Mai come negli anni Ottanta Londra è stata l’ombelico del mondo. Soprattutto quando si parla di nuove tendenze. E anche se la mia dolce metà inorridisce solo al sentirmelo dire, avrei voluto esserci. O almeno passarci. Erano gli anni in cui David Bowie regnava sovrano – gli anni post Ziggy Stardust e Aladdin Sane, quando personaggi come Boy George e i fratelli Martin e Gary Kemp investiti dal ciclone Bowie, fondano rispettivamente i Culture Club e gli Spandau Ballet. Erano gli anni di Adam Ant e del suo costume da pirata e di George Michael con le T-shirtst di Katharine Hamnett con scritte provocatorie contro il regime della Thatcher…
T-shirt designed by Katherine Hamnett in 1984. Photograph: Mike Kitcatt/Victoria and Albert Museum, London
Ma sono stati anche gli anni in cui mai come prima moda e musica sono andate di pari passo. E visto che ho vissuto tutto questo solo da lontano, ora non mi resta altro che divertirmi con programmi televisivi come quello di iei sera su ITV o con mostre come quella che l’anno scorso ha deliziato il pubblico (e lo staff) del Victoria and Albert Museum.Parlo di Club to Catwalk (2014) il cui tema era la moda a Londra negli anni Ottanta, quando una nuova generazione di stilisti e designers come Betty Jackson, Katharine Hamnett, John Galliano, Jasper Conran, Vivienne Westwood, Wendy Dagworthy e Stephen Jones influenzati dalla nuova scena musicale dei club (nel senso di night-club) si danno da fare per reiventare la moda stessa – anche se non necessariamente in modo migliore: chi non ricorda con orrore la permanente da barboncino di Kylie Minogue, le maniche a raglan dei maglioni o le “spallone” superimbottite da giocatore di Football Americano delle giacche?
Adam Ant
Più che una mostra, un vero e proprio tuffo nel passato con tanto di colonna sonora video-musicale che, per i nostalgici ex-adolescenti di quel periodo come la sottoscritta, aveva lo stesso effetto di una madeleine di Proust (con tutto il rispetto per il grande francese, ma il paragone rende l’idea) soprattutto quando riportano alla luce dai meandri del dimenticatoio canzoni come questa e questa che rendono impossibile non ballare. Che quelli della mia generazione che per motivi geografici oltre che anagrafici, avevano mancato in un colpo solo la nascita del punk rock (avevo sette anni quando The Clash fecero un concerto a Bologna), non appena raggiunta l’adolescenza cercavano di rifarsi come potevano aggrappandosi disperatamente agli ultimi rigurgiti della New Wave – qualunque cosa fosse (che io all’epoca non l’avevo mica tanto capito…). E la Bologna degli anni Ottanta si ritovò invasa da una folla di adolescenti multicolori che indossavano T-shirts da surfista e il mullet (come si chiamava quel terribile taglio di capelli che ha tormentato gli anni Ottanta) o che, volento essere alternativi, giocavano a fare i misteriosi con il Gothic look (che in Italia si chiamava Dark) ispirato a Robert Smith dei Cure. Questi nuovi “looks” in Inghilterra erano documentati in riviste del settore come The Face e Blitz. E così ebbe inizio una decade contrassegnata da un modo di vestire al limite della teatralità. Una moda era senza limiti, liberata e controcorrente.
- Simon Le Bon. Photo by MAURO CARRARO / Rex Features
Naturalmente, come ogni adolescente che si rispetti, anch’io ero pazza del bellone di turno che, nel mio caso (e non solo nel mio), era Simon le Bon il cantante dei Duran Duran. Sognavo che il miracolo accadesse e lui apparisse all’orizzonte per salvarmi da una vita piatta e grigia fatta di mattinate a scuola e di sabati pomeriggio trascorsi con le amiche da Nannucci 9(quando ancora esisteva quel negoszio di dischi) a spulciare tra dischi che non avrei mai comprato (anche perchè non avevo il giradischi, ma solo un monumentale stereo mangiacassette). Avevo cominciato a studiare ossessivamente l’inglese in caso Simon apparisse al mio orizzonte e in un momento di follia mi ero fatta persino tagliare i capelli come lui con risultati quantomeno disastrosi, che a poarte le pop stars e qualche attore difficilmente il mullett si adattava ai comuni mortali come me che non avevano un filo diretto con il parrucchiere o un conto aperto con una fabbrica di lacca per capelli.
E poi, come sempre accade in questi casi, Simon lo vidi per caso anni dopo proprio a Bologna, intento a firmare autografi all’ingresso del Grand Hotel Baglioni un giorno di Settembre del 1995, quando ormai il mio cuore era tutto preso da Axl Rose e Kurt Kobain. Un solo un attimo di esitazione, un sorrisetto nostalgico sulle labbra prima di proseguire per la mia strada lasciando le nuove fan dei Duran Duran ad accapigliarsi sulle scale senza di me. Che la vita è fatta così: un po’ bastarda.
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