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Nepal: auto, moto, ricostruzione. Tutto fermo

Creato il 18 ottobre 2015 da Cren

kathmandu bloccata

Chi può si è comprato una bicicletta, macchine e moto che normalmente intasano Kathmandu son quasi sparite. Sui bus che dovrebbero portare la gente ai villaggi per il Dashain (il Natale nepalese)la gente s’appila sui tetti come 40 anni fa. La spazzatura rimane per le strade e si rischia di non vedere più neanche le cisterne con l’acqua da bere. I prezzi, di norma aumentati durante le feste, sono per alcuni prodotti triplicati. La benzina che arriva a singhiozzo dalla piana del Terai sparisce in un batter d’occhio (5 litri a testa) per chi regge alle file chilometriche ai distributori. Parte finisce al sempre presente mercato nero che la rivende a nrs. 700-800 al litro 5/6 volte il prezzo normale. Lo stesso avviene per le essenziali bombole del gas per cucinare.

Ancora una volta, come ogni tanto accade, i Nepal si è fermato. Nel Terai continuano i sit-in dei madheshi che bloccano le frontiere. Si era parlato di far scortare i convogli dal’esercito come accadde durante la guerriglia maoista. Ma se allora ‘erano giustificazioni (il “terrorismo”) se scappava il morto, oggi sarebbe un casino nazionale e internazionale. Laggiù i confini troviamo, come spesso accade di tutto, gente che protesta senza sapere il perché, delinquenti organizzati, militanti e funzionari dei partiti del luogo; ma anche tanta gente comune che sente, ancora una volta di essere dimenticata dalla capitale. Lo stesso potrebbe dirsi per i Tamang, i Limbu e le tante etnie povere del  Nepal. Ma nel Terai sono tanti e forti i partiti locali, che hanno (nascosto) l’appoggio di parte dei politici e della burocrazia della confinante India.

Anche il dialogo, richiesto dal governo è fermo, si vuole tirare al massimo per arrivare forti al confronto. Pensavo, con un po’ di ottimismo, che la situazione si risolvesse prima, per stanchezza dei protestatari e iniziative del governo. Invece Kathmandu e gran parte del Nepal, dopo 50 giorni di blocco, è stremata.

Certo la gente, abituata ai problemi, si organizza: si parla di futura città ciclabile, di veicolo elettrici, di metropolitana, e non si perde, comunque, la voglia di festeggiare e cercare di fare acquisti e mangiate, seppur in un Dashain che sarà più spento. Anno durissimo per il Nepal dai terremoti alle tensioni per la nuova costituzione.

E anche per tutto ciò che concerne la ricostruzione del terremoto tutto è fermo, solo l’iniziativa privata (con tutti i rischi e le speculazioni che può comportare) o locale è partita. Nei villaggi, chi ha i soldi, inizia a ricostruire le case senza pensare alle normative antisismiche e i sentieri  per riaprire le vie dei trekking e le comunicazioni in montagna, i Comitati Scolastici (come sta facendo Takecare Nepal) chiedono aiuto per mettere a posto le scuole e togliere i bambini (sta venendo freddo) dalle classi temporanee di plastica e legno. A Kathmandu i tibetani (sempre ricchi) rimettono a posto i grandi stupa, i proprietari delle vecchie case dei centri storici le buttano giù per ricostruirle più alte e di cemento.

L’iniziativa privata si muove, manca quella pubblica sia a livello d’investimenti  (i  4 miliardi di USD dati dai donatori internazionali sono nelle cassaforti) sia, più grave, di progettazione.

Gli amici entrati (il 25 giugno) con entusiasmo nella Nepal Reconstruction Authority (alcuni bravi e motivati) sono sgomenti. Il governo e il parlamento non hanno mai ratificato formalmente la sua esistenza: di fatto non esiste. Il partito dell’attuale primo Ministro Oli (UML-ex comunisti) non ha mai voluto Govinda Raj Pokhrel (ex capo della Nepal Planning Commision) e considerato un ottimo tecnico capo della Reconstruction Authority. Primo perchè è stato nominato dai rivali del Congresso, secondo (e più importante) perché vogliono un politico (magari loro) a gestire i miliardi per la ricostruzione.


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