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Non solo Aironi: un tour mondiale nella crisi

Creato il 11 aprile 2012 da Rightrugby
Non solo Aironi: un tour mondiale nella crisi Ieri abbiamo provato a raccontare come la crisi fatale degli Aironi nasca da problemi finanziari. Su di esso s'innesta, come abbiamo provato a chiarire ieri, il pensiero debole figlio dell'allergia alle regole in primis da chi le dovrebbe fare, quel milieu burocratico-magistrale tipico della Magna Grecia cui siamo culturalmente asserviti, che si getta sui problemi e li ingarbuglia con l'enorme spreco di intelligenza tipico di un popolo di sofisti, allontanando le soluzioni lineari e pratiche. E da questione finanziaria, di schei, va in vacca mutandosi in politica livoroso-campanilistica.
Partecipano anche i flagellanti stile "son cose che succedono solo da noi"; a questi va ricordato che la crisi economica non sta impattando solo la franchigia rivierasca o la miriade di club sportivi italiani che stanno chiudendo i battenti e non solo nel rugby (drammatica ad esempio dopo il basket è la situazione di sboom della pallavolo). Ci sono casi di insolvenza finanziaria recente, imminente o attuale, in giro per tutti i Sette Mari del rugby.
Proviamo allora a fare il "tour dei debiti" attraverso alcuni casi eclatanti del rugby  Pro in giro per il Mondo, per comparare e capire.
- Laissez faire, laissez passer: i casi dei club francesi e inglesi
Saltiamo per ora i casi irlandesi, quello scottante gallese (par quasi "fuga da Alcatraz") e quello "maturo" scozzese. Partiamo dal lontanissimo Iperuranio - in realtà appena di là d'Alpe e connesso con EuroTunnel -  dove chi vuol crescere ed affermarsi può investire e se  fa le cose per bene, avrà un ritorno. Basta rispettare precise regole ben note (mentre da noi invece vigono  gli "insindacabili giudizi" a posteriori).
In Francia i club del Top14 e ProD2 sono iscritti alla Lega Pro, la LNR titolare dei campionati. Mentre la Federazione FFR pensa ai casi suoi  - nazionale, crescita del movimento, stadio di proprietà - gli organi di sorveglianza della Lega fanno  il loro dovere in modo occhiuto e preventivo, ma con attenzione al caso per caso.
Così un paio di anni fa, Montauban pur salvatasi sul campo nel Top14, venne declassata senza colpo ferire e senza tante agitazioni tra i Semipro, per assenza delle garanzie finanziarie minime. A fianco dell'intransigenza c'è anche la capacità di valutazione del business: l'anno scorso tenne banco il caso Stade Francais, trovatasi a terra vittima di uno schema truffaldino in cui era caduta al dirigenza Guazzini-Laporte. Per fortuna di Sergio Parisse e compagni, l'Ente di controllo finanziario della Lega chiuse un occhio per una settimana più del dovuto e fu saggia decisione: ciò consentì il takeover della società da parte di un Gruppo di finanziatori francesi che ha salvato e rilanciato il club parigino. Quest'anno la retrocessione la rischiano club finanziariamente solidi e apparentemente sani come Bayonne e Lyon, buona fortuna.
Un quadro normativo preciso, in cui incanalare e controllare le iniziative private, ma anche uomini in grado di interpretarle: perché nessuno si faccia male. Nemmeno la Federazione, che rappresenta l'interesse collettivo e non deve rimetterci o distrarsi rispetto a progetti enormi di carattere nazionale, come quello del nuovo super stadio nazionale.
In Inghilterra, l'altro ambito dove l'iniziativa privata e locale nel rugby trova spazio, riportiamo il caso dei Cornish Pirates, club storico di Championship (la Serie A semipro inglese): non trovando risorse aggiuntive nonostante i successi sul campo, l'anno scorso una volta arrivati alle semifinali, annunciarono che avrebbero rinunciato al salto in Premiership anche nel caso di guadagno della promozione (cosa che peraltro non avvenne, passò Worcester). Anche qui come in Francia, regole e numeri precisi con cui confrontarsi e prendere decisioni, rispetto alla melassa indistinta in cui prosperano i "garanti" locali alla Cesare Guerzoni, il vicepresidente Fir dimissionario da Viadana che dichiara senza vergogna di "aver speso due anni ad allineare gli Aironi con le necessità della Fir".
L'altro caso di questi giorni è quello dei London Wasps: club di prestigio assoluto, si trova in crisi di proprietà (il "padrone" è in arresto, accusato di truffe su internet), ma il problema è rappresentato dal ritiro del sostegno economico da parte del Distretto di Wycombe dove hanno casa, che ha anche affossato il progetto di un nuovo stadio. Senza di esso, le finanze non reggono.
I Sale Sharks al contrario si salvano, proprio annunciando lo spostamento dalla prossima stagione in un nuovo, più grande stadio, in comproprietà con il Salford di Rugby League. Più incassi, più cash, più investitori, miglior team: la spirale virtuosa. La stessa soluzione cercano i Saracens, che comunque sono ben messi grazie alle remunerative incursioni da 80.000 spettatori nei grandi stadi di Wembley e Twickenham. Facile capire: sono imprese economiche quanto McDonald o Apple: dare e avere, bilanci e preventivi, punto e fine della discussione.
