Magazine Diario personale

Notti dopo

Creato il 10 luglio 2014 da Povna @povna

Questa è un’estate che chiama post a grappolo (che ricordano le serate a cazzeggio, in mezzo al prato – il profumo di zampirone da un lato, sul tavolo un mazzo di carte).
Ed è così che la ‘povna – dopo essersi divertita a chiacchierare da Iome, si aggrega all’amarcord di Noise (che a sua volta lo riprende da LGO) – e decide, a 23 anni da quella giornata di vigilia, esatti, esatti, di sfogliare l’album dei ricordi della sua maturità.
Un album che, per la verità, non è solo nella testa. Complice infatti una richiesta di nonno Delfino (di don Raffaele – l’Economista di famiglia, Iome capirà il riferimento) – che le aveva intimato di andarlo a trovare a giochi fatti, portando, se possibile, copia cartacea dei verbali dei giudizi di ammissione e poi finali, nonché relazione dettagliata di tutte le prove sostenute per l’esame – la ‘povna di quei giorni ha conservato le scartoffie.
Alcune cose, però, non sono scritte. Per esempio la smania con cui la ‘povna aspettava quella maturità per liberarsi: di una scuola (intesa come persone, non indirizzo) che detestava, di una città che non la lasciava vivere, di una vita che voleva diversa, lontano dalla sua (pur amatissima) famiglia. Non è scritta nemmeno la passione scientifica con la quale la ‘povna attraversò con bella precisione il liceo classico: media del 10 a Fisica e Matematica (e anche a molto di tutto quanto il resto, ma che c’entra), un insegnante, l’unico, davvero outstanding che la seguì per cinque anni; il senso di una passione per i volumi, i piani, le dimensioni, le leggi dell’universo, i numeri coltivata con impegno, che nulla pareva capace di scalfire. In mezzo, c’era la lettura, ovviamente: quell’inglese che faceva capolino da tutti i lati, come fosse un’esigenza, e la consapevolezza che le parole potevano essere duttili, strumenti potenti da piegare.
La folgorazione arrivò, come prevedibile, imprevista, non sulla via di Damasco, ma di Cambridge. Si era d’estate, era il 1990, era di luglio. La ‘povna era in treno (e ti pareva) e attraversava (ma dai!) mondi: tornava da una visita ai suoi cugini a Londra; leggeva un libro giallo. E, improvvisamente, pensò che studiare letteratura avrebbe potuto essere splendido, un mondo nuovo da incantare.
Fu uno shock, e ci mise parecchio a digerirlo. L’entropia era lì, e cantava la sua sirena seducente, e la ‘povna (che era sempre stata convinta che, l’anno dopo, se ne sarebbe andata via, a studiare Fisica), scoprì che non sapeva cosa fare.
Non lo disse a nessuno, ovviamente. Tornò da quel soggiorno inglese con ogni sua certezza infranta, e proprio per questo ostentando, in famiglia, a scuola, con tutti, una sempre più combattiva sicurezza. Poi, nel teatrino dell’animo (e anche parlando in camera caritatis con Nick, la sua compagna di banco, l’unica ammessa ai segreti dei suoi pensieri, che per lo più lei tendeva in realtà a celare al mondo), continuava a argomentare.
Nel frattempo, era iniziata la terza. La ‘povna la trascorse in una crescente progressione di come aveva passato gli altri anni: leggendo quello che le piaceva, studiando con facilità, facendo sport, uscendo con amici rigorosamente diversi da quel mondo e saltando, appena possibile – a ogni fine settimana, vacanza, ponte – su un treno per il paese-che-è-casa.
A maggio gli insegnanti convocarono mamma ‘povna, intimandole di tenere a casa la figliola perché dovevano fare dei compiti di recupero alla classe e lei, nonostante i tentativi contro, riusciva sempre a passare versioni, temi, esercizi e quanto domandato con metodi infallibili. La ‘povna trovò questo ordine profondamente ingiusto, vi si sottopose comunque con il solito silenzio, passò tre giorni a dormire fino a tardi e il giovedì, la data del rientro, andò a scuola alla terza ora, seguì fisica e matematica, poi si fece firmare il permesso di uscita anticipata per la quinta ora e le sesta, salutò tutti e se ne tornò a casa.
L’ammissione fu sancita (e qui la carta parla) il 5 giugno. Il giudizio fu stellare: la ‘povna ce lo ha adesso sotto gli occhi e lo conferma. Ma quello che lei ricorda in realtà è quanto successe la mattina di quel giorno, quando – complice la fida Nick – consegnò al suo professore di matematica una lettera composta il 4 pomeriggio (anche questa, alla bisogna, è sotto gli occhi – ma la ‘povna la ricorda a memoria, quasi tutta). Dentro, la rivelazione maturata in quei nove mesi di rovello: “alla fine non la farò, fisica – e il concorso a Hogwarts lo tenterò per diventare letterata”.
L’informazione fu data in esclusiva, in segno di stima e di rispetto. La ‘povna lasciò che fosse lui a condividerla, o meno, col consiglio. Apprenderà un mese dopo e spiccioli che anche uno scienziato può avere, all’occorrenza, chiaro in testa, il concetto di finzione letteraria.
Finita la scuola, la ‘povna, che aveva contribuito all’ammissione di tutti i suoi compagni, pensò che fosse tempo di riposare, e se ne andò una settimana in montagna; a Morgex, dalla sua amica Grafomane. La scusa era quella di ripassare per gli imminenti scritti, cosa che occasionalmente pure fecero. Insieme a un sacco di altre cose.
