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NBA: Kobe terzo e leggenda, superato MJ.

Creato il 15 dicembre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

E alla fine, come da ordine naturale, il 24 passò davanti al 23.
È la sera della vigilia del 123º compleanno del basket.
5:25 alla fine del secondo quarto, Kobe Bryant attacca la difesa avversaria sulla linea di fondo e prima di poter appoggiare il tiro subisce il fallo. Dopo una pausa per time-out, il 24 si ritrova in lunetta e realizza entrambi i liberi a sua disposizione. La partita si ferma, in mezzo alla standing ovation del Target Center.
Sono i punti numero 8 e 9 della sua partita contro i Minnesota Timberwolves, per la cronaca poi vinta 100-94 (primo tris della gestione Byron Scott). Ma soprattutto sono i punti numero 32.292 e 32.293 in regular season della sua luminosissima carriera, che questa notte ha toccato l’ennesimo picco: la guardia dei Lakers è infatti diventata il terzo marcatore di sempre in NBA, facendo scendere dal podio di questa speciale graduatoria niente meno che Michael Jordan, ritenuto da molti a buon diritto il miglior giocatore della storia della pallacanestro.
Anche se per Kobe “vale zero”, questo sorpasso è probabilmente uno degli eventi più grandiosi della sua parabola, che non pare mai voler discendere. Con i 26 punti accumulati alla sirena, il totale sale così a 32.310 punti, con 8.093 tiri liberi, 9.599 canestri da due e 1.673 bombe da lontano.

Questo traguardo di primaria grandezza viene raggiunto dal Black Mamba agli albori della sua diciannovesima stagione in NBA, finora complicata (o disperata) per le prestazioni di squadra, ma comunque buona per le statistiche individuali, e lo pone con sempre maggiore credito tra le stelle più lucenti che abbiano mai calcato i parquet della principale lega cestistica del mondo.
Kobe, già terzo nella classifica dei marcatori dei soli playoff, di cui lo stesso MJ è tuttora leader, era entrato nell’élite dei giocatori oltre i 30.000 punti poco più di due anni fa, il 5 dicembre 2012, diventando il più giovane a riuscire nell’impresa, all’età di 34 anni e 104 giorni. Ad accoglierlo in tale gruppo ristretto erano stati Wilt the Stilt Chamberlain (31.419 punti), superato in seguito il 30 marzo 2013 durante una vittoria contro i Kings, His Airness Michael Jordan (32.292), appena scavalcato, e Karl the Mailman Malone (36.928) e Kareem the Dream Abdul-Jabbar (38.387), che lo guardano ancora molto dall’alto per merito della loro stratosferica longevità, unita ad una continuità senza pari. Ovvero tutti quelli che Kobe ha sempre definito “i suoi idoli”.
Ora che due di essi sono stati messi alle spalle, i primi tre posti sono occupati da giocatori che hanno vestito almeno una volta la maglia dei Los Angeles Lakers. Malone disputò infatti in California una sessantina di partite nell’ultima stagione della carriera, dopo aver vestito la casacca numero 32 degli Utah Jazz per diciotto anni ed aver perso due serie finali proprio contro i Chicago Bulls di Air Jordan. Il “padre del gancio cielo”, invece, vestì il 33 dei gialloviola nel periodo 1975-89, conquistando cinque titoli e formando la coppia NBA più talentuosa di sempre a fianco di Magic Johnson.

