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Nelson Mandela: una leggenda non muore mai

Creato il 06 dicembre 2013 da Webnewsman @lenews1

Nelson Mandela: una leggenda non muore mai Pubblicato da Mathias Mougoué

« Su un personaggio come Nelson Rolihlahla Mandela, scrivere dei libri non basterebbe » Così si espresse mia moglie per incoraggiarmi a abbandonare l’intento di concludere questa testimonianza e venire a letto alle 3 di mattina.

Quando a Roma davanti ad una schiera di 13 giornalisti ai quali concedevo una conferenza stampa il 19 Ottobre 2001 complice una trasmissione televisiva spiegai che il mio personaggio storico preferito era Nelson Mandela, alcuni avendomi già seguito ne approfittarono per insinuare che ero molto afro centrico (io sospettavo che stesero evitando di darmi del razzista e sorridevo sotto i baffi). Li invitai a considerare le interviste dei miei compagni (tutti bianchi) e di notare che tutti alla stessa domanda avevano risposto menzionando personaggi come Marilyn Monroe, Berlusconi, Shakespeare, Napoleone, Papa Giovanni Paolo II, Madonna, Bernini, Caravaggio (tutti Bianchi) e nessuno li aveva tacciati di eurocentrici. Continuai imperturbabile certo del vantaggio di aver citato una figura che metteva tutti d’accordo di là dall’appartenenza etnica e dissi « si tratta di un valore assoluto della Cultura Mondiale ». Per i motivi che conosciamo, Mandela è stato riconosciuto come il politico più chiaroveggente e illuminato del XX secolo.

Ha accettato la sofferenza, il martirio, l’umiliazione e creduto in un obiettivo, quello di camminare a lungo ma di riuscire lo stesso a raggiungere la Libertà… Se la è conquistata.  Con questo (ed ciò si evidenzia in una intervista del 1962) egli intendeva il passaggio obbligato per la riconciliazione e soprattutto la convivenza pacifica. Nessuno dei miei intervistatori mi poté rispondere quando chiesi se secondo loro ciò si sarebbe potuto verificare in una ipotetica Europa invasa da Neri Africani. Mandela inspirandosi a Gandhi andò oltre il sogno di Martin Luther King e si fece paladino di un progetto che richiedeva impegno… Egli ha in questo anticipato il « Yes We Can » di Barack Obama. Mandela ha coraggiosamente abbracciato la sua visione profetica come una missione e si è dato l’onere di portarla a termine. Ha riconciliato due mondi.

Per riuscire ad imporre la giustizia per tutti mediante la persuasione nella sua postura politica, Mandela pone il valore della tradizione africana al centro delle chance di usciere vincitore per un Sudafrica che tramite la riconciliazione inventerà più tardi, ispirati da lui e l’Arcivescovo anglicano Desmond Tutu dei concetti come « Rainbow Nation » e « Ubuntu »

Viaggia in Africa e si lascia inspirare. In Etiopia, l’Imperatore Haile Selassie Dio vivente per aver sedato le velleità coloniali di Mussolini con la sconfitta che impose all’esercito Italiano ad Adua incarnava il messianismo che fondò l’Unita Africana e Mandela se ne abbevera a fondo. Studia nei dettagli la guerriglia indipendentista Camerunese e perfeziona la sua formazione militare in Marocco dove si erano dati appuntamento tutti i rivoluzionari del Continente, dall’Angolano Savimbi ai Congolesi Ngouabi o Lumumba. È in Tunisia che subisce letteralmente il fascino del gigante soldato Nero Sudani che al suo passaggio durante una parata ebbe diritto a una standing ovation da parte di tutti, autorità e fola di curiosi. Si diceva di lui che aveva combattuto da solo una moltitudine di soldati nemici. Era un eroe nazionale in carne ed ossa. Mandela capisce in seguito che se Sudani nero come la pece aveva catturato la sua attenzione in Tunisia, un paese di Arabi era perché lui Nero si rifletteva nel soldato Nero. La cosa inizialmente parve rivelare a Mandela il razzismo che teneva dentro salvo suggerirgli più tardi un’altra spiegazione: il Nero poteva e doveva. Il Nero è competitivo alla pari.

Tornato a casa viene arrestato per aver clandestinamente lasciato il Paese. Rimarrà in prigione ventisette anni di cui diciotto passati sull’isola di Robben island con il numero 46664, attribuitogli al momento della sua incarcerazione che rimarrà il suo identificativo. Durante quei ventisette anni, i suoi compagni e lui hanno dato prova di una robustezza di spirito fuori dal comune. Mandela assicura personalmente la sua difesa e quella dei suoi compagni durante il processo di Rivonia in occasione del quale elabora strategie che ridicolizzano il potere. Trova il tempo per conseguire il suo Dottorato in Legge e cominciare a scrivere il suo libro autobiografico (Lungo Cammino Verso la Libertà pubblicato nel 1994 e tradotto in numerose lingue) di cui fa uscire clandestinamente le pagine del manoscritto.

Tra i pochi eventi ricreativi che gli venivano concessi in prigione Mandela apprezzò particolarmente i film con Sofia Loren la sua attrice preferita. Per nessun motivo si sarebbe perso una proiezione in programma con lei come protagonista. Trapelavano poche notizie ma a metà degli anni ’80 tira un vento nuovo sul Mondo. La cortina di ferro scricchiola.  Ci si avvicina alla fine della guerra fredda. La democratizzazione va avanti. Gli accordi economici traballano, la crisi si fa sentire e bisogna associare gli oppressi al progresso. Diventa urgente liberare i leader rivoluzionari dappertutto e dare più ascolto alle rivoluzioni. È ciò che accade in Sud America, in Asia come nel Medio Oriente dove Arafat non è più un terrorista ma un capo carismatico con cui trattare.

È dunque giudizioso che si arrivi a porre l’accento sull’Africa dove colpi di Stato e omicidi politici avevano spazzato via une generazione di trentenni e quarantenni illuminati, cominciando con Lumumba, Leader Congolese che venne fatto sacrificare da un Certo George Bush allora capo della CIA. Si arriva ai vari Nkrumah del Ghana, Bouganda della Repubblica Centrafricana, Sadate dell’Egitto, Amilcar Cabral della Guinea Bissau e per estensione, Malcolm X, Luther King Jr degli stati Uniti D’America, Samora Machel del Mozambico ecc.… La gioventù si lega a nuovi rivoluzionari perché come disse Fidel Castro « I rivoluzionari non vanno mai in pensione e la rivoluzione nemmeno. » Un nuovo simbolo è nato per l’Africa. Si tratta della giovane Capitan Presidente Sankara che si schiera dalla parte degli ultimi e rigetta l’ordine mondiale prestabilito spesso telecomandato dall’occidente. Cambia il nome del suo Paese. L’Alto Volta diventa Burkina Faso. Il Capitano riformula tutto associando brillantemente le donne al potere. Viene assassinato il 15 Ottobre 1987. Da quel momento noi ci interessiamo alla figura che può ancora federare le nostre anime in modo panafricanista come fecero i grandi scomparsi. Mandela diventa simbolo presente per noi. Ne ammiriamo il look, la prestanza, l’eleganza sportiva, ignorando che durante la prigionia ha talmente subito degli abusi da cambiare fisionomia. L’immagine di lui che avevamo era quella del suo splendore battagliero.

Furono soprattutto gli artisti a indurci ad una profonda implicazione. Durante gli anni sanguinosi dell’apartheid, il Camerun aveva concesso l’asilo politico all’attivista e artista cantante di fama mondiale Miriam Makeba deceduta a Castel Volturno il 9 novembre 2008. L’arte si nutre di mezzi tecnici che sono i media per la sua diffusione. Se la battaglia di Mandela è rientrata nelle nostre carni, sotto la nostra pelle e nel nostro quotidiano, è anche perché i giornali e l’informazione mediatizzata cominciavano a farsi concorrenti seri dei libri inclusi quelli di Storia spesso crudelmente e colpevolmente vuoti di sguardi introspettivi o punti di vista africani o semplicemente di Storia Africana. Sapevamo con certezza che nella prigione di Mandela qualcosa bolliva in pentola.

