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Nostalgia di una vecchia utopia

Creato il 18 ottobre 2010 da Massmedili

For the Ghosts WithinSi può vivere di nostalgia? Rimanere affascinati da vecchi suoni che vanno “in direzione ostinata e contraria” malgrado le altre strade che ha preso la storia? Ha ancora senso e fascino l’utopia?

Bene, se c’è di mezzo quel vecchio folletto a rotelle di Robert (Bob) Wyatt, già batterista e cantante dei primi e dei secondi Soft Machine (lui cantava Moon in June su Third, 1969), animatore dei Matching Mole, paraplegico, 65 anni suonati, ancora arrabbiato marxista quanto può esserlo un anarchico libertario inglese bastian contrario fino alla testardaggine, allora sì.

Nella sua ultima fatica …for the ghosts within’ si intruppa con il jazzista israeliano eretico Gilad Atzmon (dichiaratamente antisionista, accusato di antisemitismo dopo aver più volte paragonato Israele alla Germania nazista) polistrumentista (clarini, sassofoni, fisarmonica) e con la violinista Ros Stephen, nota per essere la miglior interprete inglese di tango argentino oltre che a capo del Sigamos String Quartet, specializzato in jazz e musica contemporanea un po’ su esempio degli ensemble alla Kronos Quartet e Balanescu ensemble. Un bassista acustico completa lo schieramento. 

Il disco, uscito come opera di Wyatt/Atzmon/Stephen,  è godibile, bizzarro, francamente inutile ma piacevole: Wyatt canta qualche vecchio standard (Laura, Lush Life, What’s New – in stile giustappunto di tango -  In a Sentimental Mood di Duke Ellington in versione più mediorientale di Caravan- sembra Spunta ‘a luna a Marechiaro -, perfino la sdolcinatissima What a Wonderful World di Louis Armstrong, definita dal critico dell’ Evening Standard “pura saccarina per le orecchie”), un altro lo fischietta (Round Midnight di Thelonius Monk): dove serve ci mette anche la tromba, più stile Canterbury (fanfara psichedelica) che Miles Davis. Una passeggiata per il tizio che in passato è riuscito a fare un godibilissimo mantra de L’internazionale  e adirittura a infondere notazioni romantiche in Bandiera Rossa.

Bob non riesce però a mantenere per tutto l’album alta la lancia della sua bizzarria e della sua voce inconfondibile: sulla title track The Ghosts Within passa la mano alla moglie di Gilad, Tali Atzmon, indubbiamente efficace ma non altrettanto indimenticabile. Fra i violini tangheggianti e i fiati alla Steve Lacy di Atzmon molte le sonorità World, che in altri contesti potrebbero sembrare vezzi inutili, qui invece sembrano trovare un ambito quasi naturale. Qualche sprazzo di kabaret alla Brecht-Weill in salsa fortemente britannica completa il quadro.

Insomma, meglio ripercorrere la storia e ricercare i capolavori di Wyatt anni ‘70 (End of an Ear, Ruth is Stranger than Richard) che ascoltare quello che fa oggi?

Non ho detto questo: qualche brividone lungo la schiena arriva ancora: i due minuti due di At Last I’M Free giustificano tutto quanto con applauso a scena aperta.

Con la piccola considerazione aggiuntiva che un personaggio come Wyatt, che pure adora l’Italia dove è di casa da almeno 40 anni, in Italia non potrebbe mai esistere: verrebbe divorato da inutili polemiche su quello che è e quello che fa. E probabilmente non potrebbe farlo.

Dunque viva il Regno Unito e la sua tolleranza, che ci regalano una bizzarria sonora così amabilmente fuori fase, pura nostalgia di anni perduti e di un favoloso futuro che ormai abbiamo alle spalle.


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