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Neil Young – Comes A Time (1978)

Creato il 13 settembre 2013 da The Book Of Saturday

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Mi era stato consigliato di ascoltare Comes A Time sdraiato sul divano, in pieno relax. Perché – mi avevano sempre detto – stilla serenità, voglia di guardare al futuro, vincere. Questo album di Neil Young, il decimo in ordine di tempo, mi ha trasmesso invece un senso di stabilità. Una semi-certezza, la stessa di Neil all’epoca: vivere il presente, anche se momentaneamente in disparte. Perché – Comes A Time – arriva sempre un momento…

STORIA. Comes A Time non ha avuto la fortuna di altre perle di Neil Young, come potrebbero essere Harvest o Rust Never Sleeps. È un disco semplice, basilare, che RACCHIUDE le radici country-folk di questo sfaccettato artista. Going Back e la title track, Comes A Time, sono due esempi di fusione tra il folk e il rock, ma poi il disco si adagia su sonorità più contraddistinte, anche grazie al violino sullo sfondo. A ciò, non va dimenticata la chitarra inconfondibile di J.J. Cale, e la voce, in molti brani, di Nicolette Larson. I suoi duetti con Young, in controcanto, sono la migliore etichetta country dell’intero lavoro. Sono pochi i pezzi in cui la Larson – che fu con Young anche legata da una relazione sentimentale – non partecipa. Tra questi la bella Lotta Love, che successivamente riproporrà, con grande successo, in veste solista. Tra i temi trattati, alcuni di gran moda in un’epoca che reclamava emancipazione. Così Already One, che tratta il tema della convivenza al posto del matrimonio.

IMPORTANZA. La fortuna postuma non cancella l’accoglienza, un po’ tiepida, che il pubblico (e i fans di Young) riservò a Comes A Time. Ciò, probabilmente, fu dovuto al fatto che di Neil Young si è sempre ricordata l’eccellenza di altre pietre miliari. Anzi, il disco venne pesantemente criticato, anche perché era il 1978 e il punk rock imperversava già da un anno e difficilmente un artista che avesse voluto cavalcare ancora il mainstream, si sarebbe sognato di abbandonare quel solco di ribellione. Invece di Comes A Time, la ribellione non traspare, cedendo il set a una più ottimistica estasi del presente. Con questo disco la scelta artistica di Young sembra puntare sull’allontanamento da certi stereotipi musicali in voga in quell’epoca. Ma basti notare il ritorno di fiamma con il successivo Rust Never Sleeps, per comprendere come questo rifulgere di un presente diverso, per Young rappresenterà un terreno obbligato per i passi successivi. Abbandonato per un momento il rock puro (che forse non ha mai del tutto percorso), Neil Young con Rust Never Sleeps fonderà quella matrice proprio con il folk di Comes A Time.

SENSAZIONI. Comes A Time fugge via come il vento (e vedrete che la citazione non è casuale…): liscio, piacevole al primo tatto. Dopo le prime due tracce, passa da uno Young di annata a un folk-country a tratti bagnato di blues e R&B. Non ci sono però drastiche cesure, si fila dritti nel mare piatto e soleggiato che la barca dell’ex CSNY cerca di trasmetterci. Basta chiudere gli occhi e si comincia a viaggiare, tra spiagge e praterie. In certi casi, è un country puro, stile Flying Burrito Bros, per intenderci. Come in Field of Opportunity. Lo stacco netto, se vogliamo, arriva con Motorcycle Mama, che è la Motocicletta 10 Hp dell’artista canadese. Per la prima volta entrano in scena le chitarre elettrificate, i cori, il pianoforte boogie. Da lode la performance di Nicolette Larson, che ruggisce al microfono tirando fuori un’aggressività e una finezza fuori dalla media.

LA SORPRESA. Di solito Young aveva abituato i fans a presentarsi al fianco dei Crazy Horse, la band da sempre identificata con il canadese. Neanche qui mancano, ma in Comes A Time spicca più la presenza – e in ciò si nota l’unicità del disco – di un’orchestra chiamata “Gone With The Wind”. I Via col vento, specializzati in country, con il loro nome dovevano anche dare il titolo ad disco, ma poi si preferì puntare sulla title track.



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