Il capo dei servizi segreti Barnard avvicina Mandela per trattare. Non hanno scelta ma vogliono sapere se Mandela abbandonerà la lotta armata. Hanno già perso. Prendono solo del tempo. Cavalcando i grandi cambiamenti di quei anni ‘80, mentre Michael Jackson diventava bianco, Sankara diventava mito, Mandela si apprestava a passare dalle stalle alle stelle del firmamento…

In Africa, parlare più lingue è una cosa banalissima. Mandela incontra Il presidente Botha e lo impressiona perché durante la reclusione aveva frequentato altri giovani prigionieri Africani tra cui un insegnante di Afrikaner e Olandese che gli disse: « parlare la lingua dell’avversario ti dà un vantaggio. » Mandela si rivolge dunque a Botha in Afrikaner, lingua che ha imparato in prigione. Rigetta la proposta di diritto di veto che s’intende dare ai Bianchi per negoziare la sua liberazione. Arrivato al potere, F. DE KLERK desidera andare veloce. Più tardi, avendo incontrato Mandela, dirà che aveva sentito di non avere scelta. Mandela è diventato una miniera d’oro… Toccarlo e averlo come interlocutore o avere il suo nome nella propria storia professionale vale il suo peso di metallo prezioso. De Klerk che non era un progressista perfetto (ma secondo me lo diventa più tardi) lo sente e lo interpreta politicamente in maniera magistrale.

Avevano annunciato la liberazione di Mandela per l’11 febbraio 1990, sette giorni prima. L’evento che tutti speravano in mondovisione (ciò che avvenne non senza inghippi seri per la polizia che aveva previsto di monitorarlo con un dispiegamento d’alta sicurezza) aggiungeva entusiasmo alla nostra innocenza di bambini. Era la settimana della Gioventù che culminava con la festa stessa della gioventù come ogni 11 febbraio in Camerun. I nostri look durante la parata delle scuole e i nostri canti rendevano omaggio acanto al nostro paese o il suo presidente, al grande Nelson.

Non avevamo il beneficio degli schermi giganti all’epoca ma l’inventiva e la creatività camerunensi teneva in serbo il necessario per darci la possibilità di vedere Mandela « Ritornare alla Vita dopo 27 anni » durante i quali ha incarnato la lotta di tutti noi. Allora, possedere un televisore non era da tutti. Qua e là, dei piccoli schermi erano stati installati davanti alle case, nei cortili. 14.44. L’incredibile si produsse e la mia idiozia di ragazzo non capì come mai il giovane e prestante combattente al quale noi volevamo somigliare facendoci fare una riga in mezzo ai capelli usciva nei panni d’un signore visibilmente vigoroso ma dai capelli brizzolati che si poteva non riconoscere subito se non  fosse perché la sua compagna, sposa combattente e luogotenente di vita gli teneva stretta la mano.

Winnie e Nelson, sempre cosi innamorati e finalmente liberi di divertirci con romanticismo. Più tardi si intravide l’Arcivescovo Desmond Tutu che ballava su un balcone… Il Mondo faceva la conoscenza del non più giovane Mandela che anche quella mattina come gli altri giorni aveva iniziato la sua giornata dalla sua Cultura Fisica. 73 anni… Bisogna farlo. Ha sconfitto la tortura e l’ingiustizia. Da quel momento, l’immagine di Mandela ha occupato le nostre radio, e i nostri schermi con una costanza mai vista prima. Sembrava che il Mondo fosse ai suoi piedi. Scelsi di pensare che stava portando fortuna anche al mio paese. La nostra nazionale di calcio stava facendo divertire il mondo in Italia durante i Mondiali.

