stessa o l’onore del buon burocrate. L’altro è l’efficienza, la fredda razionale selezione dei migliori mezzi disponibili per dati fini, chiaramente formulati e isolati; in altri termini lo spirito dell’imprenditore. Metodo e efficienza possono essere considerati gli elementi imprenditoriali e burocratici dello spirito della razionalità globale >> (pag. 24).

Nella società moderna l’istruzione universale, standardizzata e generalizzata svolge una precisa funzione, che riguarda non soltanto il modo di produzione: si passa da pochi istruiti, nel caso delle società premoderne, a molti istruiti stabilmente, dovuto principalmente al fatto che il lavoro da manipolazione di cose diventa manipolazione di informazioni.

Le società moderne sono caratterizzate da gruppi omogenei (capitolo quarto) sia per quel che riguarda gli stili e i consumi, ma anche l’idea comune del mondo e della rappresentazione della storia. Questa omogeneità generalizzata si espleta nel nazionalismo, ma non è il nazionalismo ad imporla, è piuttosto imposta << … da un imperativo inevitabile, oggettivo >> (pag. 45)

Gli eventi storici confermarono che << l’età della transizione all’industrialismo doveva … essere un’età di nazionalismo, un periodo turbolento, il riassetto in cui sia i confini culturali che quelli politici o entrambi  venivano modificati in modo da soddisfare il nuovo imperativo nazionalista che ora per la prima volta si faceva sentire >> (pag. 46). Gli effetti dell’industrialismo avvengono contemporaneamente agli effetti del  nazionalismo. Partendo  dalla Riforma l’autore analizza, le istanze e gli effetti provenienti da quell’evento: la lotta contro il clero, l’individualismo e la presenza dei Riformatori nelle città sono elementi tipici che produssero l’età del nazionalismo. In epoca più recente l’analisi dei legami fra nazionalismo arabo e una sorta di versione “riforma” dell’Islam confermerebbe la tesi. Più complesso si fa il discorso sui legami fra colonialismo e nazionalismo: << la conquista non era stata progettata e fu frutto della superiorità tecnologica ed economica, e non di una vocazione militare >> (pag. 49) Un’obiezione: ma questa superiorità tecnologica non è il frutto dell’industrializzazione, fenomeno coevo al nazionalismo?

La tesi generale dell’autore è quella del bisogno di omogeneità sentita dalla società (ma in modo più esplicito nei governanti) a causa della << nuova forma di organizzazione sociale basata su culture superiori dipendenti dall’educazione e profondamente interiorizzate, protette ciascuna dal proprio Stato >> (pag. 54). Il nazionalismo non è un prodotto di un “impulso ostinato” (machtbedurfnis, come scrive l’autore), più o meno latente in una società, ma è una conseguenza oggettiva dei rapporti reali di potere, organizzazione e destino politico di una comunità.

Sul piano sociologico l’autore (capitolo quinto) sostiene che due furono gli elementi costruttori di una Nazione: la Volontà (cioè il consenso) e la cultura. Nel saggio Che cos’è una Nazione? (1882), lo scrittore politico Renan definiva la Nazione come gruppo che vuole durare come comunità ma << la volontà, il consenso, l’identificazione non sono mai assenti dalla scena umana, anche se spesso sono accompagnate ( continuano a farle) a calcolo, paura, interesse >> (pag. 62). Per gli idealisti nazionalisti la volontà sta alla base di ogni Stato. Per la cultura, il secondo elemento nella costruzione della nazione, il discorso è più articolato: << i confini culturali sono talvolta netti talaltra confusi; i modelli sono talvolta chiari e semplici l’altra tortuosi e confusi >> (ibidem). Ma << il consolidamento di culture superiori universalmente diffuse (sistemi di comunicazione standardizzate basati su meccanismi educativi d’ogni livello), un processo che sta rapidamente acquistando velocità in tutto il mondo ha fatto sembrare … che la nazionalità possa essere definita in termine di cultura comune >> (pag. 63).

Questo dato ha fatto credere che la cultura comune è, per forza, l’unico collante della società mentre storicamente << le società culturalmente pluralistiche hanno spesso funzionato bene >> (ibid.). Nell’età del nazionalismo la nazione ha origine << quando le condizioni sociali generali favoriscono culture superiori standardizzate, omogenee, sostenute centralmente, che si estendono a intere popolazioni e non soltanto a minoranze >> (ibid.), cosicché << le culture unificate, garantite dai meccanismi educativi e bene definiti, costituiscono quasi l’unico tipo di unità con cui gli uomini si identificano volentieri, e spesso con entusiasmo >> (ibid.). La cultura e la volontà vengono così unificate dalla presenza dello Stato. Gli studi di E. Durkheim sui fenomeni religiosi hanno preso in considerazione che in realtà i culti religiosi dei popoli siano una forma di adorazione della loro società trasfigurata in entità da venerare, rispettare e tramandare. L’amore per il proprio popolo, per le proprie usanze viene così elevata a cultura “superiore”, meglio detta popolare (volk in tedesco, narod in russo). In senso lato il nazionalismo è una sorta di culto per questa società.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :