Magazine Cinema

Nel dolore di un videoclip anneghiamo: "Spring Breakers"

Creato il 14 aprile 2013 da Samuelesestieri


Quattro studentesse universitarie decidono di rapinare un fast food per pagarsi lo spring break, festa ininterrotta tra fiumi d’alcool e cocaina, fumate di crack e orge di corpi in bikini. Assisti a “Spring Breakers” come si può assistere a un caleidoscopio d’immagini proiettate su una superficie piatta: tette, culi, macchine da corsa, pistole e cocaina improvvisamente si ritorcono in se stessi annegando in un magma dolente di cinema infranto. Opera scevra di qualsiasi tipo di moralismo, nel suo mostrare tutto e mai dimostrare, entra in un corto-circuito ambiguo e dilaniante: accanto alla repulsione ideologica nasce un improvviso senso di eccitazione e fascinazione. Come un videogioco che ha lo spiacevole ma straordinario obiettivo di mettere fuori posto lo spettatore, in un disagio percettivo e teorico prima che morale. Nel suo richiamare l’estetica “bassa”, quella del web e di mtv, produce un oggetto filmico lisergico, inclassificato e inclassificabile: videoclip ampliato e debordante, che ha perso ogni possibilità di contenimento, che avvolge la “realtà” disintegrandola in mille pezzetti e ripetizioni.
Manifesto d’attualità sconcertante su una trasformazione del mondo ormai già avvenuta: il “delitto perfetto” è stata la morte della “realtà” e l’incursione di un virtuale sempre più iperrealistico (delitto che, ovviamente, coincide con la morte stessa della morale). Questa patina non può riprodurre un atto sessuale, ma può limitarsi solo a mimarlo in un’estasi di corpi che sembrano più manichini in bikini che persone in carne e ossa.


La narrazione pare dissolversi all’interno del frammento in costanti meccaniche e inumane: la reiterazione delle azioni, delle inquadrature e dei dialoghi, trasforma fin dall’inizio le azioni in opzioni controllate di un videogioco, in cui i personaggi sono ridotti a comandi di un joystic. Da questo punto di vista il film di Harmony Korine si presenta subito come uno dei titoli più apocalittici e teorici degli ultimi anni: non c’è nulla di più doloroso e catastrofico di filmare il nulla. Perfino il personaggio di Alien, spacciatore e trafficante d’armi interpretato dall’ottimo James Franco, pare una figura fuori posto, quasi il cattivo ragazzo debitore di “Scarface”: ormai, di fronte alla virtualità delle figlie ribelli di Topolino, è uno scarto romantico e “alienato”.
E mentre James Franco suona e canta “Everytime” nel nome della “divina” Britney Spears, il sole pare tramontare solo per regalarci l’immagine di una cartolina ben studiata. Perfino il cielo è diventato pop mentre prendiamo atto di come l’immaginario virtuale si sia fatto ormai onnivoro e onnicomprensivo: avanza ipertrofico in ralenti estenuanti mentre si espande dappertutto, conscio che ogni immagine è il breve istante di una ricezione distratta sempre destinata a svanire. Quello che ne viene fuori è un capolavoro abissale di narrazione svuotata: deflagrando nel dolore di un videoclip che non finisce, anneghiamo.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazines