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“Note a margine di 10 modi per imparare a essere poveri ma felici”. Ivano Porpora su La nottola di Minerva

Creato il 18 settembre 2012 da Andreapomella

Una recensione di Ivano Porpora a “10 modi per imparare a essere poveri ma felici” pubblicata su La nottola di Minerva della quale vado molto fiero. Qui il link all’articolo originale.

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Lo dirò nel modo più brutale che mi viene: da persona un tempo asservita a enumerazioni e liste – dai tempi dei motivi per cui valga la pena vivere di Cuore, per intenderci – detesto ormai qualsiasi forma di vertigine da lista e, quindi, normalmente evito ogni forma di lista mi venga sottoposta. Anche perché le liste mi danno, all’interno di quella stessa vertigine, una sorta di sensazione di esclusione, la certezza che all’interno di quella classificazione si celi un ornitorinco – e se un ornitorinco che falsifichi la classificazione non lo trovo, allora vuol dire che quell’ornitorinco, immancabilmente, sono io.

Detto questo, la collana Dieci! di Laurana Editore è una collana davvero ben fatta. Vuoi perché Laurana Editore è una gran bella casa editrice (e basta scorrerne i titoli della collana Rimmel per intenderlo); vuoi perché i titoli che son stati scelti, in primis quello di cui parlo, sono titoli che mi paiono cercare di innestare un problema o innestarsi su un problema, e non tanto meditare sull’idea del risolverlo.

Ne ho avuto la certezza quando qualche giorno fa, a Modena, Zygmunt Bauman ha dichiarato come (cito a memoria) “la catastrofe verso cui ci stiamo dirigendo, e che dobbiamo assolutamente evitare, consiste nel volgerci dal consumismo delle merci al consumismo delle persone. Questa forma di cernita, selezione e scarto – che già si applica in alcuni settori del nostro vivere contemporaneo – ci può far sentire autorizzati a tutto; l’unico modo che abbiamo per salvarci è responsabilizzarci di tutto, fare come se tutto fosse nostra responsabilità”.

Dieci giorni prima, ancora, a Casalmaggiore – in occasione della prima Ecofiera – Pietro Raitano di Altroconsumo citava Majid Rahnema nel suo Quando la povertà diventa miseria (Einaudi ed.) per segnalare il distacco, profondo, che si cela tra la nozione di povertà e quella, appunto, di miseria – e di quanto l’ignoranza di questo distacco porti a incredibili incongruenze di comportamento, oggi.

Infine. Nel libro di Janina Bauman Inverno nel mattino l’autrice – moglie del sociologo citato poc’anzi – si interroga su un punto fondamentale del genere umano, o, mi viene da dire, dell’essenza umana: qual è il momento in cui la miseria causa la perdita di umanità? Quando l’estrema privazione, l’estrema spoliazione (il libro ricorda la reclusione dell’autrice nel ghetto di Varsavia) diventano leve per l’ultima spoliazione – quella della dignità?

Bene. Tutti questi temi sono trattati, in un modo che sa di meditazione più che di insegnamento, nell’ottimo libro di Andrea Pomella “10 modi per imparare a essere poveri ma felici”. E, come nella meditazione, più che approfondire i pensieri abbiamo avuto la sensazione di entrare nei pensieri, di camminarli, quei pensieri, lungo le 130 pagine più o meno del percorso.

La prima domanda che ci si pone, in merito all’oggetto-libro, è “Era utile, questo libro? La sua presenza, cioè, significa?”. La risposta è, a mio modo di vedere, positiva. E lo è perché mi pare in atto una forma di deprezzamento valoriale del significato delle parole – deprezzamento su cui si gioca nel momento in cui, nel titolo, quel ma contrappone l’essere poveri – condizione di vita oltreché economica – e l’essere felici. L’autore, che si dice cristiano come tutti gli italiani – ossia: cristiano fin quando ha dovuto assolvere i compiti di battesimo-comunione-cresima, per dire, ma senza una scelta della cristianità come, perdonatemi la ripetizione, scelta – rileva come anche nella religione cristiana un punto di fulcro si rilevi nel momento in cui il Cristo si dichiara fattosi povero – cioè con un’azione, con un passaggio e, diremmo, con una decisione. Una de-cisione che peraltro si impone anche a coloro che entrano nel mondo della ricchezza e ne fuoriescono volontariamente – che non significa che abdichino a parte del loro capitale, quanto che vengano in qualche modo a scegliere di espellersi da un meccanismo che cercava di includerli. L’amico dell’autore che compra casa in un centro commerciale perché è tutto lì, così come il proprietario dell’agenzia immobiliare che mi spiegava Non vendiamo case ma sensazioni, giocano allo stesso gioco, vivono sullo stesso piano: aromatizzano il denaro, lo fanno diventare sensazione, e poi si accorgono che la sensazione in qualche modo sa di denaro. E allora l’amico vende la casa; il proprietario dell’agenzia immobiliare (di sicuro meno fortunato, di certo meno intelligente) annuncia orgoglioso “Ho rinunciato a tutto, mia moglie mi ha lasciato anche, per il mio lavoro. E dovresti farlo anche tu”.

Il libro tratta di questo e altro. E mi pare che un messaggio che lo stesso autore vuole in qualche modo veicolare sia Occhio che non è tutta qui. Non ho finito qui. Ma qui ho poggiato i piedi anche io, qui sono stato povero anche io. E questo è importante che lo dica. Appunto.

Una nota su cui discordo. “Oggi i poveri che popolano le società evolute sanno di non avere gli stessi diritti dei non poveri”. Su questa frase mi sono soffermato perché mi ha dato un senso di inesattezza. Il problema non è tanto nel fatto che sappiano una cosa che un tempo non era e che oggi è – in fin dei conti mi risulta che ai poveri nel Medioevo fosse impedito di godere di qualsiasi cibo non provenisse dalla terra, fossero uccellagione, cacciagione o pesci. Non è la questione del diritto che qui viene toccata, perché al povero, al non abbiente il diritto è sempre stato negato, quanto quella della colpa: in una società cui – nel bene e nel male – ci siamo conformati, quella che mi viene il disgusto chiamare occidentale e che preferisco invece chiamare protostatunitense – ossia modellata sull’American Dream -, la società in cui se vuoi puoi, il non-potere diventa, in automatico, segno che non si è voluto o non se ne sono avute le capacità.

Cioè: se sei povero, in fin dei conti, è colpa tua. Da lì poi si spiega perché io non devo aiutarti: se sei povero te la sei cercata e, quindi, io non ti devo nulla.

Non è un caso se proprio le società nelle quali si è affermato un modello liberista sono quelle in cui il concetto di carità e quello di ospitalità sono andati scemando.

Concludo dicendo che una serie di considerazioni che mi hanno interessato, e divertito molto, riguardano le favole di Pinocchio – in particolare l’episodio del Campo dei miracoli – e quella di Abdallah di Terra e Abdallah di Mare, tratta dalle Mille e una notte.

Qui, però, rimando al lettore l’onere della lettura, e il suo gusto.

IVANO PORPORA


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