Si vedeva Mandela dappertutto e non infastidiva nessuno. Il cantante Sudafricano Johnny Clegg « Lo zulu Bianco » spalleggiato dal suo Gruppo Savuka restituiva in canzone ai giovani il Mandela che non avevano conosciuto. Il complesso “a cappella” nero dei ghetti sudafricani « Ladysmith Black Mambazo » ed i “Simple Minds” durante il mitico concerto “Mandela Day” (concetto iniziato a New York nel 1986)  di Wembley che radunò più spettatori di una Finale di Mondiale di calcio canalizzarono la nostra apatia facendoci venire i brividi con la loro musica e soprattutto con i contenuti potenti. A Berlino, l’euforia Mandela si mischiava con la gioia del ritrovo delle famiglie tedesche che festeggiavano la riunificazione dopo una dolorosa separazione durata 45 anni.

Mentre la gente comune rompeva le reliquie del Muro di Berlino per portarne dei pezzi a casa, eravamo noi stessi delle star giacché tutti ci facevano delle domande su Mandela e i “Leoni Indomabili” del Camerun, rivelazione di “Italia ‘90”. Per tanti era la stessa cosa. Era Africa, l’Africa simpatica e vincente. Mandela valeva ovviamente di più. Ho visto gente piangere ogni volta che appariva in televisione. Avevo vissuto con la pelle d’oca il suo commovente incontro con delle giovani Sudafricane in visita a Berlino con la loro troupe teatrale. Penso di ricordare che mentre le più forti non trattenevano le lacrime, alcune svennero. Il personaggio trascinava folle a Londra e ovunque passava. Era diventato un mezzo per i politici del Mondo di rilanciarsi. Margaret Thatcher che in realtà fu contraria alla sua liberazione lo accolse come un eroe e trattandolo come un figlio disse « Si Copra Mandela, fa freddo a Londra. Il Mondo ha bisogno di Lei in salute »… Da quel momento ho seguito come ho potuto le tracce di Mandela nel Mondo, per anni, determinato secondo me a entrar anche io nella corte dei grandi e ad incontrarlo.

L’occasione mi venne data il 14 maggio 1996, giorno del mio onomastico secondo il calendario cattolico. Sei anni dopo la sua scarcerazione e alla fine del suo mandato presidenziale quando visitò il Bundenstag a Bonn allora ancora Capitale della Germania Nelson Mandela vi fece un discorso memorabile.

Nel frattempo ero diventato studente in Italia e al termine del mio terzo anno, il proseguo degli studi in Germanistica mi riportò in Germania nell’ambito del Progetto Erasmus che finalmente entrava nella sua fase attiva. Mandela visitava il Paese e all’uscita del parlamento a Bad Godersberg, in mezzo a innumerevoli diplomatici d’Africa e altrove, fra tanti politici Tedeschi e senza forzare il protocollo, senza contravvenire alle norme di sicurezza, talmente l’uomo era aperto, me lo ritrovai davanti sorridente mentre mi porgeva la mano dicendo a me che non sembravo molto al mio posto con i capelli rasta, il completo Jeans alla moda stracciata « How are you? » Ero preso nella trappola della sua immensità. Non seppi cosa dire né cosa fare. Quel istante che in realtà non sarà durato più di qualche secondo fu e rimane l’eternità durante la quale la mia esuberanza si assopì e venne colpita duramente.

No, non dissi niente ne risposi al Divino Mandela. La mia mano si fece troppo pesante per alzarsi e andare incontro alla sua per stringergliela. Più recentemente ho rivisitato il significato della parola « pietrificato ». L’avevo vissuto pienamente quel giorno! Lui, Mandela non poteva aspettare. Il protocollo l’aveva accompagnato verso dei bambini Tedeschi, che più incoscienti e oserei dire più temerari di me poterono… Hanno potuto ciò che a me non fu possibile. L’hanno salutato. Una volta ripresi i miei sensi gli corsi dietro e null’altro potei fare che scattare quella foto dove mi rivolse ancora un sorriso, quella foto di cui ho conservato il negativo e quella foto che feci stampare in diverse copie spedendone una a tutti i miei cari, quella foto che feci ingrandire, Mandela che da lontano mi sorride.