Ma torniamo al protagonista della notte, che in fondo è il protagonista indiscusso, con il solo Tim Duncan a stargli vicino, degli ultimi quindici anni di NBA.
Kobe Bean Bryant, classe ’78, nativo di Philadelphia, scelse di seguire le orme del padre, finalista con i Sixers nel 1977, fin dalla tenera infanzia. Dopo aver vissuto per sette anni in Italia e completato una brillante carriera alla Lower Marion High School, anche lui con il 33, fu scelto dagli Charlotte Hornets come tredicesimo pick del Draft 1996, uno dei più ricchi della storia, e subito girato ai Lakers in scambio dell’allora jugoslavo Vlade Divac; era il periodo del secondo three-peat di Michael Jordan e già si parlava di questo teenager come il suo possibile erede. Con tre anni di rodaggio e ambientamento sulle spalle, la carriera del giovane Kobe ebbe una svolta con l’arrivo in panchina del mago Phil Jackson e attraverso la partnership, vincente, ma conclusasi in modo a dir poco burrascoso, con l’allora dominante Shaquille O’Neal. Le Finals 2000, 2001 e 2002 furono stravinte da quei Lakers ed il 5 marzo 2003 arrivò il traguardo dei primi 10.000 punti contro Indiana. Poche settimane dopo Michael Jordan si ritirò definitivamente dalle scene e con quindici punti nella partita d’addio pose l’asticella del suo terzo posto a 32.292: il neanche venticinquenne Kobe era già ad un terzo del percorso.
La stagione 2005/06 fu impressionante per prestazioni e medie realizzative: leader con 35.4 punti a partita per 80 match disputati, 27 prestazioni da almeno 40 punti e quel memorabile 22 gennaio. Allo Staples Center di LA, i Toronto Raptors; ancora l’8 sulle spalle, il Mamba tira 28/46 dal campo, di cui 7/13 da dietro l’arco, e 18/20 ai liberi, battendo da solo i canadesi grazie ad 81 punti complessivi (ben 55 nel secondo tempo!) e realizzando la seconda migliore prestazione individuale della storia NBA, inferiore soltanto ai 100 punti di Chamberlain, risalenti al 1962.
Un’altra pietra miliare risale al 23 dicembre 2007, quando ormai il suo nome era già legato da un anno abbondante al nuovo numero 24: in casa dei Knicks, quell’antivigilia di Natale, Bryant sfondò il muro dei 20.000 punti e si prese il record di più giovane a riuscirci, poi sottrattogli all’inizio del 2013 da LeBron James.
La doppietta 2009-2010, circondato dal nuovo collettivo formato da Pau Gasol, Bynum, Odom e da altre seconde linee di lusso, lo riscattò dalle Finals 2008 perse contro i Boston Celtics e lo decretò con certezza il giocatore più decisivo e dominante del primo decennio di questo secolo: cinque anelli e sette finali dal 2000 al 2010 non possono essere una coincidenza.
In queste ultime annate di noie fisiche e di relativa magra, caratterizzate anche dal nuovo allontanamento di Phil Jackson, Kobe non ha mai smesso di far brillare il suo talento e le sue straordinarie capacità, a volte – e anche non a torto – criticate per il poco altruismo che implicano. In quest’ultimo periodo, altre soglie sono state raggiunte (più di 6.000 assist, 134 partite da almeno 40 punti e 20 triple doppie), ma ora che MJ è stato superato nella lista dei marcatori all-time, l’obiettivo principe rimane quello del sesto titolo, come ha fatto capire anche abbastanza esplicitamente in molte dichiarazioni (“I just want No. 6, man. I’m not asking for too much, man. Just give me a sixth ring, damn it.”). L’attuale competitività dei Lakers si avvicina allo zero assoluto, pure per raggiungere la post-season, ma un campione come Kobe cercherà fino all’ultimo di ottenere ciò che cerca, ossia gli stessi anelli di Jordan, per lasciare un’eredità ed un segno indelebili nel basket contemporaneo.

Chiudendo infine il cerchio e analizzando il capitolo sui punti segnati e le prospettive future, non sembra poi così impossibile e velleitario un tentativo di Kobe di raggiungere almeno uno dei due giganti che ancora lo precedono. Mantenendo infatti l’attuale media di 25.5 punti a partita e facendo minimi aggiustamenti sul suo impiego rispetto ad una carta d’identità sempre meno verde, Karl Malone potrebbe essere raggiunto alla fine della stagione 2016/17 e Abdul-Jabbar eventualmente un anno dopo, a quasi quaranta primavere e alla ventiduesima stagione da professionista.
E se i 33.000 sono già a portata di mano prima di aprile e i 35.000 rappresentano uno striscione non eccessivamente distante, al netto di ulteriori infortuni non si vede come Mr. 81 non possa puntare ai due bersagli grossi.
Perché è semplicemente naturale che il 24 stia un gradino sopra il 23.
E che guardi in alto al 32, e perché no, verso il 33.

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