Magazine Opinioni

Novorossiya, tra progetto politico e nuova piattaforma per il nazionalismo russo

Creato il 15 dicembre 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

russia-novorossiya

di Oleksiy Bondarenko

A partire dal 1453, anno in cui terminò con successo l’assedio di Costantinopoli da parte dell’Impero Ottomano, la generale priorità della politica estera russa è stata quella di porsi come tutore della cristianità ortodossa e ricomporre sotto un’unica bandiera lo spazio geografico dell’antica Rus’ di Kiev. L’idea dell’ortodossia come collante per tutti i popoli slavi all’interno e fuori dai confini della Russia zarista venne poi rielaborata nella seconda metà del XIX secolo sotto la bandiera del panslavismo. L’agognata creazione di un’unica nazione slava ha contraddistinto il lavoro intellettuale di numerosi panslavisti dando origine all’idea di Russia come civiltà a sé stante, né completamente europea né prettamente asiatica. Il legame ancestrale con l’ortodossia e soprattutto con il mito originario della Rus’ di Kiev fu sostituito dalla “rivoluzione comunista” prima e “dall’accerchiamento capitalista e imperialista” poi, riemergendo lentamente, anche se non come narrazione dominante, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il famoso discorso di Stalin, pronunciato in Piazza Rossa nel novembre 1941 con l’esercito tedesco alla porte di Leningrado, faceva infatti appello alla “madre Russia” e all’esempio di comandanti come Dmitry Donskoy e Aleksandr Nevsky, simboli del passato imperiale [1].

Rimangono principalmente questi i riferimenti culturali della contemporanea idea di “mondo russo” che negli ultimi anni, a partire dalla disgregazione dell’Unione Sovietica, è entrata a far parte del dibattitto ideologico nazionale.

La genesi del “mondo russo”

Il concetto di un “mondo russo” che trascendesse i confini nazionali si è sviluppato attraverso gli anni Novanta grazie ad un’elaborazione intellettuale volta a determinare un nuovo insieme di concetti e valori per la Russia contemporanea. La natura imperiale dello Stato zarista prima e di quello sovietico poi, avevano impedito la formazione di un’identità nazionale chiaramente definita, capace di integrarsi con l’interezza dello spazio statale. Secondo Dmitri Trenin, ad esempio, la Federazione Russa è ora uno Stato “post-imperiale” in cui la discussione sulla sua identità è ancora in atto. La sua definizione rimane un flusso di costruzioni culturali diverse e in alcuni casi contrastanti [2]. A partire dagli anni Novanta, in effetti, pensatori come Gleb Pavlovskiy, Valeriy Tyshkov, Yefim Ostrovskiy e Petr Shchedrovitsky hanno contribuito alla particolare riflessione in chiave moderna sull’identità russa e sulla sua collocazione all’interno del mutato panorama politico internazionale. Ruolo fondamentale in questa elaborazione è giocato dalla diaspora, divenuta elemento di congiunzione tra un approccio puramente etnico alla questione identitaria, comune a molte repubbliche post-sovietiche, e quello sovranazionale, tipico del periodo imperiale. Proprio il consolidamento dei legami con la diaspora, secondo Tishkov, sarebbe dovuto essere la base della formazione della nuova identità post-sovietica e della strutturazione degli obiettivi politici del Cremlino [3]. Evidente in quest’idea il nemmeno tanto celato parallelismo con il mondo francofono e anglosassone, capaci a loro volta di mantenere secolari legami transcontinentali anche nel periodo post-imperiale tramite il retaggio politico e culturale.

