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Notre Dame de Paris: Fu Vera Gloria?

Creato il 07 marzo 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il marzo 7, 2012 | TEATRO | Autore: Andrea Lupo

Notre Dame de Paris: Fu Vera Gloria?842 repliche in dieci anni. 2.500.000 spettatori paganti nelle 38 città che hanno ospitato i diversi tour. Preceduto da numeri stratosferici, torna a Catania per celebrare il suo 10° anniversario l’ormai noto a tutti Notre Dame de Paris, spettacolo musicale scritto da Riccardo Cocciante su libretto di Luc Plamondon (e traduzione italiana di Pasquale Panella) a sua volta ispirato al capolavoro letterario di Victor Hugo. Un trionfo per i teatri italiani (si pensi che il Gran Teatro di Roma è stato costruito solo per ospitare lo spettacolo ed è tutt’ora funzionante) e per il suo autore che è riuscito, almeno qui in Italia e oltralpe, a trascinare giovani e meno giovani in questa moderna e tonitruante Corte dei Miracoli dove, fra zingari acrobati e sinuose gitane, si consuma l’amore disperato di Quasimodo per la bella Esmeralda. Va dato atto a Cocciante di aver costruito uno spettacolo che non concede soste allo spettatore, investendolo sin da subito di melodie accattivanti e ritmiche fragorose, fra muscolose esibizioni acrobatiche dei ballerini e sensuali danze femminili, un’ambiziosa commistione di luci, campane semoventi e impettiti gargoyles in cui il palco pare più il luogo per singole performance da concerto live, che la scena di un teatro.

Notre Dame de Paris: Fu Vera Gloria?

Insomma, ci sono tutti gli ingredienti giusti per farne uno spettacolo destinato a raccogliere consensi. Ma, si badi bene, uno spettacolo musicale e non, come molti vorrebbero definirlo, un musical. La differenza non è da poco. Perché, per chi scrive, l’accostamento di questo tanto celebrato successo italiano e francese ad opere come Cats, Phantom of the Opera o Les Misérables (ma anche ai sicilianissimi Pipino il breve o La baronessa di Carini) non è soltanto incongruo ma svela i limiti del lavoro del cantautore italiano.

Notre Dame de Paris: Fu Vera Gloria?

Notre Dame de Paris sembra l’ambizioso tentativo di essere a tutti i costi musical moderno, che però si dimentica di passare prima di tutto attraverso la classicità dei modelli. Naturalmente con questo non si vuole negare che anche l’Italia possa sacrosantamente dare vita, e promuovere poi, una sua tradizione musical-teatrale più moderna. Tuttavia, se il risultato è generare una serie di epigoni come il francese I dieci comandamenti (insostenibile e pomposo) o prodotti musicalmente retorici come La Divina Commedia o I promessi sposi, allora forse sarebbe meglio, per Cocciante & Co., agire nel solco di autori come Garinei e Giovannini e Tony Cucchiara che ben conoscono la grammatica del musical.

Notre Dame de Paris: Fu Vera Gloria?

Questo Notre Dame de Paris, che migliaia di lacrime sincere ha fatto versare al pubblico italiano, al sottoscritto (che non ha mai smesso di commuoversi di fronte a Memory o The Music of the Night) pare essenzialmente votato ad aggredire i sensi dello spettatore e sedurne, in egual misura, i cuori e le orecchie.

Notre Dame de Paris: Fu Vera Gloria?

Del musical vero gli mancano in primo luogo la struttura (la suddivisione dei brani in rigidi tronconi ricorda più la scaletta degli ospiti su un palco che quella di un’opera di respiro), la drammaturgia di base (gli interpreti sono tutti magnifici cantanti ma, impegnati come sono a sostenere le tonalità alte loro imposte, nessuno sembra partecipare emotivamente alla storia) e l’armonica fusione fra più linguaggi. A quest’ultimo proposito si pensi a come i balletti eseguiti in scena (va detto subito, da performer moderni di ottima scuola) risultano, un po’ slegati dal contesto, più una prova di bravura che una danza motivata ad esprimere o sottolineare la sequenza degli accadimenti o i moti interiori dei personaggi.

Notre Dame de Paris: Fu Vera Gloria?

Nel musical moderno – sia esso orchestrale, rock, progressive o in forma di tarantella – è trasmigrato il medesimo impianto dell’opera lirica in cui la musica connota i singoli personaggi e ne accompagna l’evoluzione modificandosi anch’essa in ulteriori fraseggi. Qui, spiace dirlo, assistiamo invece a una rappresentazione in cui ogni personaggio non fa che riproporre lo stile urlato o basato sulle tipiche iterazioni musicali di Cocciante che privilegia solo i toni alti e rauchi. Non c’è infatti momento dello spettacolo o protagonista che sia di scena che non esprima totalmente la personalità musicale del suo creatore (che va bene per Quasimodo ma non può investire anche tutti gli altri), laddove invece l’abilità di un autore dovrebbe risiedere nello “scomparire” dietro i personaggi, lasciandoli vivere di vita (musicale) propria.

Notre Dame de Paris: Fu Vera Gloria?

Una lezione che Andrew Lloyd Webber ha compreso perfettamente e che è rintracciabile anche nel cartoon della Disney dove Alan Menken è riuscito a costruire melodie memorabili (basti pensare alla festa dei folli corale di “Topsy Turvy” o l’infernale “Hellfire” di Frollo). Nonostante quanto detto sopra sull’impostazione dell’opera, restano alcune buone parentesi melodiche, frutto del mestiere di Cocciante, che dimostra comunque di essere un artista dotato di professionalità, anche perché capace di rendere ogni sua canzone un gradevole compromesso fra esigenze timbriche e gusto per la melodia.

Notre Dame de Paris: Fu Vera Gloria?

Tuttavia, ad avviso di chi scrive, l’originale versione francese riesce a rendere assai più delicate e toccanti le stesse melodie rispetto alla trasposizione italiana. Insomma, ci troviamo di fronte ad uno spettacolo che, a distanza di dieci anni dal suo debutto, si fa almeno apprezzare per l’effetto: una ritrovata familiarità del pubblico col genere.

Notre Dame de Paris: Fu Vera Gloria?

Anche se, dato che ci sono voluti trent’anni prima di poter apprezzare la versione italiana di Cats (grazie all’ottima Compagnia della Rancia), ci chiediamo quanto ancora dovremo aspettare prima di vedere Il fantasma dell’Opera, Les misérables o Miss Saigon, opere di ben altro spessore. Ci auguriamo che il geniale David Zard, che ha sdoganato tanto rock in Italia, raccolga lui la nuova sfida di portare finalmente nel nostro paese questi capolavori.

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