Tanto che alcune delle "imprese" di maggior successo dell'ambiente - Saints, Tigers - si lagnano del tetto alla crescita del loro "reparto produzione" rappresentato dal salary cap, o meglio contestano il suo basso livello, inadeguato per competere coi budget a disposizione dei club francesi e irlandesi, che il delicato equilibrio tra grandi e piccoli club impedisce di modificare in modo significativo. Han ragione:  con buona pace delle anime belle, lo sport in era Pro si vince prima di tutto in cassa; di conseguenza arrivano ambizioni, campioni, movimento, mentalità vincente etc.etc.
Tornando ai Wasps, hanno lanciato un appello urgente al farsi avanti di potenziali finanziatori interessati. L'asset sul piatto c'è uno dei brand più noti nel mondo dello sport, ma gli attuali proprietari erano arrivati a fissare per il club il prezzo di una sterlina, con l'accollo di tutti i debiti. Se il finanziatore non arriva entro l'estate, qualcuno piangerà ma nessuno dirà che è tutta colpa del vicino di casa o dell'invasione delle cavallette e che ci vuole il rugby nelle Grandi Città.
Go South: il caso dei Golden Lions
Nei rutilanti Paesi Emergenti, il problema delle regole e dei comportamenti disinvolti è sempre in agguato. A inizio di quest'anno s'è parlato di fallimento Union sudafricana della Gauteng Region basata a Johannesburg, quella che forma la squadra provinciale dei Golden Lions, a sua volta main partner della franchigia di SuperRugby dei Lions. Un colpo destinato a rinvigorire i claim di un'altra franchigia sostenuta da altre Union Provinciali, i Southern Kings, di prender parte al SuperRugby al posto di. In sostanza, pare che a un potenziale partner finanziario, il gruppo Guma Tac, la Union avesse richiesto in via preventiva un prestito di garanzia, una sorta di caparra confirmatoria. Al fallimento delle trattative per entrare in società, il gruppo ha chiesto la restituzione del prestito, ma la Union li aveva già spesi, pare per pagare gli stipendi. Un classico caso di Articolo Quinto, chi ha i soldi in mano ha vinto. Al che i titolari della Guma Tac lo scorso gennaio han presentato istanza di fallimento della Union. I Golden Lions per bocca del presidente Kevin De Klerc dicono che quei mancati partner dovranno provare le loro pretese in tribunale e al riguardo loro si sentono tranquilli.  Nel frattempo l'istanza è presentata e gli avvoltoi volteggiano ... Qui la presenza delle Union confonde le prospettive: si tratta di enti di diritto privato e non "mini-federazioni" pubbliche, come fossero dei club. Tant'è che la Federazione nazionale Saru non entra nel merito,  almeno per ora.
Go further South: Otago
131 anni di storia non mettono al riparo dalle crisi, così come l'esser attiva nello sport nazionale: la Union neozelandese ORFU di Otago (distinta dalla franchigia di SuperRugby degli Highlanders cui fa riferimento) ha portato a inizio anno i libri in tribunale, per un buco di bilancio da 3,25 milioni di dollari neozelandesi (pari a circa 2 milioni di euro: ricorda qualche altro caso?). La federazione NZRU è pervasiva come la Fir da noi, quindi l'esempio è calzante. Per bocca del presidente Steve Tew, la Federazione l'ha messa giù da subito dura ma chiara: niente  sostegno federale alla Union, in assenza di un piano sostenibile nel medio periodo. Fu stabilita una deadline per un piano di salvataggio ai primi di marzo, spostata poi a fronte di qualche sviluppo a metà mese.
Il 16 marzo scoso all'ultimo minuto han trovato la soluzione: in buona sostanza, han fatto fare due righe di conti alla città di Dunedin, che ha speso 200 milioni di dollari per rimpiazzare la mitica House of Pain col nuovo Forsyth Barr Stadium (quella roba chiusa in cui ha giocato anche l'Italia ai Mondiali): è emerso un costo di 4 milioni di dollari l'anno in oneri aggiuntivi, se mancasse un club di rugby professionistico che utilizzi lo stadio su base regolare. Giocoforza per l'Ente pubblico entrare nell'equazione, accollandosi assieme a una banca debiti sociali per 500.00 dollari; a quel punto la Federazione neozelandese ha prestato 500.00 dollari alla ORFU e ne ha cancellato debiti pregressi per altri 270.000. In cambio, ha ottenuto le dimissioni di tutta la dirigenza di Otago e l'impegno a tagliare il prossimo budget di 290.000 dollari. Tew ha dichiarato che non ci sono salti di gioia per il salvataggio (molto pubblico), trattandosi di un brutto un precedente per le altre 13 Union: "There is now some confidence in a long-term sustainable plan....  we've still got the Otago union in operation".
Insomma, la crisi morde ovunque non solo da noi, ci sono risposte variegate, alcune buone altre meno ma in generale prevale la chiarezza: se son problemi di soldi si risolvano coi soldi, altrimenti pace.
Sulla falsariga della Settimana Enigmistica: notate le differenze con la Fir? Solo per solutori più che abili. Un aiutino: nel caso di Otago, Tew ha detto che ora in cambio del prestito federale, vuole vedere i migliori amministratori nel nuovo consiglio della ORFU. Non ha parlato di staff tecnici gratuiti ...

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