Quella stessa sera chiamai in Camerun e in Italia per raccontare prima a mio padre e sbeffeggiarlo dicendo « per una volta ho fatto ciò che tu non hai fatto… Ho incontrato un mito vivente… Chi? Nelson Mandela… L’hai salutato ? » Ho riattaccato. Lo stesso accade con i miei Amici a L’Aquila. Penso di avere ancora la foto ingrandita nella nostra casa familiare in Camerun. La mia in Italia come il negativo sono scomparsi nel terremoto che devastò L’Aquila portandomi via 17 anni di vita in 21 secondi il 06 aprile 2009. Ho dato la caccia a Mandela, dove potevo e siccome viaggio tanto, per la Coppa del Mondo che si svolse in Sudafrica nel 2010, avevo elaborato un piano segreto: quello di incontrare Nelson Mandela di nuovo. Alla gioia di trascorrere del tempo con tutti i miei fratelli (visto che vivono tutti in Sudafrica) si mischiava l’entusiasmo per l’esperienza dell’incontro del Mondo e di persone di svariati orizzonti con soprattutto la felicità di confondermi in Sudafrica. Sarei diventato ancheio un pezzo del puzzle di questa nazione arcobaleno, laboratorio umano e naturale all’aperto in tutti sensi. Una esperienza arricchente come poche altre. Non rinunciai a fare il lavoro di Antropologo improvvisato che mi sono inventato. Ho visitato tutte le sfaccettature del Sudafrica che ho potuto. Ho visto dai suoi interminabili parchi naturali ai ghetti legendari, al punto d’incontro di due oceani (indiano e pacifico) sotto Città del Capo, dai riti di passaggio nei villaggi ai festival tribali in piena capitale. Vi ho incontrato degli amici che non vedevo da 17 anni. Avendo setacciato il ghetto di Soweto in cerca di possibili testimonianze, ho finito per perturbare una giornata professionale del presidente della Repubblica in persona al palazzo « Union Building » ma non aveva tempo a sufficienza per me.

Eppure non mi sono fermato… Avevo preparato il viaggio prenotando a priori la mia partecipazione a tanti appuntamenti tra cui la cerimonia di apertura. Ho mancato Mandela di poco al concerto inaugurale al termine del quale purtroppo perse una nipote in un incidente stradale. Andai a bussare alla villa di Winnie, l’ex moglie. Lei chiese ai suoi collaboratori di concedermi del tempo per le mie domande senza tuttavia spiegarmi la strategia per vedere Nelson che lei incontra quando lo desidera, cosa che l’attuale compagna di Nelson Graça Machel autorizza con grande dignità. A casa di Desmond Tutu non ebbi la fortuna di trovare l’arcivescovo. Era fuori zona nel momento della mia intrusione. Ho atteso che Mandela si manifestasse nel ristorante di proprietà della sua Famiglia a Soweto ma niente… Anziché incontrare la leggenda vivente, una mattina a Cape Town presi poco dopo le 8 la nave per una visita guidata a Robben Island dove Mandela fu imprigionato per 18 anni. Una sola Persona nella storia è riuscita a scappare da quella lugubre isola della morte. Si tratta di un tale Khoikhoi chiamato Autshumato che i Sudafricani conoscono sotto il nome di Harry, die Strandlooper. Lavorava come interprete per gli olmedesi nel XVII secolo e scappò a nuoto nel 1659 al suo secondo tentativo.

