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Nuotare con i delfini: il sogno e la dura realtà

Creato il 03 marzo 2016 da Loredana De Michelis @loridemi
Nuotare con i delfini: il sogno e la dura realtàNuotare nei mari tropicali in mezzo a un branco di delfini è uno dei trend turistici più gettonati ultimamente: nonostante sia piuttosto facile vedere delfini in un acquario o da qualunque imbarcazione, vuoi mettere una foto che ti ritrae sott’acqua in mezzo a loro, quanta invidia fa sui social.
Tutto è iniziato come solito, con una pubblicità: l’unico generatore di fantasie del turista moderno.
Per innescare il sogno sono stati necessari: una modella di vent’anni con i capelli lunghi infilata in una muta di silicone intagliato che le trasforma le gambe nella coda di una sirena; tre cineoperatori professionisti; un acquario con quattro delfini depressi; musica azzeccata come sottofondo del video.
La luce di mezzogiorno filtra dorata attraverso le acque calme e azzurre della vasca, il cui fondo impedisce ai delfini di inabissarsi. La modella imbustata nel guantone creato da un surfista della California si garantisce una vecchiaia di acciacchi dando gran colpi di lombari per nuotare a piedi uniti e senza affondare a causa del peso del costume. Il montaggio del video unisce i pochi secondi di immersione della modella in apnea facendoli apparire come una sequenza continua durante la quale lo spettatore evidentemente crede che lei abbia anche le branchie. La musica di violini oceanici ci mette la vibrazione poetica.
Altre riprese mostrano la stessa modella-sirena nelle acqua basse e turchesi dei Caraibi che si struscia contro tartarughe giganti, e quest’ultimo tocco di autenticità fa subito dimenticare allo spettatore col suo pesce rosso nella boccia che tartarughe e delfini nuoteranno anche nello stesso mare, ma hanno abitudini e velocità di reazione un po’ diverse.
La dura realtà è delicatamente monitorata da AfricanImpact nelle acque tropicali di Zanzibar, a Kizimkazi: lì un branco di delfini insiste a soggiornare da una decina d’anni, forse per testardaggine territoriale, nonostante sia disturbato dall’alba al tramonto, 8 mesi all’anno, da decine di piccole barche a motore rumorosissime che si precipitano a inseguire ogni pinna avvistata.
I turisti a bordo non assomigliano per niente alla modella ed è ora che qualcuno glielo faccia notare. Con i capelli incollaticci e radi, rotoli di grasso gelatinoso ricoperto di crema unta e inquinante, sbatacchiano il loro osso sacro sul sedile di legno viscido e non fluttuano liberi neppure nel vento, perché sono disperatamente impegnati a tenere fermo il cappellino, a non perdere la maschera con il boccaglio e la macchinetta fotografica subacquea con bastone stroboscopico. Se un delfino salta fuori a due metri dalla barca e si avvita in carpiato a volo d’angelo, loro stanno sempre guardando da un’altra parte, avvitando qualche congegno, controllando che non entri acqua nella borsa.
Quando il pescatore locale fionda la barca in mezzo al branco, fa gesto ai turisti di precipitarsi in acqua. Mica c’è la scaletta però: bisogna saltare. Così tutti a calarsi maldestramente con la maschera storta in un tripudio di ginocchiate contro spigoli durissimi e slogature di spalle nel tentativo di non mollare il bordo, mentre il gruppo di pinne, grandi, medie, e piccole al centro, si immerge, e in due secondi è a 30 metri di profondità: li si perde subito di vista perché la luce radente del mattino rende l’acqua una lastra riflettente e buia di sotto. Il gruppo di delfini riemerge 100 metri più in là: altre ginocchiate per risalire a bordo in fretta chiamati a gran voce dal pescatore che parte in quarta facendo volare via i cappellini. E tutto si ripete.
A mezzogiorno la luce consente più trasparenza, ma ci sono 40 gradi e stare sulla barchetta è una tortura, anche per i pochi che non patiscono il rollio. Dopo mezz’ora di tentativi, qualche cozzata tra barche e pericolosi sfioramenti di orecchie contro le eliche dei motori, è ora di rientrare e di lasciare spazio alle altre barche che arrivano a ruota. I delfini, imperturbabili, proseguono nella loro passeggiata: qualcuno sostiene che a volte si avvicinino spontaneamente alle barche nuotando in cerchio e c’è chi giura di avere visto spuntare un bastone da selfie dagli abissi e di essere stato immortalato con un flash. Forse i delfini hanno un loro Instagram. Di sicuro se ne fregano delle cattive recensioni che molti turisti delusi finiscono per rifilare al tour, quando farebbero meglio a scriverle a se stessi.
L’equipaggio di AfricanImpact intanto prende nota del numero di barche che si alternano in un’ora, di quanti turisti hanno a bordo (spesso soltanto due), quanti delfini sono stati avvistati, per quanto tempo e come si sono comportati. Contano i cuccioli e gli adulti in base alla dimensione della pinna. Comunicano i dati alle autorità portuali e tentano un diplomatico rapporto costruttivo con la comunità di pescatori locali, affinché diventino più consapevoli della loro convenienza a rispettare questa preziosa fonte di guadagno. Prima che il capo-villaggio dei delfini decida di spostare la comunità altrove, magari presso una delle centinaia di isole deserte che circondano Zanzibar, e addio business. Ma tutto si decide con lentezza, sotto il sole infuocato delle baie, dove i pescatori riempiono le barche fino all’orlo di minuscoli pesci argentati che saranno essiccati, e trascinano pesci giganteschi catturati sulla barriera corallina, li squamano e li sfilettano sulla sabbia, consegnandotene un pezzo avvolto nella vecchia carta di un gelato confezionato che svolazzava lì intorno.
I ragazzi di AfricanImpact misurano i pesci pescati, ne chiedono il prezzo, palpano l’addome dei piccoli squali di barriera per capire se erano femmine gravide e nel caso chiedono gentilmente ai pescatori di aprirli, così la conta dei periti si fa tristemente più esatta.
I branchi di delfini tengono davvero lontani gli squali dai turisti sirenetti? I pescatori sorridono sornioni: non c’è stato nessun incidente con turisti feriti da squali ultimamente, quindi in questo momento non c’è problema. Domani chi lo sa.
Insomma, no. I delfini non sono una protezione. E per dirla tutta, le nuotate con i delfini causano più morti nel mondo che gli attacchi di squali: il rischio è quello di innervosire il branco andando troppo vicino ai piccoli o di venire tramortiti e annegare a causa di una codata distratta. AfricanImpact continua a ripeterlo.
Ma i sogni di gloria sono più potenti del rispetto per la natura e del buonsenso.
Loredana de Michelis

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