Magazine Economia
di Paolo Cardenà
Nelle ultime settimane, ma soprattutto nelle ultime sedute borsistiche, abbiamo assistito a comportamenti euforici che hanno determinato ottime performance dei listini azionari, dei titoli di stato e il calo vigoroso dello spread. Tutto questo, grazie alla morfina somministrata al paziente malato da parte BCE che, con armi non convenzionali, ha immesso sul sistema l'imponente cifra di mille miliardi di euro. Una cifra da capogiro che ha suscitato non poche polemiche, soprattutto in merito
all'utilizzo che le banche ne stanno facendo.
Ma anche questa volta, al di la dello shock indotto sui mercati da questa pioggia di miliardi, servita solo a comprare ulteriore tempo e a dare materia agli speculatori su cui leccarsi le dita speculando con il nostro debito pubblico in costante ascesa, ritengo sia prudenziale verificare qualche dinamica economica che ci rappresenta, in maniera più veritiera e convincente, lo stato della nostra economia che, ricordo, oltre a subire il danno di una pressione fiscale oltre il 45% e ai limiti dell'esproprio, subisce anche la beffa di un'inflazione che erode il potere di acquisto degli stipendi (per chi ce l'ha) delle famiglie italiane. Eventi, questi, che si uniscono alla drammaticità di una recessione che, stando ai dati che giungono, sembra essere tutt'altro che morbida contrariamente alle previsioni governative.
Un quadro, quello appena descritto, estremamente complesso e potenzialmente distruttivo per il nostro Paese poiché caratterizzato da dinamiche che, per diverse ragioni e in diverse misure, contribuiscono all'impoverimento generalizzato di un Paese che, per oltre un decennio, ricordiamo, ha manifestato un'incapacità cronica di crescere in maniera adeguata, in sintonia con i propri bisogni e al passo con gli altri paesi europei generando forti squilibri (vedi bilancia commerciale ecc), anch'essi, causa di questa crisi.
L'esplosione della crisi del debito che si è manifesta dall'estate scorsa e che ha portato il paese sul punto del non ritorno, ha stimolato i governi che si sono succeduti nel periodo, dal Governo Berlusconi fino ad arrivare all'attuale Governo Monti a perseguire, con inaudita miopia, politiche di rigore nella gestione dei conti pubblici, sostanzialmente, solo attraverso l'inasprimento della pressione fiscale finalizzato a realizzare, costi quel che costi, il pareggio di bilancio nel 2013 poiché, incautamente, ritenuto elemento idoneo a scongiurare il contagio dalla crisi dei debiti sovrani dei paesi dell'area mediterranea. Le logiche osservate dai governi, orfane di contestuali e adeguate politiche di bilancio a sostegno dello sviluppo e dell'impossibilità di praticare svalutazione valutarie finalizzate ad aumentare la competitività del sistema Italia, hanno avuto come naturale conseguenza una riduzione dell'attività economica e quindi una diminuzione delle disponibilità di spesa sia delle famiglie che dell'imprese, e il contestuale aumento dei prezzi per effetto della necessità delle imprese di recuperare, in qualche modo, la redditività compressa da diversi fattori, tra i quali: la contrazione dei business di riferimento, l'inasprimento fiscale, l'aumento del costo delle materie prime e dei costi energetici e l'aumento degli oneri finanziari. Fattori, questi, che stanno impattando sulla già timida competitività delle imprese, alimentando un circolo vizioso di estremo pericolo poiché idoneo a produrre, in assenza di politiche di rilancio e di crescita economica, un avvitamento potenzialmente distruttivo e l'autodeterminarsi di ulteriori contrazioni. Intanto, ieri, il Presidente della Banca Centrale Europea, a testimonianza di quanto sopra espresso, ci ha detto che le stime di crescita per l'eurozona sono state riviste al ribasso, mentre, non ha dimenticato di ricordarci che i livelli di disoccupazione sono destinati ad aumentare, così come i fenomeni inflattivi connessi, tra l'altro, all'aumento della pressione fiscale . Al di là dei toni propagandistici usati dal Governo per il vigoroso abbattimento dello spread sul Bund, che si uniscono ad altrettanta euforia espressa dai parlamentari, veri analfabeti economici, ciò che è importante rilevare, è che, forse, stanno vincendo la battaglia con lo spread sui tedeschi, ma stanno perdendo la guerra con lo spread sul tessuto sociale del paese, che si sta drammaticamente ampliando, giorno dopo giorno. Anche questo è default.
Concludo, proponendovi un discorso veramente illuminante pronunciato da Bob Kennedy il 18 marzo del 1968 all'università del Kansas, dove si evidenzia l'inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate. source
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