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Neil Gaiman: American Gods

Creato il 29 gennaio 2015 da Martinaframmartino
Neil Gaiman: American Gods

Forse mi aspettavo troppo da American Gods, o forse è stato Neil Gaiman a cercare di fare troppo. Quanto un romanzo vince i premi Bram Stoker, Nebula e Hugo, però, ci si aspetta davvero qualcosa di straordinario. E forse in questo libro c'è troppo.

L'idea di partenza mi piace, gli antichi dei che non vengono più venerati sono con il tempo diventati più deboli, sostituiti nel cuore degli uomini da nuovi dei.

Questa terra è sconfinata. Ben presto la nostra gente ci ha abbandonato, ricordandosi di noi soltanto come creature del paese d'origine, creature che credevano di non aver portato nel nuovo mondo. I nostri fedeli sono morti, o hanno smesso di credere in noi, e siamo stati lasciati soli, smarriti, spaventati e spodestati, a cavarcela con quel poco di fede o venerazione che riuscivamo a trovare. E a sopravvivere come meglio potevamo. (pag. 129)

e più avanti

"La Tv è l'altare. Io sono ciò a cui il pubblico offre i suoi sacrifici."

[...]

"noi siamo il futuro. Noi siamo i centri commerciali, e i tuoi amici sono sgangherate attrazioni per i turisti. Siamo gli acquisti in rete, accipicchia, mentre i tuoi amici se ne stanno ancora seduti sul ciglio della strada a vendere i prodotti dell'orto su un carretto. No, non sono nemmeno fruttivendoli. Vendono fruste per vecchi calessi. Riparano le stecche di balena dei corsetti. Noi siamo il presente e il futuro. I tuoi amici non rappresentano più nemmeno il passato." (pag. 163)

Accipicchia, mi sa che io devo controllare la ruota del mio calesse prima che mi pianti in asso, perché se il confronto è questo io sto con i vecchi dei, anche se non gradisco tanto i sacrifici che piacevano a loro. Ma posso vivere in un mondo moderno e non voler vedere/adorare solo tecnologia?

Con Odino tutto bene, dovrei leggere qualcos'altro sulla mitologia norrena ma Odino è un vecchio amico, almeno dai tempi di Paul Schafer/Pywll nella Trilogia di Fionavar di Guy Gavriel Kay e in Matrim Cauthon nella Ruota del Tempo di Robert Jordan. Solo che qui Odino si chiama Wednesday, e le sue vicende vanno un po' troppo per le lunghe. Il suo girovagare, il suo cercare di reclutare vecchi dei che a volte riconoscevo (quelli egizi, ma anche la regna di Saba, che non è esattamente una dea) e a volte no, il continuo movimento senza una meta ben chiara... Io ho bisogno di storie un po' meno nebulose, quando la direzione è sfumata mi perdo e non è una sensazione che mi piaccia. Fino all'albero io avrei accorciato il romanzo in modo molto drastico, anche se poi si scopre che molte fasi di quel girovagare avevano senso. Ma non posso trascinarmi dietro quel fardello di nulla così a lungo prima di scoprirne l'utilità, soprattutto se i personaggi non colpiscono la mia immaginazione. E comunque non tutto quel girovagare è utile per il futuro. Ok, Shadow faceva del suo meglio con quel poco che aveva a disposizione, ma più che appassionarmi a lui a volte ne provavo pena. Il nome mi piace, ma avrei preferito che nella storia avesse un risalto maggiore. Cioè, chiami il tuo protagonista Ombra e poi non sfrutti tutte le potenzialità del nome? Peccato, anche perché i nomi in questo libro hanno la loro importanza, anche se se ne parla troppo poco.

Tutta la parte legata all'albero mi piace, è quella dove ero davvero curiosa di scoprire cosa sarebbe accaduto. Da quel momento ci sono stati un po' di alti e bassi, parti interessanti che si alternavano a parti noiosette. American Gods è certamente un libro ambizioso, ma per me è riuscito solo in parte.

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