La debolezza istituzionale della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) e la crescente indipendenza politico-economica degli Stati confinanti con la Federazione Russa ha rappresentato un importante limite alle ambizioni geopolitiche di Mosca. Termometro dei rapporti con le ex-repubbliche sovietiche è divenuta la riconfigurazione delle priorità russe in politica estera e le sue relazioni con l’Occidente. Al periodo degli anni Novanta in cui la Federazione Russa, causa anche la sua debolezza economica e politica, sembrava aver intrapreso un approccio integrativo e distensivo con i centri di potere occidentale, è seguita infatti una crescente opposizione a quella che dentro il Cremlino era percepita come l’egemonia decisionale americana. La formulazione dei principi di politica estera si è strutturata nell’ultimo decennio, in effetti, intorno a due principali fattori. Da una parte la visione della Russia come diretto erede dell’Unione Sovietica e di conseguenza una grande potenza, dall’altra la crescente contrapposizione con l’Occidente, sancita dal fallimento nel trovare una strada comune in grado di armonizzare il sistema politico internazionale e dall’espansione unilaterale delle strutture occidentali verso i confini della Federazione Russa. In questo contesto l’elaborazione intellettuale del concetto del “mondo russo” ha rappresentato quindi non solo un’impalcatura ideologica per il nuovo Stato nato in seguito alla disgregazione dell’Unione Sovietica, ma anche uno strumento utile per promuovere gli interessi del Cremlino nello spazio post-sovietico.

Storia, religione e lingua

Il principale collante dell’ampia comunità transnazionale è rappresentato senza dubbio dalla lingua. Il russo, in tutte le sue forme, rappresenta infatti, secondo i primi pensatori del “mondo russo”, il fondamentale strumento di veicolazione della dottrina e elemento di unione tra la diaspora e la madrepatria. Negli anni successivi all’indipendenza, in effetti, sono sorti svariati istituti allo scopo di diffondere e sostenere la lingua e la cultura russa al di fuori dei confini della Federazione. Attualmente il principale canale di veicolazione a livello internazionale è rappresentato dal Fond Russkiy Mir e dal suo network globale con sedi in numerosi paesi anche al di fuori dello spazio post-sovietico. Nonostante importanti contributi privati, il principale finanziatore del Fondo guidato da Vyacheslav Nikonov rimane lo Stato. Il suo obiettivo è quello di sostenere e incoraggiare lo sviluppo della conoscenza e della comprensione della cultura e lingua russa a livello internazionale, coltivando quello che Joseph Nye definisce come uno dei tre vettori del soft power di una potenza (gli altri due sono: legittimità politica e autorità morale a livello internazionale) [4]. Insieme all’agenzia federale Rossotrudnichestvo [5], fondata nel 2008 con l’obiettivo di consolidare i rapporti amichevoli con la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), il Fondo promuove una visione ampia del “mondo russo” basata sulla forza attrattiva della sua lingua. Emerge evidente qui l’idea della mutua correlazione tra il processo linguistico e quello cognitivo, già cara a Petr Shchedrovitsky e Yefim Ostrovskiy, che allo scadere dello scorso secolo sostenevano che il russo fosse un importante strumento di “modernizzazione dei legami transnazionali” [6].

Ogni riferimento alla lingua russa è fortemente collegato alla sua cultura e, di conseguenza, ad una memoria storica comune non solo alla popolazione della Federazione Russa. Il dibattito sulla posizione della Russia nel mondo e sui legami con la diaspora russofona passa, infatti, attraverso l’appartenenza ad una storia comune e condivisa. Un importante ruolo ancora oggi viene giocato dal passato sovietico e dal ricordo quasi mitologico della Seconda Guerra Mondiale. Proprio la “grande guerra patriottica”, come viene definita in Russia, rappresenta un elemento identificativo che si riferisce all’intero spazio post-sovietico, capace di sprigionare la sua forza attrattiva e costituire un denominatore ideologico unificante. In molti paesi della Comunità degli Stati Indipendenti in effetti, l’uso simbolico dell’immenso sacrificio del popolo sovietico costituisce ancora un’importante elemento di mobilitazione attraverso l’appartenenza.

