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Nel punto critico: intervista a Sonia Caporossi e Antonella Pierangeli su WSF

Creato il 28 settembre 2013 da Criticaimpura @CriticaImpura

critica-impuraIntervista  apparsa per la prima volta su WSF il 13 maggio 2013.

Di METH SAMBIASE

Gli elementi della critica e non solo, lo stato dell’Arte magari e non è abbastanza, una possibile mappatura del lavoro critico immediatamente inserito nella magmatica letteratura attuale, forse. Di molto si è parlato negli interventi di Sonia Caporossi e Antonella Pierangeli,  le due anime del blog Critica Impura, tenuti a metà gennaio e riproposti in schede visuali sul canale di YouTube.

1) Lezioni di Critica (Impura, come il blog esige) alla Scuola internazionale di Comics. Riconoscere o (provocatoriamente) conoscere la funzione critica del testo nella grande offerta che questi anni sta emergendo è una funzione curabile da strumenti oggettivi del critico, oppure ci si lascia sovrapporre da incurabili scelte di personalismo di lettura?

Antonella Pierangeli: Formalizzare il risultato di un’esperienza di lettura critica della realtà e di condivisione  intellettuale attraverso la forma dellalectio è stata per noi innanzitutto un’esperienza di grande coinvolgimento emotivo. Aver avuto la possibilità di comunicare la nostra idea di critica impura ci ha permesso inoltre di affinare al meglio gli strumenti ermeneutici per vedere più nitidamente in noi stesse prima ancora che nei testi. Oggi che la poesia sembra “non stare più nelle cose” come diceva Pascoli e che la critica letteraria, che dovrebbe rintracciare invece il senso del poetico nelle pieghe più nascoste del textus, non è solo malata ma addirittura nella sua fase terminale, è sempre più urgente agire, almeno ermeneuticamente e criticamente parlando. Quel po’ di autenticità e di autonomia scevra da condizionamenti da merchandising, o peggio ancora da logiche di vassallaggio letterario, si esprime ancora, secondo noi, principalmente nel dialogo con scrittori ancora degni di tale nome, del passato o del presente, piuttosto che in tante pagine sgangherate, narrative e poematiche, di un tristissimo oggi in cui grazie alla galassia tritatutto della rete, bivaccano con malcelata tracotanza “uomini, mezz’uomini, ominicchi e quaccuaraquà” come afferma Sciascia nella sua feroce classificazione dell’umanità..

Questa mia osservazione però non è di ostacolo, sia ben chiaro, a nessun discorso teorico. Ragionare sull’essenza e sulla pratica della critica, sul rapporto tra oggettività e soggettività nella fruizione dell’opera d’arte, chiedersi se esiste e, se mai, che cosa sarebbe o che cos’era o sarà, in tempi forse migliori, la letteratura è sempre prioritario. Interpretare testi e dispiegare arsenali ermeneutici eterogenei e eterodiretti costituisce un’operazione difficile da orchestrare: le passioni personali e il gusto individuale con le sue asprezze e abissi di senso o l’oggettività cruda di regole tracciate da solide scuole di pensiero?

Per noi impuri, una lettura in senso estetico è già un’interpretazione e un testo non esiste affatto al di fuori di un’interpretazione o di una comprensione, se non come oggetto materiale. Di conseguenza se l’interpretare e comprendere non possono essere abbandonati all’arbitrio interpretativo assoluto, è pur vero che la possibilità di una teoria inamovibile sia da escludere totalmente. Appare allora con evidenza che è indispensabile uno sforzo di riflessione che, anche se non è una teoria ermeneutica vera e propria, porta piuttosto ad una felice intuizione: l’interpretazione non è, e non può essere, solo soggettiva e momentanea e neppure legata soltanto alla relatività e alla puntualità della contingenza storica. Anzi proprio perché l’interpretare include non solo l’interprete e gli oggetti dell’interpretazione ma anche se stesso, esso è una condizione sintetica, non un fatto isolabile, chiuso nella sua entità relativa. Così, impuramente, leggere-interpretare non è semplicemente aggregare i tanti significati come fatti analitici ma supporre, del testo che stiamo leggendo, in qualche modo già un’anticipazione del suo senso complessivo. Ma come passare da un solitario, opaco, aggregato di significati ad un senso contestuale che ci metta al riparo da qualsiasi comprensione arbitraria e fuorviante, sempre in senso estetico? La via è ardua, irta di ostacoli e strapiombi. Forse qualcosa come “l’afferrare di colpo” (mit einem Schlage) di Wittgenstein? Cioè la folgorazione improvvisa che scatta già alla prima frase, con l’anticipazione di tutte le altre? O piuttosto non ci si deve forse abbandonare alla tirannia della sovranità del testo in cui esso stesso e le sue regole siano il riferimento primario dell’atto interpretativo testuale e in cui perfino l’interpretante e i suoi oggetti siano a loro volta passibili di interpretazione?

Forse Critica impura si assume la responsabilità di parlare di teoria dell’interpretazione testuale semplicemente facendola, presentando così il textus come correlato oggettuale contenente il suo stesso principio regolativo. Siamo consapevoli della sfida: accettare in pratica l’ossessione e la condanna alla lettura e alla ricerca del senso estetico, le due polarità in cui si determina ciò che avvertiamo essere l’arte e i suoi territori, la conoscenza e la bellezza stessa.

2) Lezioni di Critica Impura è frammentata in vari capitoli, tutti con titoli altamente qualificativi. Ne cito alcuni: la malattia dell’epigonismo, la letteratura di genere, lavorare nelle tenebre. La critica può divenire una lingua organica universalmente scelta, se oggettivata in ogni sua potenzialità analitica?

Sonia Caporossi: l’oggettività analitica della critica è un quid utopico il cui ottenimento può e magari deve essere perseguito attraverso la sana abitudine di fondare i propri giudizi critici su criteri estetici esplicitati, chiari, distinti e manifesti, ovvero sulla necessità, da parte del critico, di possedere una solida teoria  estetico – filosofica retrostante, meglio se personale o personalizzata; altrimenti si cade nel puro de gustibus e si rischia di parlare ogni volta di aria fritta. Il problema, piuttosto, è che esistono in senso estetico tante diverse idee di bellezza e di bruttezza, e questo fa sì che la critica debba spesso fronteggiare casi e situazioni completamente opposte nel passaggio da un’arte all’altra, da una corrente all’altra, da un’opera all’altra. Il semplice giudizio estetico espresso col “mi piace”, tuttavia, dà luogo abitualmente ad una vexata quaestio. È un discorso lungo, ma posso sintetizzarlo così: l’indagine estetica propriamente detta non deve prendere proprio in considerazione il de gustibus, perché il “mi piace” non esprime un giudizio estetico, che è sempre universalmente soggettivo (Kant), bensì esprime un giudizio pratico, che è individualmente soggettivo. Io tento sempre di basare la mia critica letteraria sui principii estetici, altrimenti divento come un critichino dei tanti, che scrivono tomi e tomi su ciò che a loro piace perdendo di vista l’idea stessa del bello e del brutto che pure dovrebbe essere sempre perseguita: è questa infatti la differenza fra il critico e il semplice storico o cronista di fatti culturali del proprio tempo, che invece è un critico per finta. Inoltre, utilizzando il de gustibus si può dire tutto di tutto, cosa che equivale a non dire niente di niente. E stiamo sempre lì: dal punto di vista eminentemente estetico è importante ravvisare in un’opera in primis l’aspetto formale, ma qui occorre chiarire che non si intende la forma come tecnica, e neanche la forma nel senso esclusivo del formalismo russo. Molti infatti la scambiano per l’aspetto tecnico, per la bravura prattica (con due t), ma si tratta piuttosto proprio della forma in senso estetico (Brandi, Kant, Croce, Garroni, perdonate il chiasmo concettuale e storico), cioè l’aspetto, la modalità fenotipica in cui prende figura il contenuto: e qui figura, non contenuto, è parola pregnante, dato che il contenuto può essere oggettivamente qualsiasi cosa. La forma insomma manifesta concretamente la modalità dell’espressione compiuta di un’intenzione, laddove l’intenzione, per quanto titanica possa essere, da sola non fa e non farà mai un’opera d’arte come tale. Per quanto riguarda poi il rischio del critichino di cui parlavo poco fa, nell’esercizio quotidiano della critica non bisogna confondere il piano di rappresentatività storico, culturale, sociale eccetera che un’opera detiene sempre e comunque in quanto testimonianza e documento del proprio tempo, col piano estetico vero e proprio. Attenzione: sono cose completamente diverse, e qui non stiamo parlando di norme o canoni. Le regole classicistiche o quelle di rottura e d’avanguardia (ché alla fine divengono, da rottura di schemi che erano, norme anche quelle, non foss’altro che norme su come si rompe uno schema), dicevo, le regole non c’entrano proprio niente, non valgono in questo senso modelli o parametri prestabiliti; c’entra, piuttosto, la percezione del bello o del brutto come aisthesis, che si determina anche in virtù di modificazioni sociali e culturali di tipo diacronico, certo, ma che tuttavia debbono essere sempre analizzate dal punto di vista psicologico ed estetico del fruitore dell’opera d’arte in questione. In poesia ed in arte figurativa, ad esempio, si hanno fin dalle avanguardie del Primo Novecento due percezioni molto diverse di bellezza, quindi a rigore, dal punto di vista dell’indagine estetica, neanche possono essere messe sullo stesso piano. Ad esempio, di fronte all’armonia che percepisco nei versi di una poesia non ho la stessa sensazione estetica che posso avere di fronte alla disarmonia di un quadro cubista, nonostante ad ambedue ognuno di noi possa essere portato a collegare un’idea di bellezza come “adeguazione della cosa all’idea”, idea di bellezza che però è di natura completamente diversa, perché nel caso della poesia ricerco come discriminante la forma poetica che tendenzialmente m’aspetto dalla poesia, cioè l’armonia, la musicalità, il metro, il ritmo, le figure di suono e di significato, e nel quadro cubista invece ricerco la forma figurativa che tendenzialmente m’aspetto, cioè la disarmonia, la quarta dimensione, il poliprospettivismo, la deformazione, la dis-grazia, il brutto come bello. Non ci sono insomma parametri assoluti e la critica è un po’ come l’idea stessa del bello, deve adeguarsi costantemente ad una condizione di perpetua autocontraddittorietà fondante, affidarsi ad una percezione estetica che sia contemporaneamente universale e soggettiva: è questo il bello (è proprio il caso di dirlo!).

