Magazine Diario personale

nient'altro che noi

Da Patalice
nient'altro che noiuna delle domande più frequenti fatte ai bambini è "Cosa vuoi fare/diventare da grande?" 
...ora, so che il bagaglio linguistico dei piccoli, non è così vario e variegato, rispetto a quello degli adulti, tuttavia, mi pare che la partenza lessicale sia profondamente ingiusta, a tratti disdicevole!
Perché non chiedere "Quale professione vuoi fare?", piuttosto, non penso proprio sarebbe uno smacco alla limitazione, e nemmeno reputo potrebbe mettere in difficoltà i cuccioli di umano interrogati.
Mi indispone che, fin da piccoli, ci si debba raffrontare con il mondo, passando per il lavoro che si sceglie; anche perché è una cosa retrograda, che però ci trasciniamo dietro per mooooolto mooooolto tempo!
Ancora oggi, a trent'anni suonati, sento le persone indicizzate secondo la mansione svolta, più che per altri elementi distintivi... 
...e siccome sono cagna e polemica since the 1985, la cosa mi indispone alquanto, perché è chiaro che nella vita non tutti abbiano avuto la possibilità di svolgere la professione dei sogni, ed è altrettanto chiaro che, queste stesse persone, potrebbero essersi sentite risolte inseguendo i loro sogni in altri modi.
Io lavoro dietro il banco della reception dell'azienda dei miei genitori. 
E' una realtà gaudente, che mi ha fatto scoprire persone che oggi sono famiglia, ed altre che non stento a considerare amici veri; è un ambiente che tutti i giorni sa darmi qualcosa, che sia uno spunto di riflessione, o l'aneddoto divertente con cui parlare con Brivido a cena, o l'incazzatura che mi tiene sveglia a leggere Harry Potter tutta notte.
...però non sono io...
Mi spiacerebbe essere la [Pat]Alice della palestra, punto e basta.
Cioè, essere identificata così... stride tantissimo con chi sono sul serio, eppure so, e lo so proprio benissimo, che per molte persone io sono "quella lì", e non c'è cattiveria o voglia di sminuirmi o di limitare chi sono, è un dato di fatto punto e stop.
Chi vorrebbe limitarsi ad essere qualcosa che non sente appartenergli particolarmente?
Viene da chiedersi: ci sentiamo il lavoro che facciamo?
E, allargando un po' di più, siamo ciò che la società, istituzionalmente, ci richiede di essere?
E, volendo entrare nella dimensione rapportuale, capita che gli altri ci vedano come non ci piace essere classificati?
Ma, cosa più importante di tutte, ci sta bene che così sia?
Le mie risposte:
No, assolutissimamente e definitivamentissimamente no.
Meno di quanto potrei essere... ma bastevolmente in linea.
Di frequente. un po' a causa delle mie stesse scelte, un po' perché la gente parla senza conoscere.
Certo che no, ma invece di lamentarmi per questo, cerco di ritagliarmi un'identità sempre più forte e definita... o almeno ci provo!

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