Infine un ruolo importante nella definizione, non solo culturale, ma anche spaziale del “mondo russo” è giocato dalla religione e dallo spazio unitario della tradizione ortodossa. Marginalizzata durante il periodo sovietico, negli ultimi due decenni la Chiesa Ortodossa Russa ha assunto un crescente peso politico nel processo di definizione dell’identità culturale stimolato dal Cremlino. Unendosi alla discussione ideologica il patriarca Kirill I ha contribuito, infatti, ad indirizzare il dibattito inerente alla diaspora ed il suo ruolo nella definizione geopolitica del vicinato. Proprio l’ortodossia è identificata da pensatori come Valeriy Tyshkov e Yefim Ostrovskiy, che pescano nell’ampia trattazione panslavista e conservatrice della seconda metà del XIX secolo, come uno degli elementi capaci di preservare i principi sovranazionali della “civiltà russa” e di rappresentare il principale elemento identificativo per la diaspora.

Novorossiya, la radicalizzazione del “mondo russo”

Una nuova, più radicale interpretazione del “mondo russo” è stata di recente offerta dallo sviluppo dell’ambiguo concetto di “Novorossiya”. Il primo uso del termine risale al periodo imperiale, quando alla fine del XVIII secolo il trattato di Kuchuk Kainarji (1774) stipulato tra Russia e l’Impero Ottomano, consegnò a Caterina la Grande importanti territori lungo la sponda settentrionale del Mar Nero. Dopo le fasi iniziali dell’esperienza sovietica in cui il termine fu utilizzato per identificare le regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson, Dnepropetrovsk e Odessa, che a partire dal 1919 entrarono in diversa misura a far parte della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, la vaga idea di Novorossiya riemerse brevemente solo negli anni Novanta durante la lotta dei separatisti in Transnistria.

La recente annessione della Crimea e il conflitto in Donbass hanno avuto, però, importanti conseguenze sull’evoluzione dell’idea di “mondo russo”, constatando l’introduzione di un messaggio parallelo ben più radicale capace di rispolverare il concetto di Novorossiya in chiave contemporanea. Quest’ultimo infatti non poggia solo sulle stesse basi del “mondo russo” facendo riferimento ad una storia, una lingua ed un’identità religiosa comuni, ma contribuisce a definire una spazio geografico più preciso con determinati connotati etno-nazionalistici. Proprio per queste sue caratteristiche il concetto di Novorossiya rappresenta, secondo l’opinione di Marlene Laruelle, esperta dello sviluppo del nazionalismo all’interno dello spazio post-sovietico presso la Elliott School of International Affairs della George Washington University, un vero e proprio game changer all’interno dello status quo ideologico nazionale [7].

Anche se non promosso ufficialmente dal Cremlino, il termine ha costituito un nuovo contenitore per il nazionalismo russo vicino ai vertici dello Stato. L’ampiezza e l’ambiguità del concetto di Novorossiya ha permesso inoltre la coesistenza al suo interno di diversi insiemi e narrazioni ideologiche.

novorossiya-cartina

Nostalgia per il passato sovietico

A partire dagli albori dell’insurrezione nel Donbass il paradigma dominante di Novorossiya è stato quello promosso dall’Izborsky Club. Creata nel 2012 da personaggi di diversa provenienza politica, l’associazione annovera tra i suoi membri svariate figure del panorama nazionalistico russo come Aleksander Prokhanov e Aleksander Dugin. Generalmente anti-liberali e sostenitori dell’idea di grande potenza, Prokhanov e Dugin hanno contribuito a formulare una definizione sia spaziale sia ideologica di Novorossiya e del ruolo russo nel mondo. L’Izborsky Club ha avuto infatti un importante ruolo durante le prime fasi della crisi ucraina, potendo contare su importanti legami con l’iniziale leadership delle autoproclamate repubbliche indipendenti di Donetsk e Lugansk. Aleksander Boroday, Primo Pinistro (e ora vice Premier) della Repubblica di Donetsk, e Igor Strelkov, comandante in campo a Slovyansk, sono state in passato figure molto vicine a Prokhanov e avevano collaborato con i giornali da lui fondati, Zavtra e Den’. Nell’estate del 2014, durante le prime fasi dell’insurrezione, l’associazione Izborsky Club ha aperto una succursale a Donetsk, guidata da un altro degli iniziali leader della omonima Repubblica Popolare, Pavel Gubarev [8].