3) La Critica e l’arte del ritaglio. C’è il risvolto di aggregazione pronto a superare il limite della critica oggettiva, altrimenti Il proliferare di mappature di correnti letterarie, di liste generazionali, e via dicendo non avrebbe tutto questo spazio nei luoghi deputati della lettura. Su questo tema, quale può essere l’importo oggettivo di un critico impuro?

Sonia Caporossi: Trovo che sia un errore concettuale abbastanza grossolano il metodo di catalogazione poetico, letterario o artistico per via generazionale od anagrafica, l’ho anche cercato di spiegare recentemente all’interno di un articolo molto dibattuto su Critica Impura. Commentando in calce, ho chiarificato il mio punto di vista. Che una lista di poeti come ad esempio quella di Pordenonelegge, ma anche antologie come I Poeti degli anni Zero qui o l’elenco di Poetarum Silva lì abbia un valore sociale, del resto evidenziato nel mio articolo, è ovvio. I gruppi si aggregano per emergere dall’indistinzione, ma il punto è che, invece, ottengono così facendo il risultato esattamente opposto non solo in mancanza spesso di una vera e propria poetica differenziale ma anche perché si aggregano “i poeti di x anni” con poetiche, stili e tematiche fra loro diversissimi: e allora che senso ha farne l’elencatio per criteri anagrafici? Un elenco anagrafico non fa corrente, perché è composto da poeti anche molto diversi l’uno dall’altro sul piano scrittorio; per questo non detiene una poetica unitaria, che è condivisa, all’interno di un eventuale gruppo – corrente, ma è differenziale fra una corrente ed un’altra. Ora, gli outsider, quando va bene, fanno corrente a se stante, ma è uno stato di grazia abbastanza raro. Inoltre, ci sono correnti e correnti, ma il giudizio critico su di loro avviene dopo questo primo sfrondamento concettuale, ovvero dopo la distinzione fra un gruppo di Cantor, come io lo definisco, caratterizzato appunto dall’indistinzione di cui sopra, e un gruppo poetico propriamente detto.
Secondo me, comunque, un’opera come tale detiene sempre al suo interno contenuti forme e stili determinati, quindi il concetto di opera, a mio parere, è indissolubile da quello di poetica; e tuttavia, “poetica” non è lo stesso che “corrente”, essendo la corrente la fenomenologia aggregativa e sociale che parte da una poetica definita e condivisa da un gruppo. Benintesto, per me sono rilevanti le opere sopra ogni cosa, ma in base al principio della centralità del testo l’analisi critica di quelle opere avviene tramite tratti definitorii. Questo non significa dover incasellare ogni testo necessariamente all’interno di una poetica preconfezionata, ovviamente, né che ogni gruppo debba rientrare in una corrente (a me le correnti dopo un po’ sembrano anche anguste), né tantomeno che debbano necessariamente esistere i gruppi di contro ai singoli. Il critico, in tutti questi casi, osserva un gruppo di poeti i quali, oltre a possedere caratteristiche comuni a livello di poetica e stile, si riuniscono, fanno incontri, reading, antologie, eventi. In questi casi, gruppo e corrente vanno di pari passo, in quanto determinazioni consapevoli e volontarie che non abbisognano di ipotesi di lavoro: e tuttavia, molto spesso, troppo spessosono proprio alcuni gruppi poetici a togliere la penna di mano al critico e ad autoinvestirsi come espressione di una poetica comune, a definirsi, bruciando i tempi legittimi della meditazione critica che ragiona giustamente per ipotesi di lavoro, dandosi l’alone di “correnti” in modo completamente autoreferenziale; e allora, spesso, con questi soggetti si è avuto e si ha a che fare. Altri gruppi, invece, non fanno corrente affatto e lasciano il tempo che trovano. Quanto a me, il fatto che un certo gruppo abbia una poetica differenziale e un altro no pare rilevante in primis dal punto di vista poetico, in secundis anche dal punto di vista sociale (in senso logico, non cronologico), dato che in senso estetico – critico le opere si scrivono in base a contenuti, poetiche e stili, che sono appunto quei fattori atti a distinguere un poeta da un altro su tutti i piani, compreso quello sociale; distinzione che però dilegua inesorabilmente, anche e soprattutto sul piano sociale, se li si mette tutti insieme in un calderone senza badare, appunto, a ciò che ne determina la differenza scrittoria: e questo è un pessimo favore alla poesia in quanto poesia, che consiste in un apparente favore ai poeti per la propria momentanea visibilità, ma a lungo andare attua una ricaduta nell’indistinzione e nell’oblio del textus, delle poetiche, dei linguaggi, dei versi, dell’opera stessa.