Ho camminato, dove Mandela ha subìto le peggiori umiliazioni. Ogni passo, ogni muro, ogni parete, ogni pietra aveva una storia, quella del Dr Ahmed Kathrada, quella di Walter Sisulu, Avvocato mentore a socio di Nelson, quella di Govan Mbeki, quella di Raymond Mhlaba, quella di Andrew Mlangeni, quella di Elias Motsoaledi, quella di Billy Nair, e quella di Sonny Venkatrathnam, compagno di prigione di Madiba Mandela  che ci ha raccontato dei ricordi da gelare il sangue. Mi ha permesso di fotografarmi con lui, mi ha accompagnato nella cella di Madiba, la stessa in cui il Presidente Americano Obama si è raccolto recentemente, mi ha fatto sedere sul letto di Madiba, il tempo di piangere e meditare. Mi ha consolato dicendo « It’s Over Now » è tutto finito, pensa positivo. Quella mattina ebbi la piacevole sorpresa di incontrare 3 compagne di 5 anni prima  all’università di Miami. Due Bianche e un’Afroamericana che mi fecero capire quanto fu significativo per riavvicinare le comunità che Spike Lee avesse concluso il suo Film MALCOLM X del 1993 con una apparizione di Mandela. Nella scena Madiba ricordava che la libertà meritava di essere raggiunta « Con Ogni mezzo Necessario ». Le parole sono quelle più famose di Malcolm Stesso. Una necessità per introdurre il nuovo paradigma di convivenza fra le razze poiché le derive sono possibili in ogni angolo del Mondo.

Ho capito che quel gigante tra i Leader Africani aveva in lui la verve che doveva animare tutti io suoi pari del continente e mi sono fatto la domanda «What If ». Che cosa sarebbe successo se « con tutti i mezzi possibili » anche loro sfidando l’embargo non lo avessero sostenuto nella sua resistenza coraggiosa ? l’Organizzazione dell’Unita Africana (oggi Unione Africana) andò fino a ritirare tutti i Paesi africani dalle competizioni organizzate dalla FIFA finché il Sudafrica segregazionista era ammesso. Penso al Colonello Gheddafi e mi chiedo cosa sarebbe successo se non avesse finanziano l’ANC, il movimento politico di Nelson Mandela anche quando il Mondo non se ne interessava sufficientemente. Mi ricordo che il Divino Madiba lo chiamò solennemente « My Good Friend » (Mio Buon Amico), parole che nella bocca di un saggio significano molto. Mi sentivo frustrato quando più tardi, finita la Coppa del Mondo raccontando le mie sensazioni ai giovani Sudafricani mi vennero date delle risposte come « Smettila di idolatrare un banale essere umano che è diventato senile, non ha tutti i suoi sensi ed si è addirittura trasformato in personaggio fastidioso senza nemmeno cambiare granché alla nostra povertà ». Spero si rendano conto che indipendentemente da ciò che di non buono si sta dicendo sul suo conto, Mandela, questo colosso planetario merita che il Mondo si fermi qualche giorno per lui.

Ora che i suoi messaggi hanno ancora più senso, ci lascia e lo sappiamo ma vogliamo esorcizzare con la scusa dei Funerali ufficiali quel destino inevitabile, permettergli di trascorrere un mese? Un giorno? Una settimana? Un’ora? Ancora tra noi come se lo rendesse più forte, più vivo, come se ci rassicurasse e come se non avesse finalmente diritto al riposo. Io continuo a sperare che lo rivedrò e avrò così l’occasione di rendermi conto che sono finalmente adulto. Ma ho veramente bisogno di rivederlo? Il mio direttore di tesi, un Italiano che fu per me il primo a definire Mandela come « il politico più illuminato della nostra era » ha avuto un tale rapporto amoroso con la terra d’Africa che si è comprato una casa in Sudafrica dove è andato ad abitare. Anche lui incontrò Mandela e come me il suo protetto ha avuto lo shock di non sentirsi all’altezza. Mi ha rivelato ciò che ci è successo al momento dell’impatto: « quando incontri un’icona come Mandela, ogni cosa che puoi fare o dire rischia di essere banale ! »

Dio se ne va. Ci mancherà. Non ci abbandonerà pertanto.  Come capita per ogni Signore, la nostra Cultura Africana ama credere che alla stregua di ogni Antenato Madiba sarà lì e qui, nel vento, l’acqua, il fuoco, il bosco e la terra per accompagnarci e intercedere per noi ogni volta che si renderà conto dei nostri bisogni anche senza che lo invochiamo… MANDELA È MORTO? VIVA MANDELA!

Nelson Mandela: una leggenda non muore mai

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