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New York Day 1

Creato il 24 marzo 2013 da Moviestyle @federicochim

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Quando il viaggio dei tuoi sogni sta per realizzarsi, la paura che ti scivoli via dalle mani è così concreta che rischia di annebbiare tutta la felicità di questo momento. E’ per questo che quando mi ritrovo alle 5 del mattino a discutere con mia mamma su dove potrebbe trovarsi il lucchetto per chiudere l’evidentemente troppo grande valigia per 10 giorni di vacanza, non sono io che parlo ma l’ansia che la signorina della sicurezza al check in non mi faccia salire sull’aereo. Biglietto, passaporto, visto. Controllo per la 40tesima volta in 5 minuti, prima di farmi venire un dubbio universale sul fatto di aver stampato le cose giuste. Mi fido talmente poco della mia capacità organizzativa in questo momento, che vorrei che le agenzie viaggi tornassero davvero in auge. Malpensa all’alba è un luogo quasi surreale. Scopro molto presto che il check in per gli Stati Uniti è in angolo remoto, lontano ed ad accesso limitato. Ansia. Biglietto, passaporto, visto. Gli unici tranquilli sono un gruppo di americani dispiaciuti di tornare a casa.

Tocca a me. Biglietto, passaporto, visto.

Dopo 9 ore di silenzio, e quando dico silenzio intendo che i miei vicini di posto in aereo avevano talmente poca voglia di parlare, che non vedevo l’ora che arrivassero le hostess per poter dire grazie o voglio una diet coke, arriviamo a JFK. Primo segno che la mia conoscenza di New York è puramente e principalmente basata su film e serie tv e mi esalterò per ogni particolare. Durante l’atterraggio ho anche visto il Jersey shore! Gli spaventosi controlli di sicurezza si rivelano essere molto veloci e indolore, a parte che alla mia risposta: “Vengo a trovare un’amica che vive ad Harlem” lo sguardo del mio amico poliziotto diceva tutto. Sicuro si immaginava che andassi a trovare un gangster o una cosa del genere. A New York mi sento già a casa, la prima cosa che ho fatto su suolo americano è sedermi per terra all’aeroporto in attesa che i miei amici venissero a prendermi. Ah! e riuscire a comprare le cicche più disgustose che ci siano in circolazione…

La mia amica che mi ospita, Lizzy, abita in un monolocale ad Harlem. “Viaggi leggera” è stato uno dei suoi primi commenti. In effetti rispetto a quella dell’altro nostro Ramsey, giunto da Londra, sembra che io sia pronta per trasferirmi per sempre sulla Luna; ma loro non hanno idea di quante cose ho lasciato a malincuore a casa… Dopo aver passato un tempo indefinito sulla metro e aver visto il Queens con le case alla Ugly Betty, arriviamo ad Harlem che è come mi ero sempre immaginata Harlem. Variopinta, caotica, interessante, accogliente, un po’ pacchiana e in alcuni punti leggermente inquietante. Liz abita a metà tra la Harlem in cui ti aspetti una sparatoria per strada (East Harlem) e la nuova Harlem residenziale contaminata dalla ricca Upper East Side che sta sconfinando nel quartiere vicino.

Cosa c’è di meglio di iniziare un’avventura newyorkese se non una perfetta cena stule sud degli Stati Uniti?! Da Sylivia, si chiama il posto e in effetti di foto della proprietaria aleggiano su tutte le pareti: con il marito, con i figli, con Steve Wonder, con Obama, insomma il classici ritratti che tutti abbiamo da mostrare agli amici. Dopo aver letto il menù 300 volte mi affido ai consigli e alle cose che mi sembrano più assurde abbinate insieme: pollo fritto con patate dolci e maccheroni&cheese, tutto accompagnato da corn bread fatto in casa. Altro che McNuggets… Il pollo mi ricordava quello della scena di The Help quando Octavia Spencer insegna a Jessica Chastein i segreti per friggerlo in modo perfetto. Una meraviglia! L’Oscar sarà stato per il pollo. Sylvia’s ad Halem, da provare!


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