Dal punto di vista ideologico, se per Prokhanov la Novorossiya costituisce una concreta risposta della civiltà russa a quella occidentale rappresentando un modello sociale distinto, in una specie di ritorno alla Russia sovietica sotto l’aspetto politico, economico e culturale, una rielaborazione diversa viene proposta da Dugin. Come sottolinea ancora Marlene Laruelle, Dugin introduce una concezione spaziale del concetto. Il suo intento, che emerge dalla sua rielaborazione intellettuale già a partire dal 2013, è infatti quello di unificare sotto un unico paradigma due concetti che fino ad ora sono stati considerati esclusivi, quello di Eurasia e di “mondo russo”. L’idea di Novorossiya rappresenta, secondo Dugin, la definitiva “russificazione” del progetto euroasiatico e gli permette di assumere chiari connotati geografici ed etnici. La creazione della federazione della Novorossiya tra Donetsk e Lugansk, avvenuta nell’estate 2014, e l’annessione della Crimea da parte della Federazione Russa, rappresentano solo la fase embrionale di quello che il pensatore eurasista concepisce come l’inevitabile futuro sviluppo di una Bolshaya Rossiya (Grande Russia). Proprio attraverso questo paradigma, Dugin propone la definitiva rinascita del “mondo russo” e della sua civiltà (con forti allusioni storiche al periodo successivo al dominio dei mongoli) lungo i confini che furono dell’Impero zarista prima e dell’Unione Sovietica poi [9].

Ortodossia politica

Oltre alla visione anti-liberale ed imperialista il grande contenitore costituito dal termine Novorossiya è stato riempito anche da altri paradigmi ideologici elaborati a partire dall’idea di “mondo russo”. Uno di questi ad esempio è fortemente legato alla chiesa ortodossa e alla tradizione monarchica della Russia zarista, promosso da Natalia Narochnitskaya, Direttrice della sede parigina del Institute of Democracy and Cooperation. Il punto focale di questa visione, che si è riunita intorno al International Fund for Slavic Writing and Culture, è rappresentato dall’ortodossia politica che riconosce nella religione un forte principio civilizzazionale rendendo la Russia un Paese distinto e dai forti connotati clerico monarchici. Questa particolare accezione di Novorossiya ha trovato tacito supporto nel Patriarcato di Mosca, in generale, e nella figura di Kirill I, in particolare.  Proprio il Patriarca, ad esempio, ha da sempre considerato la Crimea come la culla dell’Ortodossia russa e il centro della sua civiltà [10]. L’influenza di questa visione soprattutto nei primi mesi del conflitto nel Donbass appare caratterizzata dalla presenza di gruppi ribelli con chiari connotati religiosi come l’Armata Ortodossa Russa ed i vari battaglioni cosacchi, che si definiscono come gli ultimi portatori “dell’ortodossia e dei valori nazionali tradizionali” [11].

La primavera russa?    

Infine, sotto la comune bandiera della Novorossiya hanno trovato nuovo spazio ideologico tutta la serie di movimenti e organizzazioni di estrema destra dello spettro politico che hanno in comune, oltre all’ideologia neofascista, anche l’opposizione all’attuale regime. Promotori della cosiddetta “primavera russa”, questi movimenti vedono nella guerra nel Donbass e nell’idea della Novorossiya la prima fase di un processo rivoluzionario più grande che dovrebbe coinvolgere in ultima istanza anche la Russia stessa. Per questo gruppo il significato di Novorossiya risulta infatti doppio: rappresenta «la nascita di una Nuova Russia geograficamente, in Ucraina, e metaforicamente, nella Russia stessa» [12]. L’obiettivo principale di questo insieme disomogeneo che si struttura intorno alla retorica paramilitare fascista di Aleksander Dugin, è quello di esportare la rivoluzione nazionale dall’Ucraina in Russia, per abbatterne la cosiddetta “sesta colonna”. Quest’ultima è rappresentata dei nemici interni della “primavera russa” che, secondo Dugin, siedono dietro le mura del Cremlino e influenzano la politica del regime in senso liberale.