In questo senso dico che i gruppi poetici hanno piena ragione di esistere, di organizzarsi e di mettersi in evidenza in quanto tali, ma su altre basi che la mera anagrafe, insieme di Cantor in cui gli elementi posseggono una tale indeterminazione che il contenuto, la chose stessa insomma, dilegua.

4) Le Lezioni sono tutte presenti nel vostro blog. E due anni di blog è appena passato. Il motore è appena acceso, dove porterà ora Critica Impura?

Antonella Pierangeli: Le passioni che ci muovono hanno generato Critica

Sonia Caporossi, Antonella Pierangeli, Un anno di Critica Impura, Web - Press Edizioni Digitali, Milano, Gennaio 2013

Sonia Caporossi, Antonella Pierangeli, Un anno di Critica Impura, Web – Press Edizioni Digitali, Milano, Gennaio 2013

Impura e più che un motore abbiamo acceso un fuoco inestinguibile. Fatichiamo a tenere testa a noi stesse e alla fornace che abbiamo creato ma il percorso di maturazione di quest’organismo complesso e sempre più tentacolare che è la nostra galassia impura ci sorregge sempre, in ogni momento, anche quando un sottile senso di nausea ci arriva alle soglie della coscienza sotto forma di quell’indignazione dolorosa che però che ci consente di andare avanti con rigore e coerenza intellettuale. Due anni di blog sono passati in fretta, molto abbiamo imparato e qualcosa abbiamo “lasciato” dietro di noi (il nostro e-book Un anno di Critica Impura, Edizioni Web-Press Edizioni Digitali, Milano, 2013,  con la nostra migliore saggistica riveduta e corretta relativa al primo anno di pubblicazioni) ma la cosa più vivificante è che siamo ancora in movimento: progettiamo nuove sezioni impure, a breve infatti inaugureremo Segnalazioni Impure, elzeviri in cui scannerizzeremo in un lampo e proporremo in lettura opere di recentissima uscita o di antichissima rimozione; abbiamo inaugurato da poco il nostro canale YouTube Impuro dove per ora sono visibili le nostre lezioni alla Scuola Internazionale di Comics di Roma ma che in futuro potrebbe divenire una sorta di mappatura iconografico – parlante del blog. Quindi un cantiere, un laboratorio ma soprattutto un esperimento: togliendo infatti personaggi e concetti dal mondo chiuso dei libri e dell’ombra, sì amata, necessaria e accogliente ed  eleggendo le proprie passioni fra quelle evanescenti dell’universo della scrittura e della riflessione, Critica Impura volge le spalle, impuramente, alla corposità vacua delle cose per rivolgere lo sguardo alla loro rappresentazione – interpretazione, dantescamente scrivendo di Ragione, Bellezza e Ineffabile Umanità. Un progetto ardito, certo, ma assolutamente spontaneo: sogno frammentario e inattingibile per tutti, indomito esercizio dell’esporsi per noi Impuri.

Tutto questo però, senza mai avere la tentazione dell’autoreferenzialità e dell’egotismo delirante di alcuni, dovrei dire troppi, maestri incantatori che pensano di essere esegeti del mondo.

Noi ci consideriamo soltanto parte di una mandria di cavalli di razza, questo sì, che è però uscita dalla logica del giogo per pascolare senza briglie e basto in praterie ampie e libere, ma mai uniformi. Se devono trascinare qualcuno, oltre che se stessi, lo faranno sempre e comunque meglio sciolti che legati.

Leggi l’intervista su Words Social Forum.


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