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Nicaragua e l’obiettivo dell’indipendenza energetica

Creato il 30 settembre 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Nicaragua e l’obiettivo dell’indipendenza energetica
Introduzione

Con una superficie di 120 mila chilometri quadrati e una popolazione di 5 milioni di abitanti, Nicaragua è il paese più grande del Centroamerica. Ciò nonostante, il suo prodotto interno lordo è meno della metà di quello dell’Honduras, cioè della seconda economia meno sviluppata di tutta l’area1. Il paese gode di un enorme potenziale per la produzione di energie rinnovabili grazie alla sua particolare conformazione geografica caratterizzata da una notevole catena vulcanica, un’intensa attività geosismica, una eccellente esposizione ai venti – ma anche al sole – e le sue molteplici fonti d’acqua sparse su tutto il territorio nazionale2.
Il Nicaragua si distingue inoltre per avere fonti ricche e diversificate di biomassa ad alto potenziale energetico che derivano dagli scarti della produzione agricola e forestale. Attualmente questi «rifiuti» sono utilizzati principalmente per la produzione di zucchero nei mulini di “Ingenio Monte Rosa” e “Ingenio San Antonio”.

Un cambiamento non solo della matrice energetica ma anche culturale

Il Governo nicaraguense ha deciso di incrementare ulteriormente la produzione di energia sfruttando appieno le sue risorse rinnovabili. Inoltre è stato implementato un ambizioso piano per l’installazione di centrali termiche. Quest’ultima iniziativa, pur trattandosi di una forma di energia legata all’utilizzo del petrolio, ha risolto il grave problema dei continui blackout che da tempo affliggevano le infrastrutture critiche del paese3. Gli investimenti pubblici e privati nella green economy sono stati accompagnati da una intensa campagna di sensibilizzazione rivolta ai cittadini e orientata verso il risparmio energetico. Proprio su questo punto Lorena Lanzas, viceministro dell’Energia e delle Miniere, ha spiegato la necessità di promuovere il cambiamento culturale della società nicaraguense partendo proprio dalle scuole elementari. Sono più di 15 mila le maestre che hanno partecipato a corsi nazionali di formazione e che tratteranno il tema con oltre 400 mila alunni. Al suo dicastero sono stati affidati, lo ricordiamo, sia il piano energetico nazionale che il coordinamento delle politiche pubbliche sulle rinnovabili4.

Una legislazione speciale

Per quanto riguarda il profilo giuridico va detto che l’intera materia è regolata dalla Legge n. 532 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale nicaraguense il 27 maggio 20055 la quale, oltre a regolamentare l’intero settore, si propone di stimolare l’attività imprenditoriale attraverso una serie di benefici ed incentivi, come ad esempio:

  •  l’esenzione totale dalle imposte per lo sfruttamento delle risorse naturali per un massimo di 5 anni dall’inizio dei lavori
  •  l’esenzione del pagamento dei dazi doganali e dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) sulle importazioni di macchinari, attrezzature e materiali destinati esclusivamente al pre-investimento e alla costruzione delle linee di trasmissione del sistema nazionale.

L’obiettivo del Presidente Daniel Ortega è quello di raggiungere l’indipendenza energetica. E raggiungere l’indipendenza energetica vuol dire emanciparsi dall’influenza degli Stati esteri sia in ambito politico che economico. Secondo i piani del governo, nel 2020 il Nicaragua potrebbe arrivare a produrre circa il 90% del suo fabbisogno energetico grazie alle fonti pulite e sicure.

Il settore geotermico, idroelettrico ed eolico

Nicaragua è stato definito dalla Banca Mondiale come “il paradiso delle energie rinnovabili6 in quanto nel paese centroamericano si sta verificando uno sviluppo senza precedenti dei settori geotermico, idroelettrico ed eolico.

Infatti uno dei progetti più interessanti in ambito geotermico è quello di “San Jacinto” che è stato avviato nel 2009 e sviluppato fino al 2013 dalla RAM Power Corporation, un’azienda specializzata nello sviluppo, produzione e vendita di elettricità derivante dall’energia geotermica7. L’area di San Jacinto è considerata dagli esperti come una delle aree più importanti, dal punto di vista geotermico, di tutta l’America Latina. Si stima che la capacità produttiva dell’area si attesti attorno alle 600 tonnellate all’ora di vapore. Sin dal 2006 che il governo di Managua è determinato nello sfruttamento intensivo di questa fonte con investimenti che superano i 450 milioni di dollari. L’obiettivo è generare 72 MW di energia, raddoppiando l’attuale copertura energetica della popolazione dal 10% al 20%8.

Per quanto riguarda il settore idroelettrico non possiamo non menzionare l’ambizioso progetto denominato “Tumarín”. Il costo per la costruzione di questa enorme centrale si aggira attorno al miliardo di euro e si stima che raggiungerà una capacità di produzione energetica di 253 MW. Ciò permetterà di coprire il 50% del fabbisogno energetico nazionale entro il 20169. “Tumarín” sarà realizzato dalla Centrales Hidroeléctricas de Nicaragua Sociedad Anónima (CHN) grazie ad una Legge speciale, la numero 695 che è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale nicaraguense il 28 luglio 2009. Questa Legge speciale è stata modificata, a sua volta, dalla Legge speciale numero 816 e pubblicata successivamente nella Gazzetta Ufficiale nicaraguense il 15 novembre 2012. Data l’importanza strategica dell’opera è finanziata dalla Banca Interamericana dello Sviluppo (BID) e dalla Banca Nazionale di Sviluppo Economico e Sociale10. Secondo le stime della stessa CHN la centrale idroelettrica ridurrà sensibilmente la dipendenza dal petrolio – le stime parlano di oltre 2 milioni di barili all’anno – consentendo all’erario pubblico di risparmiare circa 150 milioni di dollari ogni anno.

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Il progetto della centrale idroelettrica di Tumarin

Nel settore eolico il progetto più vasto è quello del parco “Amayo”. Stiamo parlando della terza installazione eolica del Nicaragua e fa parte integrale del programma d’investimenti denominato “Eolo”. Nel 2010 sono stati avviati altri due importanti progetti come quello del canale di “Brito”11, detto anche “gran canale” e quello di “Larreynaga”.

Secondo recenti studi, Nicaragua deterrebbe un potenziale eolico di oltre 800 MW. E proprio sulla base di questo potenziale è stato dato seguito al succitato progetto “Amayo” sulle rive del lago di Nicaragua, dove sono state posizionate ben 19 generatori a turbina di 2.1 MW all’interno di un parco eolico che produce 33,9 MW12. L’investimento totale è stato di circa 155 milioni di dollari. La prima fase è stata finanziata dalla Banca Centroamericana d’Integrazione Economica (BCIE) con un prestito diretto a lungo termine. La seconda fase invece attraverso un prestito sindacato da altre banche come la FMO (Olandese) ed EKF (Danese)13. “Amayo” oggi rappresenta circa il 6% della produzione elettrica totale con un ridotto impatto ambientale. Non solo. Il parco eolico ha favorito la creazione di posti di lavoro per le popolazioni locali. Si stima che tra i 90 e i 125 posti di lavoro sono stati creati durante la costruzione dell’impianto, con oltre 20 assunzioni durante l’installazione e 18 posti operativi in maniera permanente14.

Anche Ban Ki-Moon, il segretario generale dell’ONU, ha recentemente elogiato gli sforzi compiuti dal Governo nicaraguense durante la sua visita a uno dei parchi eolici del paese, congratulandosi anche della scelta consapevole verso le energie rinnovabili.

Oggi il Nicaragua è al terzo posto nella classifica del paesi latino americani per quanto attiene la produzione di energia pulita.15. E secondo “Climatoscope 2013″16 – un rapporto pubblicato dal fondo multilaterale d’investimento della BID in collaborazione con “Bloomberg New Energy Finance” – risulterebbe superato solo da Cile e Brasile, nonostante sia considerato come uno più poveri della regione.

Conclusioni

La politica energetica nicaraguense, basata sulle rinnovabili, segna una svolta nella storia del paese. Gli sforzi del presidente Daniel Ortega e del suo esecutivo non puntano esclusivamente alla mera crescita economica del paese, bensì all’emancipazione dal petrolio straniero.

Da una parte, vediamo come Managua ha saputo diversificare la sua matrice energetica scommettendo su due fronti: la sua posizione geografica – assai strategica – e le sue numerose risorse naturali. In realtà, la politica energetica nicaraguense si inserisce in un quadro di sviluppo generale che interessa l’intera regione centroamericana. Infatti la crescita della regione, a seguito dei vari piani di sviluppo infrastrutturale che si sono susseguiti dagli anni 90′ in poi, hanno consentito al Nicaragua di poter implementarla. Per raggiungere questo risultato, il paese centroamericano ha aperto le porte anche al capitale cinese permettendo a quest’ultimo di realizzare consistenti investimenti sul proprio territorio: si pensi alla costruzione del «Great Nicaragua Channel» per esempio ad opera dell’impresa HKND Group che comprende, oltre alla costruzione del canale interoceanico per il commercio marittimo, una serie di sottoprogetti strategici. Progetti, questi, che hanno l’intenzione di attirare gli investitori esteri, non ultimi gli europei.

Dall’altro canto, notiamo che le prospettive economiche per la regione si rivelano contrastanti. Per José Miguel Insulza, segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), le prospettive di crescita della regione per l’anno 2013-2014 sono state assai inferiori rispetto a quanto auspicato. Per la Commissione Speciale dell’ONU per l’America Latina e Caraibi (CEPAL), al contrario, la ripresa economica degli Stati Uniti dovrebbe avere effetti benefici per le economie centroamericane.

A ciò si aggiunga il deterioramento sui mercati internazionali della posizione dei paesi centroamericani. Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua e Costa Rica complessivamente sono passati da un avanzo commerciale del 34%, risalente al biennio 2006-2007, ad un deficit del 48% nel 2012 provocato, secondo gli economisti, dalla dipendenza dall’esportazione di materie prime, della scarsa specializzazione del lavoro e dall’apparato produttivo a basso valore aggiunto17.

Resta tutt’ora aperta la questione sociale, dato che attirare investimenti e risorse, siano esse pubbliche, private o miste ed impegnarle in un solo settore dell’economia, come quello in esame, rischia di rendere vano ogni tentativo di inclusione sociale. Tale questione sarà sicuramente oggetto di ulteriori studi nelle nostre prossime ricerche.


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