E poi arrivò la notte prima, e fu tranquilla. La ‘povna fece un tema su Leopardi, consegnò subito prima di Nick, una di fila all’altra, secondo mutui accordi, e andò serena a riposarsi. Il giorno dopo la versione di greco scandì Epicuro, e la ‘povna riuscì a usare il telegrafo senza fili che aveva usato per cinque anni: punto, linea, punto, penna battuta sulla gamba di metallo, e una sicura sufficienza fino a tre banchi di distanza fu quello che riuscì, come ultimo omaggio, a regalare.
Il suo orale recitava 11 luglio. La ‘povna aveva scelto di portare Matematica di prima (ovviamente), e Latino di seconda (una scelta che rispettava stima e simpatia per gli insegnanti, e le sembra un buon criterio ancora adesso). Ricorda dei giorni in mezzo una grande attività di supporto e sostegno, da bravo capitano, alla prof. Tam-Tam, membro interno, molte uscite con la cugina Thelma, gelati fragola e cocco e qualche cinema. Poca paura: un po’ perché si fidava di Tam-Tam (e dello sceneggiatore, anche), un po’ perché non capiva bene di che cosa dovesse preoccuparsi, un po’ perché, anche se le avessero cambiato la materia (e comunque lei sospettava che qualche domanda le sarebbe arrivata, puntuale, in ogni caso, anche sul resto), studiare meno che per quelle di sua propria scelta le sembrava onestamente un traguardo che non era possibile eguagliare.
E si arrivò alla mattina della pugna. La divisa era quella delle scuole superiori inglesi (sostanzialmente, questa), ingresso forzatamente libero, assistesse chi voleva (purché, con l’eccezione della fida Nick e Thelma, aspettassero che la ‘povna si sedesse per decidere di entrare).
Se c’è una cosa che non è cambiata per nulla da quei tempi, è il tasso di insegnanti fancazzisti: dell’annunciata commissione, tre membri su cinque avevano dato forfait per malattia il primo giorno. Della compagine originaria restavano Filosofia e Matematica; supplenti, per così dire, cioè incaricati all’ultimo, presidente, Latino e Italiano. Matematica scorre via tranquilla: la ‘povna ricorda ancora tutto (e poi, ancora una volta, parlano le carte) e va come deve andare, cioè benissimo. Ma lei sa che i giochi si compiono al giro di boa, passando dal professor Lupis, che (lo sceneggiatore, già allora, aveva occhio), altri non è che un giovane insegnante del Liceo bene milanese del centro. La ‘povna (ma nemmeno lui) ancora non lo sa, ma è severissimo (tanto è vero che sarà la causa scatenante, anni dopo, di quella famosa cronaca). Alla ‘povna, che è andata a sostenere, i giorni prima, gli orali dei compagni (perché le cose si fanno in un solo modo, e cioè bene, anche se non ne hai voglia), sembra solo assai simpatico (e bravissimo). Ed è con questo spirito che inizia la fine del suo orale. Ed è solo divertimento: Lupis la interroga in latino (occasionalmente), poi passa a italiano, a storia, a filosofia, ci acchiappa pure fisica, fuori e dentro il programma. La ‘povna chiacchiera, argomenta, polemizza e poi dibatte, trovando, nelle materie umanistiche, per la prima volta in cinque anni, pane per i suoi denti.
“Credo che dovrei lasciarti andare” – lui la congeda, infine, con un ghigno.
“Peccato” – commenta la ‘povna.
A quel punto interviene il presidente: “Non ci resta che farti i complimenti, e poi chiederti una piccola rivelazione, se possibile”.
La ‘povna alza lo sguardo:
“Sul giudizio di presentazione della scuola, sei l’unica per la quale gli insegnanti non hanno suggerito un indirizzo universitario futuro: vuoi essere tu stessa, dunque, se ti va, a dirci che cosa vuoi fare?”.
Il momento atteso è ora, è questo; e la ‘povna sa bene che rispondere. Sorriso, sguardo circolare, e poi la menzogna, in una sola parola, esplode persuasiva, e anche convinta:
“Fisica!”.
Che è poi ciò che, sotto forma di consiglio, rimarrà agli atti come giudizio finale del suo esame.
Il resto è storia di una nuova nascita. Di lì a qualche giorno, davanti ai tabelloni, la ‘povna consumerà la prima delle verità che ha tenuto nascoste per troppi e troppi anni.
“Ovvio che no” – risponderà infatti a una compagna che si raccomanda di farsi viva, quando tornerà al nord per le vacanze (la ‘povna si sente già nella piccola città, una convinta emigrante) – “io non vi voglio mai più rivedere”.
Poi ci sarà l’estate, e poi il concorso a Hogwarts, a fine settembre. La ‘povna ci andrà da sola (in treno), vedrà e si piazzerà in graduatoria tra i migliori di quell’anno (un onorato quinto posto); all’orale, il professor Carino le farà i complimenti, “per il tema più bello”. Il resto, l’ha già raccontato qui, e non giova ripeterlo.
Quell’esame di maturità, la ‘povna non lo sognerà mai più, dopo, in nessuna notte (sognerà un complicato incubo legato a una interrogazione volontaria di matematica e fisica – che freudianamente è un po’ lo stesso). La vita nella piccola città, a Hogwarts, la accoglierà per gli anni successivi a braccia aperte. E, a 19 anni compiuti schietti schietti, la ‘povna imparerà che il Bildungsroman non mente. Due sono le condizioni necessarie a diventare adulti: allontanarsi presto da casa, e diventare economicamente indipendenti. Tutto il resto è, marxianamente, sovrastruttura.


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