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Nel bel mezzo di un gelido inverno

Creato il 06 marzo 2011 da Zaziefromparis
Nel bel mezzo di un gelido invernoIl Cinema è un paese per donne? 
Questa domanda mi sorge spontanea ogni volta che vedo un film diretto da una donna e mi rendo conto che lo vivo come se fosse un evento raro. Perché, in fondo, lo è: il numero di registi donne è nettamente inferiore a quello di registi uomini, e questo è un dato di fatto.  Tuttavia, e grazie al cielo, sempre più spesso ci sono donne interessanti dietro la macchina da presa, con cose importanti da dire, storie essenziali da raccontare, e uno stile tutto loro nel farlo. E’ soprattutto dal cinema indipendente americano che arrivano i nomi di ragazze da tenere d’occhio, secondo me. Negli ultimi anni mi è capitato di vedere dei film che mi hanno impressionato per i pochi mezzi e soldi a disposizione per farli e la forza espressiva ed emotiva capaci di suscitare. Tutto merito di ottime sceneggiature, personaggi credibili e commoventi (nel senso più nobile del termine), prove d’attori che lasciano il segno e una sensibilità speciale. Femminile? Si, bisogna dirlo, femminile. E con questo non voglio dire migliore rispetto a quella degli uomini, ma semplicemente diversa. Quella stessa storia, un uomo non la racconterebbe mai allo stesso modo. E il fatto che i protagonisti di questi film siano quasi sempre donne, aumenta di parecchio la sensazione.
Penso ad uno dei miei film preferiti di tutti i tempi: Me, and you and everyone we know di Miranda July (2005), a Wendy and Lucie di Kelly Reichardt (2008), a Frozen River di Courtney Hunt (2008) e al film che ho visto questa settimana: Winter’s bone (Un Gelido Inverno) di Debra Granik.
La Granik (nata nel 1963), è una regista indipendente che dopo una serie di premi vinti al Sundance con alcuni corti e con il suo primo lungometraggio (Down to the bone), con questa nuova opera ha ottenuto la consacrazione definitiva, ottendendo un meritato successo mainstream (il film è stato anche candidato a ben 4 premi Oscar).
Winter’s Bone racconta la storia di Ree, una 17enne che vive in uno squallido paesino sperduto tra i monti Ozarks del Missouri, in una casa fatiscente che condivide con la madre malata (è praticamente ridotta un vegetale) e i fratellini Sonny, 12 anni, e Ashlee, 6 anni.
Ree scopre che il padre (in galera per l’attività più in voga della zona: la produzione della droga sintetica crystal meth), ha ipotecato la casa per pagarsi la cauzione ed uscire. Se non si presenterà davanti ai giudici, la famiglia perderà tutto. Il rischio per Ree è troppo alto, quindi la giovane parte alla ricerca del padre, scontrandosi con una realtà sempre più dura. E’ chiaro fin da subito che lui abbia fatto una brutta fine, ma altrettanto chiaro che nessuno voglia minimamente aiutarla a scoprire quello che gli è successo. Più il destino si accanisce su Ree, più lei sembra decisa a venire a capo della questione. Alla fine, grazie al maldestro aiuto di Teardrop, il fratello di suo padre, e all’ultimo barlume di umanità rimasto ad un gruppo di donne della zona, Ree sembra finalmente intravedere un po' di speranza per il futuro.   

Film durissimo, cupo e desolante, Winter's bone si può definire come una sorta di neo-realismo all'americana: ai limiti del documentario, ma con la marcia in più della pura finzione, il film è una discesa all'inferno che sembra una fiaba gotica (compresa di vago lieto fine). Ci sono momenti insostenibili, momenti potentissimi e momenti con qualcosa di speciale che ti resta dentro. Il dialogo di Ree con il militare passato alla sua scuola per reclutare potenziali soldati, ad esempio, per me è indimenticabile. La pellicola è illuminata senza sosta dal volto di Jennifer Lawrence, una giovane attrice (nella realtà ha 21 anni) che qui dimostra un talento straordinario. Di una bellezza disarmante, anche senza trucco, sporca e infagottata in abiti invernali, la Lawrence si carica tutto il film sulle spalle. Sicura, testarda, e senza paura, pur di assicurare una casa alla madre e ai fratelli, affronta l'inaffrontabile con una forza e una dignità da Magnani americana. Nel film non c'è quasi mai una tregua alla miseria umana che le tocca sopportare. Solo la presenza di un'amica a confortarla e darle una mano, altrimenti è sola, ma tutt'altro che vittima della situazione. L'altro personaggio notevolissimo che il film mette in scena è quello dello zio di Ree, Teardrop (interpretato da uno dei migliori attori americani in circolazione, John Hawkes, già protagonista maschile di Me, and you and everyone we know e della serie HBO Deadwood): dropout magrissimo e dallo sguardo folle, dapprima riluttante ad aiutare la nipote, fa uscire a poco a poco (e molto alla sua maniera, diciamo) tutta la sua umanità e il suo coraggio.
Si esce dal film incapaci di lamentarsi di nulla: del freddo, della stanchezza, della noia di una qualsiasi giornata di lavoro. Ci si sente piccoli, inutili e un po' miserabili in confronto a quello che Ree ha dovuto sopportare ed affrontare.
Girls power. Sì, quello vero.

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