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Negli Anni - Capitolo VI - Chitarre

Creato il 19 maggio 2011 da Laperonza
Negli Anni - Capitolo VI - Chitarre 

   Amavo la radio. Fin da piccolo, passando ore nella piccola bottega artigiana dove nonno Peppe faceva le sue scarpe insieme a Tonino Di Chiara, Ave, Marì  e Dino de Cucchiero, ascoltavo la radio. Da John Lennon a Cat Stevens, dai Lynyrd Skynyrd ai Led Zeppelin, dai Buffalo Springfield a Simon and Gurfunkell, ma sorbettandosi anche i vari Claudio Villa, Orietta Berti e sanremesi vari.

Anche in seguito, quando nonno chiuse bottega per andarsene in pensione, nei momenti di solitudine accendevo la vecchia radio valvolare (andata purtroppo persa) e mi ascoltavo Lelio Luttazzi e la sua Hit Parade. Ho iniziato a comprare dischi piuttosto presto, quarantacinque giri per lo più. Gli LP vennero dopo, con le paghette settimanali.

La batteria era lo strumento che sognai di suonare per primo. I miei invece sognavano di fare di me un pianista e mi mandarono anche a scuola di musica, operazione dai risultati scarsi in quanto, come sempre, quando costretto è la volta buona che una cosa la faccio male. Provai a suonare i bonghi ma rischiai la defenestrazione da parte di mio padre.

Anche la chitarra mi piaceva molto e all'epoca in parrocchia fiorivano i chitarristi, allora mi dissi: voglio imparare anch'io, e chiesi a Don Leandro, allora cappellano, se avesse insegnato la chitarra anche a me. La risposta fu che, secondo lui, non c'ero tagliato. Mi incazzai parecchio.

Il giorno dopo andai da Peppe de Vischeretto, che suonava il violino nel trio da matrimoni di mio padre ma che con la chitarra faceva cose grandiose, e gli chiesi di insegnarmi. Peppe non ne fu felicissimo ma non ebbe cuore a dirmi di no. Mi insegnò i primi rudimenti e mi prestò anche una sua vecchia chitarra classica per esercitarmi a casa. Tenere in mano quello strumento fu per me una sensazione unica, indescrivibile, che ancora ricordo piuttosto vivamente. Solo che Peppe voleva fare di me un chitarrista classico, io volevo suonare come Jimmy Page, per cui il sodalizio non durò a lungo, abbastanza però per sapere come tenere in mano una chitarra, cosa di cui gli sarò eternamente grato. Come chitarrista sono una mezza calzetta, ma suonare la mia chitarra è una delle cose che mi rilassano e mi appagano di più

Avevo qualche soldino regalato da parte e una sera, guardando Gran Bazar su TVP, programma ispirato a Portobello di Tortora e condotto da Giancarlo Guardabassi, nel corso del quale vendevano di tutto, dal prete per il letto al motorino, telefonai all'insaputa dei miei e comprai la mia prima chitarra da Giocondi di San Benedetto, una magnifica Clarissa classica che suonava come un mandolino, con tutto il rispetto per il mandolino. Tutto sommato babbo non fu poi così contrariato nell'accompagnarmi a ritirarla in negozio: non sarei diventato il pianista che sognava ma almeno avrei fatto un po' di musica. Lo convinsi anche a finanziarmi un corso di chitarra a dispense di Franco Cerri.

La Clarissa durò poco. Pagata venticinquemila lire ne valeva anche meno. Nel giro di qualche mese le meccaniche cedettero e mi ritrovai a suonare con quattro corde soltanto. I miei, impietositi , decisero di finanziare le mie velleità chitarristiche: telefonarono ad un loro amico di Loreto che aveva un amico di Castelfidardo che conosceva uno che lavorava alla ZeroSette. Un sabato pomeriggio mi portarono a comprare la mia ZeroSette jumbo folk, una magnifica chitarra color ambra sfumato che ho suonato e torturato fino ad un paio di anni fa, quando mi ha lasciato per collasso del ponte e conseguente distaccamento di parte della cassa armonica. Ma ha vissuto una vita intensa.

Con Uliano Damen, Giovanni Leonardi e Ubaldo Tarabelli costituimmo il mio primo gruppo. Ubaldo era stato fortunato perchè don Leandro l'aveva reputato idoneo a farsi insegnare la chitarra. Bontà sua. Giovanni ed io avevamo imparato insieme con le dispense di Cerri ed esercitandoci in coppia. Uliano non sapeva suonare nemmeno il campanello di casa, ma aveva voglia di starci così fui io a dargli le prime nozioni. Ora è l'unico dei quattro che ancora suona in un gruppo.

Ci riunivamo quasi ogni giorno per suonare e facevamo davvero schifo. Ma era divertente da matti. Usavamo la batteria dell'organo elettronico di mio padre e i bonghi. Cantavamo in un inglese maccheronico. Eravamo quattro deficienti. Ma la cosa ebbe una sua evoluzione di cui parlerò in seguito come in seguito parlerò della mia passione per la radio.

Per ora ricordo solo di quando a Uliano si slacciò la cinta che teneva la sua chitarra che cadde di paletta su un tasto dell'organo di mio padre spaccandolo il due. Uliano scappò urlando "Cesare me ‘mmazza" e scomparve da casa mia per quindici giorni. Tornò a tempesta passata.

 


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