Magazine Cinema
di John Luessenhop
con Alexandra Daddario
Usa 2123
durata, 92
Quando vediamo Jed Sawyer bruciare nel fuoco appiccato dallo sceriffo Hooper e dai suoi accoliti non crediamo neanche per un momento di esserci sbarazzati di lui. D'altronde Jed detto "Leatherface" insieme a pochi altri - ricordiamo il Michael di "Hallowen - la notte delle streghe", 1978 ed il Jason Voorhees di "Venerdi 13", 1980 - rappresenta una delle icone del new horror anni 70, capace di esorcizzare nel volto deformato e coperto da una maschera di cuoio, e nell'efferatezza di una violenza tanto crudele quanto insensata le paure di una nazione scossa dagli orrori di una guerra (Vietnam) che la copertura mediatica strappa per la prima volta dall'oblio del fronte per riversarla nei salotti delle case, e poi dallo scandalo Watergate che portò alle dimissioni del Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon: reminescenze che il tempo ha ridotto ad uno stato larvale, tramandando di quel fenomeno soprattutto le caratteristiche iconografiche, decisive per la nascita di un brand arrivato fino qui con ben sette clonazioni al suo attivo, ed oggi di nuovo sugli scudi con l'uscita nelle sale di "Non aprire quella porta 3D", firmato da John Luessenhop, passato alle cronache per aver diretto Matt Dillon in "Takers" (2010).
Le ragioni ufficiali di questa nuova puntata si concentrano soprattutto nel personaggio di Heather Miller (Alexandra Daddario), a cui la storia concede una parentela con i Sawyer, e grazie a quella, l'eredità della villa di famiglia che la nonna a sua insaputa le ha lasciato prima di passare a miglior vita. Per questo motivo insieme a tre amici Heather raggiunge Newt, la cittadina rurale che anni prima vide scatenarsi la furia omicida dei Sawyer. Ignara dei delittuosi trascorsi, ne farà conoscenza grazie alle imprese del letale cugino, Leatherface, che armato di motosega irrompe sulla scena con la volontà di dare sfogo alle sua smania omicida.
Con la scusa del 3D Luessenhop torna sul luogo del delitto con una storia "slasher" che vorrebbe essere il sequel della prima versione, girata da Tobe Hopper nel 1974, ma che poi nei fatti assomiglia ad un remake, non solo per lo sviluppo dell'intreccio che, a parte la variante costituita dal legame di sangue tra Heather e Leatherface, ricalca l'antico canovaccio, con l'accumulo di cadaveri serviti in salsa splatter, gli ambienti ancora una volta risolti nella distanza che separa la casa in cui si svolge la mattanza, dal mattatoio dove i Sawyer usavano squartare le vittime per poi mangiarsele, e poi con situazioni pressoché identiche come quella dell'incipit del viaggio, anche questa volta alterato nella formazione originale dei partecipanti dall'improvvisa comparsa dell'autostoppista a cui viene dato un passaggio, per non dire degli ammazzamenti, architettati con la solita dovizia di particolari. Somiglianze che riguardano anche il piano estetico per l'utilizzo di una fotografia fatta di luci contrastate e colori accesi, con la regia a replicare quel gusto per l'essenzialità che ben si sposava all'ideologia redneck che fa da sfondo alla saga, con le psicologie dei personaggi azzerate in un provincialismo puritano e bigotto. Senza svelare la sorpresa finale, che c'è, ed in qualche modo ribalta il punto di vista iniziale, bisogna dire che pur con i suoi limiti questa nuova versione di "Non aprite quella porta" costruita su un tipo di horror più mostrato che suggerito scorre via senza intoppi e si guadagna alla fine le simpatie del pubblico più attempato, chiamato all'operazione nostalgia dal sapore retrò di ciò che andrà a vedere. Il 3D come al solito incide solamente sul portafoglio dei paganti.
(pubblicata su ondacinema.it)
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