Le conseguenze del fallimento del progetto politico

Nonostante il fallimento del progetto politico nel Donbass e l’assenza del necessario appoggio da parte di Mosca, il vago concetto di Novorossiya ha rappresentato uno spazio unico per il nazionalismo russo. La confederazione tra la Repubblica Popolare di Donetsk e Lugansk, infatti, non ha praticamente mai avuto alcuna funzione di rilievo, mentre il Parlamento unificato guidato da Oleg Tsaryov è rimasto un organo privo di qualsiasi influenza politica. Dopo le prime fasi del conflitto il Cremlino ha lavorato per “stabilizzare” la situazione, contribuendo a rimuovere i personaggi più radicali (tra questi emerge la rimozione da posti di comando di Igor Strelkov, ad esempio) e controllare la leadership dei ribelli. Secondo numerosi esperti, infatti, gli accordi di Minsk-2 hanno rappresentato non solo un congelamento del conflitto, ma anche la definitiva “chiusura del progetto politico di Novorossiya”, solo tiepidamente promosso da Mosca nei mesi precedente [13]. Contenitore di paradigmi diversi, sovrapponibili e per certi versi contrastanti, il conflitto nel Donbass, a vent’anni di distanza da quello in Transnistria, oltre ad avere un’importante dimensione internazionale è stato però anche un grande incubatore per i numerosi movimenti estremisti che gravitano vicino (ma anche in opposizione) al Cremlino. Nonostante il recente successo nel controllare le forze più radicali sul campo e l’abbandono ufficiale della retorica legata alla Novorossiya, il complesso rapporto del regime con ambienti legati al nazionalismo radicale e la loro grande crescita negli ultimi anni, rendono i futuri sviluppi difficilmente pronosticabili. Il misto di cooptazione e repressione nei confronti del nazionalismo, insieme all’abbattimento di una serie di barriere fisiche e metaforiche a causa delle sue aspirazioni geopolitiche, sta riducendo i margini di manovra del Cremlino e la sua capacità di destreggiarsi tra le contraddizioni delle varie correnti ideologiche. Il nazionalismo radicale, infine, rimane ancora un’importante parte dell’opposizione al regime, evidenziando il fatto che l’ampio dibattito sulla natura dell’identità russa è tutt’altro che concluso.   

* Oleksiy Bondarenko è OPI Research Fellow e Head area Russia e Asia Centrale

[1] Dmitri Trenin, Post-Imperium. A Eurasian story, in “Carnegie Endowment for International Peace”, Washington DC 2011.

[2] Ibid, p.202-03.

[3] Valerij Tishkov, The Russian World—Changing Meanings and Strategies, in “Carnegie Papers”, N°95 (August 2008).

[4] Joseph S. Nye Jr., Soft Power: The Means to Success in World Politics, Public Affairs Books, New York 2004

[5] Sito ufficiale: http://www.rs.gov.ru/

[6] Petr Shchedrovitsky, Yefim Ostrovskiy, Rossija: strana kotoroj ne bilo, 1999.

[7] Marlene Laruelle, The three colors of Novorossiya, or the Russian nationalist mythmaking of the Ukrainian crisis, in “Post-Soviet Affairs”, March 2015

[8] http://novorossia.su/ru/node/2783

[9] http://pozneronline.ru/2014/04/7669/

[10] Katarzyna Chawryło, Patriarch Kirill’s game over Ukraine, in “OSW Commentary”, August 2014

[11] http://korrespondent.net/ukraine/3365343-za-veru-y-sssr-russkaia-pravoslavnaia-armyia-na-vostoke-ukrayny

[12] Marlene Laruelle, The three colors of Novorossiya, cit., 2015

[13] http://carnegie.ru/2015/05/20/ru-60155/ijsx

Share on Tumblr

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog