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‘ndrangheta radicata da tempo nelle zone terremotate del Modenese, oltre che nell’ampia zona fra Cremona e Venezia. I pericoli della mancanza di fiducia nello Stato e della sua inefficienza

Creato il 05 luglio 2012 da Cremonademocratica @paolozignani

Cari lettori sto raccontando quel che il sostituto procuratore nazionale antimafia Roberto Pennisi ha detto in audizione il 17 aprile 2012 in Commissione parlamentare antimafia a proposito della presenza delle mafie nelle regioni del Nord-Est (Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige).

E’ un giornalista del Sole 24 ore, Roberto Galullo, a introdurre così sul proprio blogun suo articolo sull’audizione del procuratore nazionale antimafia Roberto Pennisi. L’affermazione di Pennisi, sulla criminalità organizzata che “fa simpatia” in Veneto perché affidabile mentre lo Stato non lo sarebbe, mette paura. La diffidenza dei Veneti rispetto allo Stato è largamente diffusa e dura da molto. Ma il terremoto che ha colpito l’Emilia e il Mantovano può facilmente creare opportunità temibili per le infiltrazioni della ‘ndrangheta, che in provincia di Reggio Emilia, ad esempio, è già tristemente nota.

‘ndrangheta radicata da tempo nelle zone terremotate del Modenese, oltre che nell’ampia zona fra Cremona e Venezia. I pericoli della mancanza di fiducia nello Stato e della sua inefficienza

Tendopoli autogestita nel Modenese

Il caso di Brescello è famoso da tempo. La zona interessata dalla presenza della ‘ndrangheta riguarda però anche il Modenese. L’Emilia non ha la caratteristica storica del Veneto – differente dal resto d’Italia – la crisi economica è fortissima e la malavita ha sempre l’offerta più conveniente da presentare alle imprese. Occorrerà, si può facilmente immaginare, un’attenzione particolare ad affrontare un problema che non fa parte della storia dell’Emilia, e verso il quale mancano anticorpi. Le infiltrazioni malavitose in Lombardia sono state favorite anche dal bisogno delle imprese, mentre in Veneto le imprese cercano credito, finanziamenti stabili, non si fidano dello Stato ma dei mafiosi sì. Sarebbe interessante sapere, senza andare a caccia di segreti di Stato, quanta consapevolezza ci sia nel territorio modenese di questa emergenza, che con gli appalti per la ricostruzione porgerà un’opportunità d’oro ai criminali.

Oltre alla vecchia ‘ndrangheta, nota Pennisi nelle sue relazioni, ce n’è un’altra, che più che usare il terrore e l’intimidazione, fa da banca e finanzia dove non c’è fiducia nello Stato. E’ l’ennesimo pericolo che guarda con occhi sinistri il Modenese e le zone terremotate, dove la crisi economica minaccia di disperazione famiglie e imprese.

Tra il rusco e brusco Pennisi – per descrivere la penetrazione, la diffusione e le modalità del loro agire criminale – parla della erronea rappresentazione che, secondo il suo giudizio (che mi trova…da 2 anni perfettamente concorde) l’indagine Il Crimine/Infinito scivolata il 13 luglio 2010 sull’asse Milano-Reggio Calabria, ha dato della unitarietà della ‘ndrangheta.

Ragionando per assurdo – come accade in geometria – Pennisi dimostra inequivocabilmente che la ‘ndrangheta unitaria non è e non può essere. Non solo. I suoi cordoni ombelicali – che si legano ai diversi territori della madrepatria calabrese – si tagliano e si riannodano alla bisogna.

E continuando a snodare il suo ragionamento Pennisi affronta il tema della “delocalizzazione” delle mafie che – ancora una volta – hanno un atteggiamento “imprenditoriale” nella loro strategia criminale.

“ Sulla base dei dati a mia disposizione mi sono anche esercitato in un’attività di cartografo – ha detto Pennisi davanti ai commissari della Commissione parlamentare antimafia e rivolgendosi al presidente Beppe Pisanu - Ho preso una cartina geografica del Nord-Est d’Italia e ho disegnato, signor Presidente, l’area interessata da ciò che sto dicendo. Lei vedrà che tale area parte da Modena ed investe Reggio Emilia, Salsomaggiore, Piacenza e Cremona. Con Cremona siamo già in territorio lombardo; questa è una parte di Lombardia che sfugge alla Lombardia criminale, per come ci è nota attraverso quelle indagini. L’area poi prosegue fino ad arrivare nel Veneto, dove termina. Questa è l’area del futuro, includendo Venezia; questa è l’area alla quale bisognerà stare particolarmente attenti per il futuro”.

Pisanu lo interrompe un attimo per capire meglio: “A causa della colonizzazione, questa volta da parte dell’altra ‘ndrangheta”.Pennisi risponde: “È zona di delocalizzazione; quell’altra ‘ndrangheta non colonizzerà mai, per evitare di commettere l’errore commesso dalla ‘ndrangheta reggina. Continueranno invece in questa attività di delocalizzazione. Questo punto è importante, perché, se non si capisce qual è la strategia criminale della ‘ndrangheta con riferimento ad un certo territorio, spesso si corre il rischio di commettere grandi errori investigativi. Se andiamo a cercare i reinvestimenti, cioè il denaro che parte dal Sud diretto al Nord, rischiamo di fare un passo nel vuoto. In realtà, lo scopo è il contrario: creare ricchezza nel Nord Italia per farla convergere verso il Sud. Attenzione: questo dal punto di vista dell’espansione fisica; abbiamo visto quella della camorra ed abbiamo parlato anche di come può espandersi l’altra ‘ndrangheta in questi territori. C’è poi l’altro aspetto, che è quello degli investimenti.

Cari lettori questo è l’ultimo articolo che dedico a ciò che il sostituto procuratore nazionale antimafia Roberto Pennisi ha detto in audizione il 17 aprile 2012 in Commissione parlamentare antimafia a proposito della presenza delle mafie nelle regioni del Nord-Est (Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige).

L’ultima parte della sua audizione è dedicata ad un tema sensibilissimo: la penetrazione (e le relative manovre agevolative) dei capitali mafiosi nella ricca e economia del Nord-est.

E sul punto Pennisi è chiarissimo: “Ci sono degli imprenditori soprattutto nel Nord-Est che sono felici di perdere il controllo della loro azienda, pur di consentirne la continuazione di vita. Questo è tipico sia della mentalità di quel territorio che delle imprese che si basano spesso sul rapporto personale che s’instaura fra il datore di lavoro e le maestranze. Tanti – credetemi – si assoggettano all’imposizione mafiosa allo scopo di consentire quella continuità dell’impresa che serve a garantire il mantenimento del posto di lavoro di dipendenti che si conoscono da decenni e che tante volte si tramandano di generazione in generazione. Questo è il pericolo più grosso. Questi soggetti sono in condizione di intervenire, per il grandissimo quantitativo di denaro di cui dispongono, a tutti i livelli dal punto di vista finanziario. È chiaro che così riciclano”.

Già questo basterebbe per riflettere sul vecchi0 (ed erroneo) adagio che “se la mafia non si vede non c’è”. E’ vero il contrario ma quel che dice in seguito Pennisi è inquietante perché pone di fronte a sè stessa una società imborghesita e bolsa.

Anche l’acquisto di un qualcosa in perdita è un vantaggio per chi acquista nella misura in cui altrimenti non avrebbero a che farsene del denaro di cui dispongono – dice infatti il pm antimafia – . Questo è il pericolo più grosso rappresentato dal punto di vista sociale: c’è simpatia. Ecco perché non ci sono denunce, tant’è che nell’indagine veneziana si è dovuto ricorrere ad un tizio infiltrato, e senza l’infiltrato non si sarebbero scoperte tutte le attività criminali che hanno riguardato almeno 150 persone. Questo lo si legge negli atti dell’indagine della Dda di Venezia”.

Il presidente Beppe Pisanu non perde l’occasione per affondare il coltello nel burro caldo: “Si può quindi cominciare a parlare di 416-bis anche in quei territori perché c’è omertà?L’abbiamo rilevata anche in diverse audizioni in Nord Italia”.

Pennisi è didascalico nella risposta: “Ha preso piede. Si tratta di un’omertà che tante volte non nasce dalla paura, ma dalla simpatia perché «finalmente» questa gente del Nord vede farsi avanti soggetti affidabili. È inutile dirlo: sono affidabili. Non posso entrare nei particolari perché sono applicato in una determinata Dda che non è veneta e che mi consente di conoscere alcuni dati investigativi che sono oggetto di mie indagini, ma dispongo di dati investigativi, di parole provenienti da soggetti non certamente dell’Italia meridionale né centrale che fanno paura e che mi consentono di fare quelle affermazioni che ho appena fatto”.

E la politica? “Per quanto riguarda i rapporti con gli ambienti politici – conclude Pennisi - quelli sono connaturati soprattutto al fenomeno della colonizzazione: laddove c’è colonizzazione, c’è quel tipo di rapporto. Dove c’è delocalizzazione non è la stessa cosa. In alcuni casi possono esistere quando sono funzionali al conseguimento dei risultati per i quali è stata effettuata la delocalizzazione, ma non è niente di particolarmente endemico. Se vogliamo prendere come punto di riferimento ciò che è emerso in Lombardia, Piemonte e Liguria, non è la stessa cosa proprio perché nel Veneto non c’è la colonizzazione. Invece i rapporti sono più intensi ed essenziali con il mondo dell’economia – lo abbiamo già detto – e delle professioni”.

Pisanu insiste e ricorda le recenti parole del prefetto di Venezia il quale ha dichiarato che: “Nella Regione Veneto non si registra una presenza radicata di organizzazioni criminali secondo le caratteristiche tipiche delle associazioni criminali di stampo mafioso.” Pennisi non si scompone e risponde: “Se rapportate questa affermazione con ciò che vi ho detto prima, va bene. Per esercitazione (i francesi direbbero amusement), fate un paragone tra il prefetto di Venezia e il prefetto di Reggio Emilia, che ha ricevuto dieci giorni fa una missiva con tre proiettili. Tempo fa il prefetto di Reggio Emilia avrebbe potuto dire la stessa cosa. Non vorrei che un giorno anche il prefetto di Venezia si veda recapitare una missiva con i proiettili”.

C’è altro da aggiungere? Assolutamente no se non mettere in chiaro la sintesi di quanto detto da Pennisi: la mafia nel Nord Est fa simpatia perché è affidabile e lo Stato no…E intanto la politica dorme e i professionisti colludono.

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