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Nel mondo circa 36 milioni di persone vittime di schiavitù. La metà tra India, Cina, Pakistan, Uzbekistan e Russia

Creato il 18 novembre 2014 da Stivalepensante @StivalePensante

Oltre 36 milioni di persone sono vittime della schiavitù nel mondo, più della metà sono concentrate in India, Cina, Pakistan, Uzbekistan e Russia. E’ quanto emerge da uno studio della Fondazione Walk Free. “Uomini, donne, bambini la schiavitù non fa differenze di sesso o di età ed è presente in 167 Paesi” coperti dall’inchiesta: tratta di essere umani, sfruttamento sessuale, lavori forzati, matrimoni forzati. Si contano 35,8 mln di persone in schiavitù, un dato in aumento del 20% rispetto al 2013.

(theviewspaper.net)

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Dalle piantagioni di cotone e di cannabis alla prostituzione, dai matrimoni forzati alla vendita e allo sfruttamento dei bambini: 35 milioni e 800mila persone in tutto il mondo (566mila in Europa) vivono in condizioni di schiavitù. E’ quanto emerso dal rapporto annuale del Global Slavery Index (GSI). “Si presuppone che la schiavitù sia una questione di un’epoca passata, o che esista solamente in Paesi devastati dalla guerra e dalla povertà”, ma coinvolge 167 Paesi, ha spiegato Andrew Forrest, presidente della Walk Free Foundation che realizza il rapporto.

Dal rapporto emerge che la schiavitù contribuisce alla produzione di 122 tipi di prodotti per 58 Paesi con una stima, fornita dall’International Labour Organization (Ilo), di 120 miliardi di euro l’anno di profitti. “Dal mercato del pesce thailandese, alle miniere di diamanti in Congo, alle ragazze indiane che cuciono i palloni da calcio, questo è il lavoro che noi consumiamo”, si sottolinea nel rapporto.

Nella lista nera dei Paesi con il livello più alto di schiavitù spiccano la Mauritania e l’Uzbekistan, mentre l’India, secondo il rapporto, ha recentemente adottato importanti provvedimenti per arginare il fenomeno. Gli Stati che si impegnano di più per combattere la schiavitù sono l’Olanda, la Svezia, gli Stati Uniti, l’Australia, la Svizzera, l’Irlanda, la Norvegia, il Regno Unito, la Georgia e l’Austria. (AGI)


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