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Non è il messia (ma un monello viziatello)

Creato il 22 giugno 2010 da Massmedili

Non è il messia (ma un monello viziatello)Dunque: si prenda il più famoso gruppo comico degli anni 70 (meno due membri: uno perché è morto, l’altro perché assente ingiustificato) in procinto di festeggiare il quarantennale di attività, il maggior teatro lirico della capitale britannica (la Royal Albert Hall), un pesantissimo e potentissimo oratorio di Haendel, il Messia, quattro cantanti lirici di serie A (e la soprano è pure mica male!), shakerate il tutto….

…e rimanete senza parole. Perché dopo due ore di spettacolo non ero ancora in grado di capire bene se la cosa mi piaceva o mi faceva schifo. 

Il sospetto è che quando sarò riuscito a digerire questa specie di doppio babà guarnito di uova sode ricoperte di cioccolata, doppia glassa, panna a strafottere e un paio di badilate di zabaione tanto per gradire, probabilmente non potrò che riconoscere che il tutto è anche molto buono, ma forse un tantinello troppo ricco per il mio palato.

Prendendola da un altro lato, per un italiano involontariamente assuefatto alla tv trash di Berlusconi, ai cinepanettoni, alla sedicente comicità di Boldi, De Sica e compagnia cantante in attesa che qualche intellettuale organico (e a corto di contanti) rivaluti tutto questo come già fu di Sordi, Totò e Franchi/Ingrassia (il prossimo in odore di santità è Lino Banfi) e per di più nei giorni in cui ci stanno cercando di rivendere Sabrina Salerno come una fine intellettuale… Bé, vedere la professionalità con cui gli inglesi trattano le loro cazzate è veramente sconfortante.

Perché è verissimo che le battute sono stranote (trattasi di una riduzione teatrale del film Brian di Nazateth, in originale The Life of Brian, 1979) dei Monty Python  ideato e composto da Eric Idle (uno dei Python originali) e da John Du Prez , da sempre compositore delle musiche dei Python e accidentalmente direttore della BBC Orchestra: l’opera è stata pensata e realizzata nella casa francese di Du Prez che si trova nel villaggio di Condom (preservativo) come sta scritto più o meno dovunque sulla custodia del Dvd.

A questa abnorme cazzata hanno partecipato non solo 4 su 6 dei Python originali (mancavano ovviamente Graham Chapman, assente giustificato in quanto defunto nel 1989, e, assente ingiustificato, il più noto di tutti John Cleese), ovvero Idle, Michael Palin, Terry Jones e Terry Gilliam, per una volta in vacanza dal suo ruolo di regista di culto, ma anche 250 fra orchestrali e membri del coro. In più un tenore (William Ferguson), una mezzo soprano (Rosalind Plowright), un baritono (Christopher Purves) e una soprano, la canadese Shannon Mercer, che compariva già nella messa in scena originale dell’opera (avvenuta a Toronto nel 2007). Come ho già accennato la Mercer è anche molto sexy per essere una cantante d’opera. 

Ora, non è solo che i quattro cantanti appaiono perfettamente a loro agio nel repertorio demenziale del Python, ma anche il fatto che malgrado la serata fosse “dannatamente cara” per ammissione dello stesso Idle (60 sterline minimo per assistere) la Albert Hall era stracolma e di un pubblico ultra partecipe che sapeva a memoria tutte le vecchie canzoni, interpretate da orchestra, cantanti e coro con il piglio di una partituira classica.

Insomma, la capacità dei nordici di prendersi sul serio con ironia è straordinaria, a confronto i nostri comici sembrano solo dei guitti sfiatati (che lo siano? il dubbio non è peregrino). E in un momento in cui da noi la cultura piange la perdita di fondi e di qualsiasi seria possibilità di produrre e sperimentare cose nuove, una produzione così esageratamente faraonica non è solo uno schiaffo alla miseria, ma un pestaggio in piena regola…

L’imitazione di Bob Dylan fatta da Idle è già su You Tube in tutte le salse. Il finale dell’oratorio con la sconcertante Always Look on the Bright Side of Life, la canzone più famosa mai scritta dai Python, è quasi incomprensibile se non si sa che nel film originale lo stupido motivetto fischiettato accompagnava una scena di crocifissione di massa. In altre parole di fronte alla morte la reazione dei Python era “su, basta un pizzico di ottimismo…”. Da far sentire obbligatoriamente mille volte a qualche premier europeo basso di statura e cattivo di carattere a caso. Non a caso, invece, le cover della canzone (che dal 1979 è la terza melodia più richiesta per le funzioni funebri nel mondo anglosassone) si contano a stento: da quella di George Harrison dei Beatles passando per Harry Nillson, Art Garfunkel, gli AC/DC in versione metal per arrivare alla più recente dei Green Day…  Il dramma è che se capisci un po’ cosa dicono (ci sono i sottotitoli per i non capenti) dopo un po’ cominci a ghignare, anche se il film lo conosci già e hanno tagliato giusto un paio delle gag migliori.

Conclusione: il baroque n’roll dei vecchi, vecchissimi, un po’ senescenti Python funziona ancora. Per i fan sfegatati la certezza che anche l’altro musical tratto da un loro vecchio film, Spamalot, tratto da “I Monty Python e il Sacro Graal” presto arriverà in DVD. Non è una promessa, è una minaccia.

E finché un paese come l’Inghilterra riuscirà ad attirare 12 mila persone a 60 sterline l’una a cantare tutte in coro la canzone del taglialegna travestito con tanta foga e convinzione, coro e orchestra compresi più otto suonatori scozzesi di cornamusa, mettiamoci il cuore in pace: noi italici non riusciremo mai a batterli. Sono troppo pazzi e imprevedibili.

Conclusione: da noi qualche vecchio guitto riesce anche a vincere il Nobel (un Dario Fo a caso) ma nessuno mette in scena le sue opere, da loro rischia l’oscar e anche i sasssi conoscono le battute.

Più che un pensierino c’è da fare il valigino…


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